L'intervista

«Trump è il teorico degli alternative facts: se per ragioni tattiche è utile sposare la retorica di Putin, lo farà»

L'Europa, dunque, dovrà «fare da sola»? E L'Ucraina, di riflesso, davvero verrà abbandonata dagli Stati Uniti? Abbiamo girato queste e molte altre domande al politologo dell'Università La Sapienza di Roma Mattia Diletti
©Luis M. Alvarez
Marcello Pelizzari
02.03.2025 17:30

L'Europa, dunque, dovrà «fare da sola»? E L'Ucraina, di riflesso, davvero verrà abbandonata dagli Stati Uniti? Domande, queste, emerse con forza dopo l'incontro-scontro di venerdì alla Casa Bianca fra Donald Trump, il suo vice JD Vance e il leader di Kiev Volodymyr Zelensky. Domande, ancora, che abbiamo girato a Mattia Diletti, politologo dell'Università La Sapienza di Roma nonché autore di Divisi. Politica, società e conflitti nell’America del XXI secolo (Treccani). 

Professore, è possibile ricondurre i toni accesi di Donald Trump e JD Vance al «vissuto» fra l’attuale presidente e Volodymyr Zelensky? Sappiamo, ad esempio, che Trump nutre un certo rancore per la vicenda Hunter Biden. O si è trattato, piuttosto, di un calcolo politico e strategico dell’amministrazione Trump per forzare Zelensky ad accettare le condizioni quadro in vista di un accordo con la Russia e, parallelamente, per motivare un eventuale disimpegno statunitense in Ucraina?
«Si è aperto un dibattito mondiale sull’ipotesi che fosse una trappola premeditata o meno. Penso lo fosse, e che servisse a due obiettivi: il primo è indebolire Zelensky – la speranza potrebbe essere quella di avere una leadership ucraina più malleabile – mentre il secondo è fargli pagare il prezzo di richieste che, in vista di un eventuale accordo con la Russia, gli Stati Uniti non vogliono accettare. Trump pretende concessioni, Zelensky chiede contropartite. Su questa base politica e materiale si innesta l’elemento personale, che nel caso di Trump non è mai assente. C’è un risentimento evidente, Zelensky sembra essere percepito con un prodotto e un alleato dei democratici. Ovviamente, la vicenda non si può ridurre a questo. A volte, nelle azioni di Trump si intravede chiaramente l’obiettivo di fondo, ma non si percepisce quale sia la strada per ottenerlo. Mi pare un errore grave, perché sottintende la presunzione di controllare il processo. Per quanto si possa essere consapevoli della propria superiorità economica e militare, ci vorrebbe una maggiore accortezza. La storia della politica estera americana è costellata di problemi imprevisti che hanno fatto deragliare i loro progetti. Certo, in questo momento hanno ottenuto l’obiettivo di indebolire Zelensky. E quindi rafforzare Putin».

A proposito di possibili conseguenze: l’Europa ha reagito, da un lato, con sdegno e preoccupazione ai toni di Trump e, dall’altro, compattandosi (al di là di alcune singole posizioni) con Zelensky. L’UE deve prepararsi a fronteggiare da sola la minaccia russa o lo strappo può essere ricucito? Concretamente, qual è la posizione di questa amministrazione nei confronti dell’Europa?
«La partita è ancora aperta. L’Europa percepisce in modo diverso la Russia rispetto agli Stati Uniti, ma anche le reazioni interne al campo europeo non sono identiche. Il presidente polacco, Duda, invita Zelensky a trovare un modo di riaprire una discussione con Washington; Giorgia Meloni ha mostrato un incredibile imbarazzo e non ha espresso appoggio pubblico a Zelensky, per non parlare di Orban. La Germania non ha ancora un governo operativo, e questo indebolisce l’azione europea. Starmer è inequivocabile nel sostegno all’Ucraina, ma non fa parte dell’Unione e gioca una partita complessa: per tenerlo lontano dall'UE, Trump non intende porre dazi sulle merci britanniche. L’Ucraina è un pezzo di una partita a scacchi nella quale gli Stati Uniti non sono più un alleato affidabile per l’Europa, a cui Trump chiede di spendere di più per la difesa e comprare più merci americane (per non parlare del debito). Più debole e divisa l’Europa, più facile raggiungere questi obiettivi. Per questo gli americani appoggiano – come i russi – i partiti anti-europeisti dei Paesi UE. In questo momento gli Stati Uniti sono un avversario dell’Unione Europea, e la questione russo-ucraina è solo una parte – importante – di questo confronto. A mio parere, l’Europa avrebbe dovuto immaginarsi come forza militarmente autonoma da almeno due decenni. Nessuna amministrazione americana lo avrebbe mai accettato, ma ora è stato oltrepassato il Rubicone».

Trump, fin dal suo discorso di insediamento come presidente il 20 gennaio, sta costruendo un immaginario imperiale. Ha citato la dottrina del Destino manifesto, quella che nell’Ottocento teorizzava le ragioni morali dell’espansione continentale degli Stati Uniti; ha citato il presidente McKinley, un presidente eletto nel 1896 che è stato l’unico imperialista ''tradizionale'' (all’europea) della storia americana

A Kiev, ma non solo, molti si chiedono come mai Trump abbia sposato in toto, o in gran parte, la narrazione russa a proposito della guerra. E come mai non affermi certe evidenze fattuali, come la responsabilità della Russia nell’aver scatenato il conflitto. Anche qui, i rapporti fra Trump e Putin parlano di un certo vissuto e di una visione (quasi) comune nell’intendere il mondo: un giardino riservato a potenze e superpotenze. È così?
«Trump, fin dal suo discorso di insediamento come presidente il 20 gennaio, sta costruendo un immaginario imperiale. Ha citato la dottrina del Destino manifesto, quella che nell’Ottocento teorizzava le ragioni morali dell’espansione continentale degli Stati Uniti; ha citato il presidente McKinley, un presidente eletto nel 1896 che è stato l’unico imperialista ''tradizionale'' (all’europea) della storia americana (un’eccezione: gli americani si sono sempre auto-rappresentati come esperienza storica in rottura con l’imperialismo europeo). Trump ragiona in termini di sfere di influenza. Canada e Groenlandia sono a due passi dagli Stati Uniti, che hanno la forza per fare pressione su questi Paesi. Il diritto, in questa logica, proviene dalla forza e non dagli accordi internazionali. In questa chiave, Putin e Trump si intendono, e Trump comprende la volontà di Putin di dire la sua nel proprio cortile di casa. È la rottamazione dell’Ordine internazionale disegnato dagli stessi americani dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo abituarci, come europei, a gestire questo dato di realtà. L’altro dato di realtà che va gestito è che la verità fattuale non è un tema per l’amministrazione Trump. Trump è il teorico degli alternative facts: se per ragioni tattiche è utile sposare la retorica putiniana, lo farà».

Internamente, negli Stati Uniti, le posizioni di Trump sull’Ucraina verranno mantenute dalla totalità dei Repubblicani o dobbiamo aspettarci spaccature?
«Le spaccature con i Democratici, la stampa e parte dell’opinione pubblica sono già evidenti. Alcuni eletti del Partito Repubblicano si schiereranno contro Trump. Ma saranno voci deboli: Trump è ancora nella sua luna di miele con base trumpiana, e il suo sostegno è indispensabile ai Repubblicani in vista delle elezioni di metà mandato del 2026. Dopo, forse, le cose cambieranno».