Stati Uniti

Lo Sciamano di QAnon e gli altri: il peso del 6 gennaio 2021, quattro anni dopo

Fra i sostenitori di Donald Trump che fecero irruzione nel Campidoglio c'è chi ha voltato pagina e chi, invece, si ritiene una vittima del sistema giudiziario – E intanto, oggi, verrà certificata la vittoria elettorale del tycoon
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Marcello Pelizzari
06.01.2025 15:45

Il 6 gennaio 2021 non va cancellato. Né, tantomeno, riscritto. Parola del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ormai al passo d'addio. «Non penso che dovremmo comportarci come se nulla fosse successo» ha detto, ieri, Biden ai giornalisti presenti alla Casa Bianca, riferendosi al tentativo (violento) da parte dei sostenitori di Donald Trump di bloccare la certificazione della sua vittoria. Oggi, quando verrà ufficialmente riconosciuto il risultato delle ultime presidenziali, stravinte dal tycoonsi respirerà un clima differente. Tuttavia, il ricordo di quelle ore, drammatiche, rimane. Anche se, è l'augurio di Biden, «confido che quella minaccia alla democrazia sia stata superata».   

Negli ultimi quattro anni, circa 1.600 persone sono state processate in relazione all'assalto al Campidoglio. C'è chi è stato accusato di aggressione o, ancora, cospirazione sediziosa e chi, mentre scriviamo queste righe, si trova ancora in prigione. Centinaia di persone, accusate di reati minori, hanno per contro chiuso quel capitolo. Banalmente, sono tornate alla vita di prima. Quel 6 gennaio, in ogni caso, è stato un vero e proprio spartiacque. Un punto di non ritorno, anche, almeno per alcuni. Caricata dalle parole velenose, anzi velenosissime di Donald Trump, una folla di fedelissimi ha fatto irruzione nel Campidoglio – il tempio della democrazia occidentale – provocando danni per milioni di dollari, ferendo oltre 140 agenti di polizia e, nel concreto, impedendo ai legislatori di certificare, appunto, il risultato di un'elezione presidenziale. Una prima storica. Cinque, invece, i morti. L'indagine successiva, la più grande a livello singolo intrapresa dal Dipartimento di Giustizia, ha portato ad arresti in tutto il Paese.

Gli imputati, durante tutto questo tempo, sono stati chiamati a rispondere delle loro azioni davanti a un Tribunale federale, a Washington, a pochi isolati di distanza dal Campidoglio. Tutti, a loro modo, e con gravità differenti, hanno minato un fondamento della democrazia statunitense: il trasferimento, pacifico, del potere. Alcuni, scrive fra gli altri il New York Times, si sono pentiti delle loro azioni. Altri, al contrario, si rifiutano di farlo. Anzi, hanno affermato di aver visto «la realtà» del sistema giudiziario americano e si sentono, per questo, perseguitati. Si sentono, chi più chi meno, dei martiri. «Sono rimasto scioccato nel vedere alcuni personaggi pubblici cercare di riscrivere la storia, sostenendo che i rivoltosi si siano comportati in modo ordinato come normali turisti, o martirizzando gli imputati condannati il 6 gennaio come prigionieri politici o addirittura, incredibilmente, ostaggi» ha detto, al riguardo, il giudice distrettuale Royce C. Lamberth. «È tutto assurdo». Così il corrispondente da Washington per il Corriere della Sera, Giuseppe Sarcina: «A quattro anni di distanza il totale capovolgimento della realtà è ormai compiuto. Il presidente che aveva incoraggiato, se non fomentato, il tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020, si prepara a rientrare alla Casa Bianca. Non pagherà alcun prezzo alla giustizia, ma anzi è pronto a concedere il perdono presidenziale agli oltre 800 violenti manifestanti che negli ultimi anni si sono dichiarati colpevoli, tra i quali figurano i duecento già condannati a pene che vanno da pochi giorni di carcere a 22 anni di reclusione». Il presidente eletto, in effetti, ha promesso di graziare molti, forse la maggior parte, dei rivoltosi non appena rimetterà piede nella Casa Bianca. Non solo, potrebbe chiudere l'ampia indagine relativa all'attacco al Campidoglio. 

Dicevamo dei martiri o, meglio, di chi si sente tale dopo essere passato dalle maglie della giustizia. Fra queste persone, indubbiamente, c'è Jacob Chansley, il cosiddetto Sciamano di QAnon, la cui associazione ai fatti del 6 gennaio 2021 è legata a doppio filo all'immagine veicolata quel giorno: Chansley, infatti, è entrato nel Campidoglio con il volto dipinto e un copricapo con le corna, brandendo una bandiera americana su un pennone con la punta a lancia e diventando, a suo modo, uno dei simboli, se non il simbolo, della rivolta. Ha fatto irruzione nell'edificio durante la prima ondata di rivoltosi, lasciando un biglietto minatorio sul pavimento del Senato indirizzato al vicepresidente Mike Pence: «È solo una questione di tempo, sarà fatta giustizia».

Le sue azioni gli sono valse una condanna a 41 mesi. Condanna che Chansley ha definito come una «esperienza diretta della tirannia». Se è vero che, in aula, ha ammesso di aver sbagliato a fare irruzione nel Campidoglio, dopo il suo rilascio – avvenuto in anticipo rispetto alla data inizialmente stabilita – Chansley sembra tutto fuorché pentito. Al contrario, crede che il 6 gennaio sia stata «una montatura» del governo e che i funzionari pubblici e i media lo abbiano dipinto come un «cattivo e un terrorista». Oggi trentasettenne, pure lui a suo modo è tornato a condurre una vita tranquilla. Crea opere d'arte, come prima di quel giorno. «Ma ora – ha detto al New York Times – ricevo più interviste».