Milei vuole lo stato d’emergenza, la crisi argentina fa già paura

Il presidente argentino, Javier Milei, ha inviato al Congresso un progetto di legge in cui chiede di dichiarare fino al 31 dicembre 2025 lo stato di emergenza pubblica in campo economico, finanziario, fiscale, pensionistico, di sicurezza e di difesa, tariffario, energetico, sanitario e sociale.
Il testo raccoglie una serie di iniziative già contemplate nel Decreto di necessità e urgenza (DNU) firmato la settimana scorsa, e si compone di 183 pagine e 664 articoli. Una sorta di mostro legislativo-regolamentare, nel quale si stabiliscono - tra le altre, moltissime cose - la sospensione dell’adeguamento dei salari al carovita e un inasprimento mai visto in un sistema democratico delle libertà civili: in particolare, l’obbligo per i cittadini di chiedere l’autorizzazione per riunioni alle quali partecipino più di tre persone. Il disegno di legge elenca pure tutte le società e le aziende di proprietà pubblica che potranno essere privatizzate, tra le quali spiccano le Aerolíneas Argentinas, l’Aysa (gigantesca multiutility che gestisce l’acquedotto di Buenos Aires, ndr), il Banco Nación e i canali radiotelevisivi Channel 7, Radio Nacional e Telam.
La legge omnibus, com’è stata ribattezzata dai media per la sua lunghezza e per la vastità degli argomenti trattati, prevede il trasferimento all’Esecutivo di ampi poteri legislativi in materia economica, finanziaria, previdenziale, fiscale, sanitaria e persino elettorale. Oltre a un inasprimento delle sanzioni contro ogni forma di protesta sociale.
Milei vorrebbe che qualsiasi «assembramento intenzionale e temporaneo di tre o più persone» fosse considerato una manifestazione punibile con una condanna fino a sei anni di carcere se lo stesso «impedisse il libero transito o la fornitura di servizi pubblici».
Nell’elenco delle riforme, che Milei ha chiamato «Legge delle basi e dei punti di partenza per la libertà degli argentini», sono ricompresi, oltre al potere del Governo di privatizzare, la fine delle elezioni primarie dei partiti e una ristrutturazione della Camera dei Deputati che permetta di incrementare la forza parlamentare dei partiti oggi meno rappresentati - ad esempio, lo stesso partito del presidente, «La Libertad Avanza».
Il decreto omnibus dichiara, come detto, il Paese in stato di «emergenza pubblica» fino al 31 dicembre 2025, con la possibilità di prorogare questa data per altri due anni, coprendo così l’intero mandato presidenziale. L’emergenza pubblica consentirebbe al Governo di legiferare, ma la Costituzione argentina vieta questa delega, limitandola «ad alcune questioni amministrative» e con «un termine fissato comunque dal Congresso».
Situazione esplosiva
La situazione, nel Paese, appare a dir poco esplosiva. Durante le prime tre settimane di Javier Milei alla Casa Rosada, il malcontento sociale è cresciuto enormemente, anche a causa delle drastiche misure economiche annunciate dal ministro dell’Economia, Luis Caputo: svalutazione del peso (la valuta argentina) del 50%, eliminazione dei sussidi per i trasporti e l’energia a partire dal prossimo mese di gennaio, mancato rinnovo dei contratti di almeno 5 mila dipendenti statali, i quali rimarranno senza lavoro.
La Confederación General del Trabajo (CGT) e la Central de Trabajadores de la Argentina (CTA), i due principali sindacati del Paese, sono letteralmente sul piede di guerra. Hanno presentato una misura cautelare contro il mega-decreto - respinta, però, dal Tribunale di prima istanza - e sono scesi in piazza mercoledì per una protesta che ha coinvolto oltre 20 mila persone.
Anche i partiti della sinistra hanno depositato alcuni ricorsi in Tribunale sostenendo l’incostituzionalità di gran parte del decreto. Si delinea, in questo modo, la triplice strada che le opposizioni percorreranno per contrastare il progetto di Milei: giudiziaria, parlamentare e sociale. Tribunali e strade, in particolare, potrebbero diventare, nei prossimi giorni, teatro di scontri incandescenti. Perché se da un lato il presidente ha già avvertito di voler utilizzare «tutte le misure deterrenti» a sua disposizione contro eventuali disordini, dall’altro lato si punta sulla mobilitazione e sulla protesta popolare. In una conferenza stampa, il segretario generale della CGT, Hector Daer, ha annunciato la proclamazione dello sciopero generale di 12 ore per il prossimo 24 gennaio.
In ogni caso, Milei ha già detto che se il Congresso non approverà i suoi provvedimenti, egli indirà «ovviamente» un referendum. Davanti alle telecamere di LN+, il canale televisivo di proprietà del quotidiano La Nación, il presidente argentino è tornato al linguaggio da campagna elettorale, affermando - senza fare naturalmente alcun nome - che «parte della lentezza dei parlamentari» nel far passare il decreto è dovuta al fatto che «cercano tangenti».