Il punto

Ma come sarebbe una guerra commerciale «totale» fra Cina e USA?

Un conflitto economico fra le due superpotenze avrebbe effetti importanti non solo su Pechino e Washington ma, inevitabilmente, anche sull'economia globale
© AP/Susan Walsh
Red. Online
09.04.2025 19:45

E se Cina e Stati Uniti continuassero su questa strada? Se, insomma, il botta e risposta fra dazi e controdazi si trasformasse in una vera e propria guerra commerciale fra Pechino e Washington? Lo scenario di uno scontro totale, a occhio, è più che mai reale: Donald Trump, da un lato, è salito prima al 104% e poi al 125% per i prodotti importati dalla Cina, annunciando al contempo una pausa di 90 giorni per gli altri Paesi, mentre il Paese asiatico è passato dal 34% all’84% sul made in USA.  

Pechino, come noto, ha dichiarato che combatterà «fino alla fine» l’aggressività statunitense. Di più, le autorità politiche insistono sul fatto che la Cina sia pronta e preparata a una guerra commerciale con Washington. Bene, anzi male: ma come si traduce tutto ciò a livello globale? Quali, soprattutto, le conseguenze?

Quanto valgono gli scambi fra Cina e Stati Uniti?

Il valore degli scambi commerciali fra Cina e Stati Uniti, lo scorso anno, ha toccato i 585 miliardi di dollari secondo i dati raccolti dalla BBC. Washington, nel balletto con Pechino, in ogni caso ha importato più di quanto abbia esportato: 440 miliardi contro 145. Tradotto: il deficit commerciale nei confronti della Cina, lo scorso anno, è stato di 295 miliardi di dollari. Più o meno l’1% del valore dell’intera economia statunitense. Detto ciò, il presidente statunitense Donald Trump nel giustificare i dazi contro la Cina ha parlato, a torto, di «mille miliardi».

Trump aveva imposto misure significative, nei confronti di Pechino, già durante il suo primo mandato alla Casa Bianca. Misure confermate durante l’amministrazione Biden. Il risultato? Lo scorso anno, le barriere all’importazione avevano fatto scendere al 13% – rispetto al totale delle importazioni americane e al 21% del 2016 – la quota di beni importati dalla Cina. Riassumendo, l’importanza della Cina per le importazioni statunitensi è diminuita, e pure parecchio, nell’ultimo decennio. Anche se, va detto, le importazioni di prodotti cinesi sono avvenute anche via Paesi terzi.

Che cosa acquistano l’uno dall’altro (e viceversa)?

Lo scorso anno, la soia è stato il bene più ricercato dalla Cina. Il motivo? Farne mangime per i 440 milioni di maiali da allevamento presenti nel Paese asiatico. Gli Stati Uniti hanno pure esportato verso la Cina farmaci e petrolio. Esaminando il percorso inverso, scrive sempre la BBC, l’America ha importato dal Dragone elettronica, computer e giocattoli, oltre alle batterie per le vetture elettriche. Gli smartphone, nella speciale classifica, occupano il primo posto (il 9% rispetto al totale delle importazioni statunitensi dalla Cina). Una posizione, questa, di per sé dopata dal momento che molti telefonini importati dall’America appartengono ad Apple. La multinazionale statunitense, a causa dei dazi e dei controdazi, sta soffrendo e non poco in Borsa: nelle ultime settimane, il valore del titolo è calato del 20%.

Se questi prodotti, prima, erano già soggetti a un aumento di prezzo considerando i dazi originari al 20%, con le tariffe al 104% l’effetto per i consumatori sarà (o potrebbe essere) cinque volte più grande.

Anche i beni statunitensi che importa la Cina subiranno un’impennata, considerando le tariffe «vendicative» imposte da Pechino. Di conseguenza, i consumatori di entrambi i Paesi rischiano di soffrire, e non poco, gli effetti di questa guerra.

Detto delle tariffe, su quali altri «campi» stanno battagliando Cina e Stati Uniti?

La Cina fornisce metalli «vitali» per l’industria, come il rame e il litio. Pechino ha già detto che  verranno adottati anche controlli sulle esportazioni di sette articoli «correlati alle terre rare», tra cui samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Washington potrebbe tentare di inasprire il blocco tecnologico sulla Cina avviato da Joe Biden. Come? Rendendo più difficile per la Cina importare il tipo di microchip avanzati –vitali per applicazioni come l’intelligenza artificiale – che non è ancora in grado di produrre da sola. Il consigliere commerciale di Donald Trump, Peter Navarro, ha suggerito questa settimana che gli Stati Uniti potrebbero esercitare pressioni su altri Paesi, tra cui Cambogia, Messico e Vietnam, affinché non commercino con la Cina. La pena? Uno stop alle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Ecco, gli altri Paesi in che modo soffriranno?

A detta del Fondo monetario internazionale, Cina e Stati Uniti – assieme – rappresentano il 43% dell’economia globale. In caso di guerra commerciale aperta, è da prevedere che anche altre economie rallenteranno o, peggio, finiranno in recessione. Gli investimenti, nel mondo, dovrebbero soffrirne. Ma le conseguenze, conclude la BBC, potrebbero essere molteplici. La Cina, per intenderci, è la più grande nazione manifatturiera del mondo e sta producendo molto più di quanto la sua popolazione consumi a livello nazionale. Sta gestendo un surplus di beni che si aggira sui mille miliardi di dollari. Uscendo dal linguaggio tecnico ed economico, Pechino sta esportando più di quanto importi. Spesso, poi, produce beni al di sotto del vero costo di produzione grazie a sussidi interni e al sostegno finanziario statale. Un esempio concreto? L’acciaio. Se questi beni non fossero più in grado di entrare negli Stati Uniti, c’è il rischio che le aziende cinesi cerchino di «scaricarli» altrove. Il che, da un lato, potrebbe tradursi in un vantaggio per i consumatori ma, dall’altro, potrebbe anche creare concorrenza sleale e, in ultima istanza, finire per minacciare posti di lavoro e stipendi.

Una guerra commerciale su larga scala tra Cina e Stati Uniti non si limiterebbe a colpire due potenze: sarebbe una tempesta economica in grado di travolgere interi settori, economie emergenti e mercati sviluppati. La domanda, a questo punto, rischia di non essere più «se», ma «quanto» il mondo è pronto a reggere l’urto.