Pechino parla di pace, ma pensa ai droni kamikaze
La guerra, agli occhi della Cina, non può essere vinta. Da nessuno. È quanto emerge, fra le righe, dal piano di pace di Pechino. È quanto ha detto, o fatto capire, il responsabile della strategia internazionale cinese, Wang Yi, durante il suo tour europeo. Non solo, il prezzo più alto – in termini di economia e geopolitica – lo sta pagando (e lo pagherà) l’Unione Europea.
Scavando più a fondo, le parole di Wang Yi assomigliano tanto a un attacco, l’ennesimo, a Washington. Già, perché l’Europa, secondo Pechino, è ostaggio della strategia di sicurezza degli Stati Uniti. E così, il citato piano di pace cinese – secondo gli analisti – sarebbe un mezzo per migliorare i rapporti con l’Europa, soprattutto sul piano commerciale. Della serie: se le tensioni con l’America sono destinate a durare ancora, complici la questione Taiwan e, appunto, la guerra in Ucraina, con lo spauracchio di rifornimenti di armi da parte di Pechino, meglio creare nuove alleanze.
Wang Yi, prima che il piano di pace venisse comunicato, ha trascorso gli ultimi giorni a Mosca. Ha incontrato diversi membri dell’élite politica russa, fino ad arrivare a Vladimir Putin. Se, da un lato, la Cina ha cercato e sta cercando il conforto e l’approvazione dell’Europa, dall’altro ha confermato che l’amicizia con la Russia, citiamo, è solida come una roccia. Tant’è che, si mormora, Xi Jinping in persona in primavera sarà al Cremlino.
In quella che potremmo definire una narrazione congiunta, Wang Yi ha detto che la Cina ha apprezzato «la disponibilità della Russia a risolvere il conflitto ucraino attraverso i negoziati». Una disponibilità che, manco a dirlo, l’Occidente non ha rilevato. Né, d’altronde, è dato sapere quando e con quali termini sarà possibile far accomodare Putin a un tavolo con Kiev.
Washington, dal canto suo, è convinta che la Cina vuole dividere l’Occidente. La Casa Bianca parla con una certa sicurezza di doppiogiochismo cinese. Dopo il balloon gate, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, a Monaco ha messo in guardia proprio Wang Yi e, di riflesso, l’intera Cina. Dicendogli di possedere «informazioni che evidenziano come Pechino stia valutando di inviare armi letali ai russi». Funzionari dell’amministrazione Biden, citati dal Wall Street Journal, hanno fatto sapere che potrebbero rilevare dati di intelligence sul possibile invio di queste armi all’esercito russo. Si parla, con insistenza, di droni.
Un anno fa, intervenendo alle Nazioni Unite, lo stesso Blinken spiegò, per l’ultima volta, che i russi avevano ammassato truppe e mezzi al confine con l’Ucraina. E che un’aggressione era oramai prossima. Per settimane il Cremlino aveva preso in giro l’intelligence americana, con tanto di sfottò sugli orologi, garantendo che mai la Russia avrebbe invaso l’Ucraina. Quanto successo, ora, ha (ri)dato credito all’intelligence statunitense.
Pechino, proprio come la Russia un anno fa, sembrerebbe bluffare. Ha negato l’esistenza di piani e strategie per rifornire Mosca di munizioni, cannoni, finanche missili. «Speculazioni e calunnie». Semmai, è proprio l’America a inviare di continuo «forniture belliche sul campo di battaglia».
A detta degli analisti occidentali, il piano di pace è quantomeno ambiguo. Perché non dà indicazioni concrete su come arrivare all’auspicata e agognata pace. E perché è stato presentato dopo il viaggio in Russia di Wang Yi. Con tanto di indiscrezione, firmata Der Spiegel, di un rifornimento di cento droni kamikaze cinesi. Parafrasando il pensiero cinese, nessuno vincerà questa guerra ma non sarà certo Pechino a fermarla.