L'intervista

ONU, la riforma «impossibile» del Consiglio di sicurezza

L’ex ambasciatore italiano Guido Lenzi, oggi docente di Relazioni internazionali all’Università di Bologna, spiega i motivi che hanno portato allo stallo dei progetti di revisione dell’ordinamento delle Nazioni Unite - Perché le posizioni di Russia e Cina sono diverse tra loro
Nel Consiglio di sicurezza dell’ONU siedono 15 Paesi: cinque sono membri permanenti, dieci sono invece componenti a rotazione biennale. Attualmente, la Svizzera fa parte del Consiglio. ©Richard Drew
Dario Campione
11.12.2023 20:30

L’ultimo veto posto dagli USA alla risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza ha rimesso in moto le inevitabili polemiche sul ruolo del Consiglio di sicurezza dell’ONU e sulla sua reale capacità di affrontare le crisi internazionali.

In un recentissimo rapporto pubblicato alla fine di settembre dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), l’inviato ed editorialista di affari internazionali del Sole 24 Ore Ugo Tramballi ha riassunto la questione in modo esemplare: «Il grande scheletro nell’armadio delle Nazioni Unite è», da tempo immemore, «la riforma del Consiglio di sicurezza: forse la più irriformabile delle istituzioni al mondo perché non riguarda partiti o lobbies economiche, ma le nazioni».

Com’è noto, il Consiglio è formato da cinque membri permanenti con diritto di veto (USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) e dieci a rotazione per 2 anni (tra cui, in questo momento, c’è anche la Svizzera). «Il mondo attorno a noi è sempre più complicato. Ma i cinque, come una grande muraglia a difesa dell’immutabilità delle vicende umane, continuano a rappresentare la geopolitica del 1945», scrive Ugo Tramballi.

La cosa curiosa, peraltro, è che a impedire la riforma sono spesso i Paesi che sgomitano per sedersi al tavolo dei grandi. India, Brasile e Sudafrica «sono i più determinati a entrare nel sinedrio globale: ma per loro, Xi Jinping e Vladimir Putin sono un ostacolo» più che alleati di cui fidarsi. «Quasi ogni Stato che conti e diverse unioni regionali hanno un loro progetto di riforma. Tuttavia, gli indiani non vogliono i pakistani e viceversa; così il Sudafrica e la Nigeria, il Brasile e l’Argentina, il Giappone e la Corea del Sud, l’Egitto e la Turchia o l’Arabia Saudita. Il sostegno a questa o quella nazione, a una o l’altra riforma, è volatile come le alleanze fra le contrade di Siena prima del Palio». L’ultima grande discussione plenaria sul progetto di riforma delle Nazioni Unite risale al 2020. Nel dibattito a Palazzo di Vetro presero la parola praticamente i delegati di tutti i Paesi. Senza però decidere alcunché. Le risoluzioni dell’assemblea continuano ad avere unicamente valore simbolico, mentre il Consiglio di sicurezza è paralizzato dai veti incrociati dei membri permanenti.

Perché non funziona

Guido Lenzi, già ministro consigliere della Repubblica italiana alla sede ONU di New York e rappresentante permanente all’OSCE a Vienna, è stato a lungo direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e consigliere diplomatico del ministero della Difesa e del Viminale. Attualmente, insegna Diplomazia e relazioni internazionali all’Università di Bologna.

«Le Nazioni Unite non funzionano - spiega Guido Lenzi al Corriere del Ticino - perché il Consiglio di sicurezza non funziona; e il Consiglio di sicurezza non funziona perché non c’è collaborazione. Vladimir Putin dice oggi che le Nazioni Unite sono una costruzione occidentale, che l’Occidente tende a imporvi il proprio marchio, ma così facendo rinnega le ragioni alla base della nascita dell’ONU, cui l’Unione Sovietica aveva contribuito, e molto, nel 1945. Le stesse ragioni che erano state riprese nel 1989 da Mikhail Gorbaciov, al quale fra l’altro si deve la fine della cortina di ferro. Non dimentichiamolo mai: nessuno ha spinto giù quel muro a Berlino, né è caduto da solo. Fu Gorbaciov a volerlo».

L’allora segretario generale del Partito Comunista sovietico, dice ancora Lenzi, si mosse per «rivalorizzare le Nazioni Unite e il sistema di relazioni internazionali, ma poi Putin ha voltato le spalle a quel progetto, accusando l’ONU di essere uno strumento di imposizione dei valori e delle politiche occidentali. La Cina, invece, ha una posizione diversa: insiste affinché le Nazioni Unite accolgano le aspirazioni di altri Paesi, ma tende a partecipare e a guidare le varie agenzie, alcune delle quali, penso alla FAO, sono guidate da un cinese (il biologo 60 enne Qu Dongyu, ndr). I cinesi, insomma, al contrario dei russi, sono riusciti a posizionarsi nel sistema delle Nazioni Unite per farlo funzionare dal di dentro».

Il ruolo di Berna

Che fare, allora? Davvero il Consiglio di sicurezza è irriformabile? Secondo l’ex ambasciatore Guido Lenzi, «Serve soprattutto restituire dinamismo alle funzioni delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza. Ma per farlo è necessario procedere dal basso, ovvero da una serie di iniziative prese dalle organizzazioni regionali - africane, asiatiche ed europee. Costruire, insomma, solidarietà subregionali che vadano a rivitalizzare il Consiglio di sicurezza dal basso, non dall’alto».

Il senso delle Nazioni Unite, dice ancora Lenzi, «È la collaborazione. Senza, non è possibile strutturare un nuovo ordinamento internazionale. E attenzione, parlo di ordinamento, non di ordine: bisogna mettere da parte l’idea che ci siano Stati con responsabilità egemoniche. Il meccanismo di gestione dei rapporti internazionali dev’essere collettivo, e non fondato su un equilibrio di forze, così come è stato invece nei secoli passati. Le moderne Nazioni Unite hanno tentato di migliorare il sistema della Società delle Nazioni uscito dalla Grande Guerra: avevano l’obiettivo di costruire un mondo non antagonistico, basato certo sul rapporto di forze ma collaborativo, partecipativo. È davvero sorprendente ascoltare oggi le parole del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, secondo il quale l’Occidente non può più dominare il pianeta e altre cose di questo genere».

In questo scenario, anche Berna potrebbe avere un ruolo molto importante. «La Svizzera è stata fondamentale nella costruzione dell’OSCE, sfociata il 1. agosto 1975 nello storico accordo di Helsinki - conclude Lenzi - Accordo al quale bisognerebbe ricondurre la Russia che invece ha voltato le spalle all’Europa, negando quanto fatto non solo da Gorbaciov ma anche da Leonid Brežnev. Nel mondo ci sono gli amici dell’America, gli amici della Russia e quelli della Cina, e poi in mezzo ci sono gli Stati come la Svizzera, un grande Paese che lavora benissimo dietro le quinte».

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