Disordini urbani

«Milano è complessa e può far paura se la raccontiamo come pericolosa»

La morte del 19.enne Ramy durante un inseguimento dei carabinieri ha riaperto le discussioni sulla sicurezza nella metropoli ma anche sul ruolo dell'immigrazione – Ne parliamo con il professor Roberto Cornelli e con l’assessore alla sicurezza Marco Granelli
© KEYSTONE (EPA/ANDREA FASANI)
Paolo Galli
30.11.2024 06:00

«Scontri nelle banlieue!». Ma è Milano o è Parigi? «Milano città del crimine». O è forse Gotham City? La narrazione attuale della metropoli lombarda lascia spazio a molti dubbi sulla sua sicurezza. In settimana, i fatti del quartiere Corvetto hanno rilanciato il tema, con annesse le solite schematizzazioni politiche (ma d’altronde si avvicinano le Comunali del 2026). Per fare chiarezza, ci siamo rivolti a una voce autorevole come quella di Roberto Cornelli, ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano. Con lui siamo partiti proprio dalle recenti tensioni nella zona sudorientale della città. Il Corvetto, o Corvett, in milanese. «Dobbiamo ragionare su due piani, per capire che cosa sta succedendo. Il primo è legato al singolo episodio, non un fatto epidemico, ma ben distinto, che ha visto un inseguimento da parte di una gazzella dei carabinieri e la morte di uno dei due ragazzi che scappavano in motorino». Un classico esempio, molto urbano, di refus d’obtempérer, finito però nel modo peggiore. «Sono sorti dubbi sulle dinamiche che hanno portato alla morte del 19.enne di origini egiziane, che ora sono all’attenzione della Magistratura. E questi dubbi nella comunità di riferimento del ragazzo hanno portato a un’espressione di rabbia di gruppo nei confronti di quanto accaduto». Due notti di disordini nel quartiere. «Occorre però ragionare, al di là dell’episodio puntuale, sulle ragioni sistemiche di questa sfiducia da parte di una fetta della popolazione residente a Milano nei confronti delle istituzioni. E questo è il piano che più preoccupa. Registriamo infatti una distanza tra i giovani di seconda e terza generazione e le autorità, in particolare le forze dell’ordine».

L’analogia con il 2005 francese

Proprio allargando questo tema, c’è chi in effetti ha paragonato l’episodio del Corvetto a quelli più volte registrati a Parigi. La definizione di banlieue non è però calzante per più motivi, in particolare geografici. Il Corvetto è centrale. Ma il rimando sembra avere senso proprio all’interno della riflessione proposta da Cornelli, che infatti riconosce un’analogia, in particolare con i fatti del 2005, con le rivolte che scoppiarono nelle banlieue francesi. Un’ondata di proteste che «non è paragonabile, numericamente, con quanto accaduto al Corvetto, dove a reagire sono stati, in particolare, gli amici del ragazzo morto. In Francia, le proteste misero a ferro e fuoco intere aree delle principali città per settimane. Ma è analogo l’episodio scatenante. Anche in quel caso, nel 2005, tutto nacque da un inseguimento della polizia a due ragazzi, che trovarono la morte dopo essersi rifugiati all’interno di una cabina elettrica. Entrambe le rivolte sono nate da un inseguimento e, al contempo, da un rapporto di sfiducia nei confronti della legge». Se l’analogia finisce qui, «è comunque importante provare a capire come evitare che certi episodi, se ricorrenti, generino forme di sfiducia generalizzata tali da portare a una definitiva separazione tra giovani e istituzioni. Più che la violenza episodica, è questo aspetto a preoccupare, l’eventuale senso di abbandono di cittadini che dicono di sentirsi di Serie B. Dobbiamo riconoscere, allora, che molte politiche vanno nella direzione di creare questa separazione, queste distanze, e non di annullarle».

L’incidenza degli stranieri

Nel suo libro «Oltre la paura», il professor Cornelli parla di «una vittima costruita», di «una vittima che incarna simbolicamente tutte le pretese di governo di una società che aspira a immunizzarsi da ogni rischio o minaccia». Detto questo, però, quanto incide davvero l’immigrazione sulle tensioni urbane a Milano? È una domanda che troviamo utile proprio per, eventualmente, scartare i luoghi comuni. «Se osserviamo i più recenti dati della criminalità a Milano, ci rendiamo conto che l’immigrazione non ha un peso particolare rispetto ai reati commessi. È vero che nelle carceri si arriva anche ad avere il 50% di detenuti stranieri, ma sappiamo che spesso sono stranieri irregolari. Non parliamo di cittadini italiani di seconda o terza generazione. Quindi sarebbe bene non confondere le cose. I dati che possono essere utilizzati nel ragionamento sono altri, come quelli legati alle denunce di reato. I reati più gravi contro la persona sono commessi soprattutto da italiani. Sui reati contro la proprietà o riguardanti lo spaccio c’è una maggiore incidenza di persone straniere. E c’è un esempio più paradigmatico: a partire dagli anni Novanta si registra una forte e costante diminuzione degli omicidi in Italia. Ebbene, questo calo ormai trentennale avviene nel momento in cui l’Italia diventa, al contempo, un Paese che attrae immigrazione. Se confrontiamo le due curve, quella degli omicidi cala, quella degli stranieri in Italia sale: ecco, associare le due curve - criminalità violenta e immigrazione - non ha senso. Se lo facessimo, dovremmo dire che, con l’aumentare dell’immigrazione, diminuiscono gli omicidi: il che non ha molto senso, proprio perché sono due fenomeni che non possono essere letti come l’uno causa o effetto dell’altro».

Furti a braccetto con il turismo

Nella tradizionale graduatoria del Sole24Ore, Milano è recentemente risultata la città con più crimini per abitante. Abbiamo letto titoli del tipo «Milano città del crimine». «Milano risulta al primo posto perché il grosso dei reati denunciati sono furti. Se proviamo a scomporre il dato, vediamo che, per esempio, rispetto agli omicidi Milano è al 55. posto in Italia. Allora qual è il tema?», si chiede Cornelli. «Il tema è che Milano è una città in cui i furti denunciati sono molto più presenti che in altre città. Ai primi posti, per furti, troviamo Milano, Roma, Firenze, Rimini e Venezia. Sono tutte città molto turistiche. Non è una novità che i dati contro il patrimonio siano maggiori laddove c’è più ricchezza, dove ci sono più beni in circolazione». Il professore ne ha parlato, soltanto pochi giorni or sono, con l’assessore alla Sicurezza di Milano. «Anche con lui abbiamo ragionato in questi termini, ricordando come le città turistiche abbiano problemi più seri legati ai furti, ma proprio perché ci vivono e ci passano molte più persone e più ricchezze. È un dato da mettere in conto nelle fasi di crescita delle metropoli».

La percezione

Resta il fatto che, sempre più spesso, se qualcuno va a Milano torna con una sensazione di crescente insicurezza e di distacco tra le classi sociali. Ma perché abbiamo così tanto bisogno di politiche di rassicurazione? È uno dei temi studiati proprio dal professor Cornelli. Ed è una questione che riguarda «la rappresentazione e la narrazione dell’insicurezza, le quali non dipendono solo da cosa ho vissuto sulla mia pelle e da cosa ho sperimentato. Faccio un esempio molto semplice: quando io prendo la metropolitana per andare al lavoro, quattro volte al giorno sento il messaggio che mi dice di fare attenzione alle borseggiatrici e ai borseggiatori. Quattro volte al giorno per 250 giorni all’anno. Io non ho mai subito un borseggio in vita mia, ma comunque mi ritrovo a pensare, ogni singola volta, che ci sono persone che potrebbero rubarmi il portafoglio. Questa è una tipica rappresentazione che induce un’insicurezza che io non avrei. D’altronde, in una società complessa come la nostra, in una società mediatica, non possiamo pensare veramente che quello che percepiamo non dipenda anche da quello che si dice». E poi c’è la dimensione urbana della grande città che è lontana dalla rappresentazione rassicurante della vita nei comuni più piccoli e periferici. «Milano è complessa, e questa complessità può far paura se noi la raccontiamo come qualcosa di pericoloso. Quindi, in un certo senso, la narrazione e le politiche funzionano come elemento produttore di insicurezza piuttosto che di rassicurazione sociale». Un paradosso molto attuale.

«Fondamentale dare una risposta al disagio dei cittadini»

© KEYSTONE (EPA/ANDREA FASANI)
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Con l’assessore alla sicurezza di Milano, Marco Granelli, partiamo proprio dai dati. E dalle classifiche, come quella del Sole24Ore. «Siamo in testa da anni, ma non è un caso, visto che ogni giorno Milano arriva ad avere il doppio dei suoi abitanti reali se contiamo i pendolari, gli studenti e i turisti». Dai dati, perlomeno dal 2020, emerge però un’altra realtà. «I reati violenti (omicidi e rapine) sono diminuiti, mentre sono aumentati quelli predatori (scippi) e quelli legati allo spaccio di stupefacenti». Reati, dice, che hanno a che fare con l’evoluzione della città. «I reati convergono dove c’è maggiore ricchezza e nei luoghi più affollati. Non è un caso che si concentrino nelle stazioni e in centro». Per far fronte a questa situazione, ogni tre mesi le autorità cittadine affrontano il tema della sicurezza con il Ministero dell’interno. «Da tempo, noi e gli altri capoluoghi, chiediamo un aumento delle forze di polizia». Giovedì, in effetti, dopo quanto avvenuto al Corvetto, il ministro Piantedosi ha assicurato l’arrivo di 600 agenti in più.

Di fronte alla crescita della microcriminalità, però, è maggiore anche l’insicurezza percepita. «Per la nostra amministrazione si tratta di un aspetto centrale. Il cittadino che fatica a vivere la sua città perché si sente poco sicuro è un tema fondamentale», evidenzia Granelli, secondo il quale «non bisogna quindi solo lavorare sulla diminuzione dei reati, ma anche sulla percezione della popolazione. Dare una risposta al disagio avvertito». Anche perché, malgrado i reati siano più lievi, toccano maggiormente la sfera personale e finiscono per spaventare di più. «La nostra risposta deve quindi essere quella di far sentire il cittadino meno solo. Far sì che percepisca la presenza delle autorità». Concretamente, ciò si traduce in un maggiore controllo del territorio, ma non solo. «Da un lato, abbiamo chiesto al Ministero di rafforzare il numero di agenti e noi stessi abbiamo aumentato l’organico della polizia locale. Nel 2021 contavamo a Milano 2.800 agenti di Polizia locale e intendiamo arrivare a 3.350. Dall’altro lato, però, la città deve vivere. Una piazza vuota, di sera, fa paura, quindi stiamo lavorando affinché i luoghi vengano vissuti». La sicurezza, tiene a ribadire Granelli, «si fa con il controllo del territorio, ma anche con la riqualificazione della città, superando gli spazi abbandonati».

Connesso al tema della sicurezza, spesso dalle forze politiche viene evocato anche quello della migrazione. «L’esperienza degli altri Paesi dimostra che occorre lavorare sull’immigrazione, perché se non viene gestita può portare ad avere fasce della popolazione non inserite e più propense a delinquere». Secondo l’assessore, «occorrono quindi politiche chiare, che consentano in primis di garantire l’accesso al lavoro, ma anche alla cittadinanza. Se noi escludiamo gli italiani di seconda e terza generazione, creiamo un problema. Pur essendo nati qui e aver seguito le scuole qui, questi ragazzi hanno l’impressione di essere rifiutati. Se non facciamo qualcosa in proposito, rischiamo davvero di creare le banlieue». 

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