Putin, Trump e una tregua «limitata» in Ucraina: «Un passo piccolissimo»

Un filo diretto fra Washington e Mosca. Meglio: una telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin. A tema Ucraina, evidentemente, ma non solo. Uno scambio di vedute che ha soddisfatto le parti, stando ai comunicati. E che, soprattutto, ha prodotto un cessate il fuoco di trenta giorni «limitato alle infrastrutture energetiche». Della serie: la guerra continua, ma intanto è stato compiuto un piccolo, significativo passo verso una possibile soluzione del conflitto. Una buona notizia, dunque? Solo il tempo lo dirà. «Di sicuro, però, possiamo tirare un sospiro di sollievo» spiega, contattato dal Corriere del Ticino, Antonio Missiroli, consulente senior dell’Istituto per gli studi di politica internazionale e già assistente del segretario generale della NATO per le sfide emergenti legate alla sicurezza.
Dottor
Missiroli, che cosa può dirci, a caldo,
rispetto a questa telefonata?
«Dico
che molto, naturalmente, dipenderà da quello che sapremo nelle ore e nei giorni a
venire. A caldo, tuttavia, ho l’impressione che il risultato del colloquio fra Trump e
Putin sia un compromesso fra la proposta iniziale dell’Ucraina e ciò che lo stesso Putin
era o non era disposto a concedere. Mi spiego meglio: gli ucraini chiedevano
una tregua più
ampia rispetto a quella menzionata a margine della telefonata, comprendente le
operazioni aeree e navali, mentre la tregua appena concordata è limitata appunto alle
infrastrutture energetiche. Significa, lato ucraino, che Kiev non subirà per i prossimi trenta
giorni attacchi alle sue centrali, mentre Mosca potrà salvaguardare le sue
raffinerie. Parlerei, quasi, di equilibrio: è chiaro che Putin non
poteva uscire da questo colloquio rifiutando un qualsiasi tipo di tregua e che,
dunque, qualcosa doveva concedere, ed è altrettanto chiaro che questa concessione fa pure il
suo gioco. L’Ucraina,
infatti, è
stata protagonista di operazioni efficaci contro le raffinerie in territorio
russo».
Perché, in generale, possiamo
parlare di sospiro di sollievo?
«Perché Putin, fino all’ultimo, e le
dichiarazioni di Trump fino a qualche giorno fa ci avevano fatto preoccupare,
ha cercato di negoziare non una tregua ma, addirittura, un accordo finale di
pace. Un accordo che comprendesse concessioni territoriali e altre richieste di
natura politica. Ciò non è avvenuto e, di riflesso,
credo che per il momento possiamo tirare un sospiro di sollievo. Ora, come
dicevo, molto dipenderà da ciò che succederà nelle prossime ore e nei prossimi giorni».
Una
domanda apparentemente banale: possiamo fidarci di Vladimir Putin? E se la
Russia violasse questa tregua?
«Bisognerebbe
capire, al riguardo, se Putin ha interesse a violare la tregua per ottenere
vantaggi tattici, magari manipolando l’informazione e accusando l’Ucraina di averla
violata per prima, o se invece preferisce rispettare i patti e, di conseguenza,
mantenere una relazione di lavoro con Trump. È chiaro che, dopo essersi
speso, ovviamente a modo suo, per arrivare a questo risultato, se Trump vedesse
che Putin rompe unilateralmente la tregua la sua relazione con il leader del
Cremlino cambierebbe. Un calcolo razionale, insomma, ci dovrebbe portare a
pensare che non è né sarà nell’interesse di Putin
violare in modo evidente questa tregua. Poi, va da sé, potranno esserci provocazioni
e interpretazioni differenti di quanto pattuito».


Quali
passi andranno intrapresi, dopo questo primo step verso una possibile pace?
«Parlerei
di un primo, piccolo passo. Piccolissimo, anzi. Gli aspetti più controversi e delicati
non sono ancora stati affrontati, non in una maniera che possa, come dire,
apparire accettabile da entrambe le parti. Meglio questo piccolo passo, in ogni
caso, piuttosto che un fallimento completo. Siamo di fronte a un compromesso al
ribasso, che tuttavia ci dice qualcosa di importante: il filo del negoziato
potrebbe continuare».
Parentesi
rispetto ai negoziati: come procederà, ora, la guerra? Non
ci saranno attacchi alle infrastrutture energetiche, ma Russia e Ucraina continueranno
a combattere…
«Nei
prossimi giorni la Russia cercherà di espellere del tutto le forze ucraine dal Kursk, in
modo da togliere a Kiev, in caso di un eventuale negoziato sui territori, l’unica carta che ha, e
cioè quella
di avere preso il controllo di una porzione di territorio russo. In parte, è ciò che sta già accadendo ed è un chiaro obiettivo di
Putin in vista di un accordo. D’altro canto, una tregua così limitata permette a
Mosca di continuare le operazioni di terra nel Kursk. Detto del Kursk,
continueranno pure i bombardamenti, anche sulla popolazione civile ucraina».
Come
dobbiamo leggere, noi europei, questa telefonata? Proprio oggi il
Bundestag tedesco ha detto sì a
un indebitamento illimitato per riarmo e infrastrutture. Come dire: «Non ci fidiamo degli
americani». E certe indiscrezioni, come il fatto che l’amministrazione Trump
fosse pronta a riconoscere come russa la Crimea, non lasciavano presagire
scenari idilliaci.
«Diciamo,
innanzitutto, che è difficile
se non impossibile cercare di indovinare come si muove e come si muoverà Trump. Non disponiamo
degli elementi necessari per farlo. Lo scenario peggiore, come dicevo, non si è verificato e questo,
appunto, è un
motivo di sollievo. Per il momento, cioè, non ci sono state le
concessioni alla Russia che tutti temevano. Resta, però, il dubbio che queste
concessioni possano avvenire in una fase successiva. Portiamoci perciò a casa, per ora,
semplicemente questo: il fatto che il peggio non sia accaduto. E,
parallelamente, cerchiamo in quanto europei di capire come influenzare i passi
successivi».


Ecco,
come? L’impressione è che l’Europa sia stata
confinata in panchina.
«In
realtà, la
diplomazia europea si è mossa dietro le quinte. Non parlo di Unione Europea,
non solo, ma di Europa. Ci sono state diverse missioni a Washington con inviati
delle maggiori capitali europee. Il segnale che ha inviato il Bundestag è sicuramente molto
positivo. Ora, beh, starà proprio all’Unione Europea lanciare altri segnali, da un lato con
il Libro bianco della Commissione Europea e, dall’altro, con il Consiglio
Europeo del 20 e 21 marzo. L’importante, per l’Europa, è prevenire mosse che
possano diventare irreversibili, in termini negativi, per l’Ucraina. E,
parallelamente, cercare di tenere aperto un filo negoziale che possa
contribuire a portare soluzioni decenti e accettabili».