Schwa, sì o no?

Se è vero che ogni lingua si adatta nel tempo, è bene aspettare che i cambiamenti spontanei avvengano prima nel parlato, oppure le lingue si possono modificare per scelta? Oggi la lettera «schwa» è un qualcosa di molto discusso, specie dopo una petizione lanciata in Italia. La schwa, in realtà, esiste da tempo. La si usa in linguistica e in sociolinguistica, per riuscire a rendere un suono in altre lingue. Fa parte dell’alfabeto fonetico internazionale (API o IPA), un sistema di scrittura introdotto nel 1886 dall’associazione fonetica internazionale per rappresentare i suoni delle lingue nelle trascrizioni fonetiche con cui trascrivere i suoni (foni) delle tantissime lingue che esistono nel mondo. Ad ogni simbolo corrisponde inequivocabilmente un suono preciso, così che un parlante nativo di una lingua possa riconoscere la pronuncia di un fono di un’altra lingua: se apriamo un qualsiasi dizionario, possiamo trovare la trascrizione IPA dei suoni. L’alfabeto fonetico IPA o API è un sistema riconosciuto a livello internazionale. La vocale schwa è espressa come una «e» rovesciata, /ə/. Si può dire anche scevà. Deriverebbe dall’ebraico šěwā’.
Oggi la schwa inizia a essere utilizzata nell’italiano scritto, come simbolo di italiano inclusivo. Nei cellulari si trova facilmente, basta premere più a lungo la lettera «e», diversamente dalle tastiere del pc, dove forse è più facile copiare e incollare. Questa lettera appare sempre di più nelle piattaforme social, riconosce chi non si identifica con un genere sessuale specificato. La ə è molto usata in contesti LGBTI e gender fluid, prima si utilizzava di più l’asterisco. Ma cosa comporta la modifica di una lingua, quando la modifica non è generata naturalmente dalla lingua stessa?
Gli intellettuali in difesa
Massimo Arcangeli, noto linguista italiano e professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Cagliari, ha deciso di avviare una petizione in merito. La petizione, pubblicata sulla piattaforma Change.org, ha ottenuto moltissime adesioni e sta continuando a raccogliere firme. Tra i firmatari anche Luca Serianni, linguista e filologo, Edith Bruck, poetessa e scrittrice, Alessandro Barbero, storico e scrittore, Massimo Cacciari, filosofo e professore, Francesco Sabatini, professore di linguistica italiana e presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo Flores d’Arcais, direttore di MicroMega, oltre a moltissimi scrittori e intellettuali italiani. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca e professore Ordinario di Storia della Lingua italiana all’Università del Piemonte Orientale, ha firmato la petizione e ha scritto un pezzo su «Il Messaggero» intitolato «La nostra lingua strapazzata da un asterisco». Gian Antonio Stella ha scritto un articolo sul Corriere della Sera citando A Silvia di Leopardi, Michela Murgia ha lanciato una contro-petizione sull’apericena, definendo la petizione «insensata, disperata, reazionaria e senza destinatario».
La raccolta firme, intitolata «Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra», è stata lanciata dopo che il Ministero dell’Istruzione italiano ha pubblicato un verbale riguardante la procedura concorsuale per l’abilitazione scientifica per l’abilitazione alla carica di professore universitario di prima e seconda fascia. Nel testo dei no-schwa appare anche una motivazione differente dalla semplice questione linguistica. L’uso della schwa comporta il rischio «di arrecare seri danni a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche». L’intenzione di Arcangeli è quella di inviare la petizione al Ministero dell’Università.
Ma come si pronuncia la schwa? La pronuncia fonetica sarebbe uguale alla «a» di about. Il suono si ritrova anche nei dialetti italiani, come ad esempio nel napoletano «mammətə» (mammeta).
Manca il «neutro»
Si tratta di una vocale intermedia tra la «a» e la «o». Un po’ difficile introdurre un nuovo suono nel parlato, appare un po’ innaturale e non sempre sarà di facile pronuncia. Nello scritto, invece, come si mettono gli articoli: al femminile o al maschile? Ma se l’inglese «they», per definire un genere non binario, è più semplice, con la schwa c’è un problema di gestione. Esempio pratico: si dice lə professorə o il professorə? I dubbi maggiori, ovviamente, si pongono con la terza persona singolare e con l’articolo. L’articolo si declina al maschile o al femminile: insomma, i maestrə o lə maestrə? Nel caso si usasse lə maestrə, ci sarebbe un problema di eliminazione dell’articolo maschile, dall’altro lato se si usasse i maestrə si eliminerebbe il femminile. In italiano sono declinati per genere pronomi, aggettivi e sostantivi. Un altro problema è il genere neutro, che non manca né nel latino, né nel tedesco («die, der, das», anche se das si riferisce a oggetti o cose, come «das auto»), ma che nell’italiano non esiste. In inglese, il «they» è una soluzione perfetta perché l’inglese è una lingua gender neutral, senza declinazioni al femminile o al maschile.
Interessante sapere cosa ne pensano i lettori. Voi che ne pensate: schwa sì o schwa no?