Perché il ruolo dell'Arabia Saudita, ora, è anche politico?
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L’Arabia Saudita sta acquisendo maggiore peso internazionale. Non è un caso se l’inizio dei negoziati fra Russia e Ucraina si terrà proprio a Riad. Quali i motivi dietro a questo successo, dottoressa Ardemagni?
«L’Arabia Saudita si è posta fin da subito in una posizione di terzietà rispetto all’invasione russa dell’Ucraina e al conflitto. Nonostante abbia votato a favore della condanna all’Assemblea generale dell’ONU, Riad – che non aderisce alla Corte penale internazionale – ha sempre saputo mantenere una certa equidistanza fra le parti in guerra. I sauditi hanno inoltre intrattenuto un rapporto diretto piuttosto intenso con Kiev: Zelensky è stato diverse volte in Arabia Saudita. Un altro punto a favore della diplomazia del Golfo sono state le mediazioni negli scambi di prigionieri fra l’Ucraina e la Russia, ma anche fra Russia e Stati Uniti».
Oltre all’Arabia Saudita, anche gli Emirati Arabi e il Qatar si stanno profilando come attori della diplomazia internazionale. Insomma, il Golfo persico sta diventando una potenza globale?
«Negli ultimi anni il Golfo si è affermato come un’area strategica sia per gli interessi delle potenze mondiali, sia per le capacità di interloquire fra Paesi in conflitto. Per quanto riguarda il negoziato su Gaza e più in generale sul Medio Oriente, l’Arabia Saudita è parte della stessa trattativa. Venerdì a Riad si incontreranno molti leader del mondo arabo per trovare una posizione comune su un piano alternativo da proporre a Donald Trump, che superi il piano Riviera. Un piano, quest’ultimo, semplicemente irricevibile per i Paesi arabi, a cominciare dall’Arabia Saudita. Tornando a Riad, sta raccogliendo i frutti di ciò che ha seminato negli anni in quanto a neutralità. Ma c’è un altro aspetto che andrebbe sottolineato».
Quale?
«Mercoledì, il giorno seguente l’avvio dei primi contatti fra la diplomazia americana e quella russa, a Riad è atteso Zelensky. I sauditi non stanno dunque mettendo a disposizione solo il luogo per la mediazione, ma stanno già interpretando un ruolo di facilitazione se non di mediazione. L’Arabia Saudita del principe ereditario Mohammed bin Salman sta giocando un ruolo politico».
L’influenza saudita non è dunque più solo regionale. Ha alzato il livello e ora ambisce a entrare a pieno titolo nello scacchiere geopolitico internazionale. Con quale scopo?
«In questi anni l’obiettivo dell’Arabia Saudita è aumentare la propria capacità di influenza a livello globale. Una capacità di influenza che sia pari alla sua forza economica, cresciuta moltissimo nell’ultimo decennio. Da parte di Riad c’è il tentativo, attraverso i dossier più scottanti come il conflitto in Ucraina, di posizionarsi come Paese cardine della discussione. E quindi di mostrare quanto gli equilibri internazionali stiano sempre più mutando a favore del cosiddetto Sud globale. Non dimentichiamoci che Riad è stata invitata a entrare a far parte dei Brics. Un ingresso che probabilmente – per salvaguardare la posizione diplomatica – non avverrà a medio termine, ma che dimostra la volontà di avere maggiore peso internazionale nelle nuove dinamiche del potere mondiale».
Cresce l’influenza del Golfo, tramonta quella europea. Dovremo abituarci all’idea che le decisioni importanti non verranno più prese sul territorio del Vecchio continente?
«L’assenza dell’Europa a Riad è lo specchio del nuovo equilibrio internazionale. Gli americani, con Trump, dimostrano la volontà di dialogare quasi esclusivamente con le grandi potenze, come Cina e Russia. E ciò diminuirà ancora di più gli spazi politici per l’Unione europea e anche quelli dei singoli Stati membri. Allo stesso tempo, ciò darà un ruolo più sostanziale alle medie potenze regionali, fra cui appunto l’Arabia Saudita».