La storia

Un ticinese nell'inferno di Patong: «Lo tsunami? Non sapevo che cosa fosse prima di quel 26 dicembre»

Valerio Terrani ricorda il maremoto che, nel 2004, si portò via migliaia e migliaia di persone – «A quell'epoca gestivo un albergo-ristorante in Thailandia, mi colpì una famiglia di tedeschi che cercava disperatamente un figlio»
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Marcello Pelizzari
24.12.2024 06:00

«Una seconda casa? Quasi una prima, oramai». Valerio Terrani, per gli amici semplicemente Dudi, ci risponde da Pattaya. «Sono diversi anni che, in famiglia, passiamo il Natale al caldo». Con la Thailandia, dice il ticinese, fu amore a prima vista. Era il 2001 e Dudi, allora ventenne, decise di sbarcare a Phuket. «Non saprei dire che cosa, con esattezza, ma dentro scattò una scintilla». Tant’è che, tre anni più tardi, il 26 dicembre 2004, Valerio si trovava proprio in Thailandia. Era sposato con una thailandese e aveva avviato un albergo-ristorante a Patong, «nel cuore della movida», non molto lontano dalla spiaggia.

La sera prima dello tsunami, ricorda, «essendo alta stagione avevamo chiuso tardissimo, verso le due o le tre del mattino». In albergo, prosegue il nostro interlocutore, «c’erano anche alcuni ospiti ticinesi». E veniamo alla mattina del 26. «Stavo ancora dormendo quando, dalla ricezione, mi chiamano dicendo che la strada era completamente allagata. Lì per lì non mi sono preoccupato. Capita, a Patong come altrove, che dopo forti piogge salti qualche tombino». L’albergo-ristorante di Valerio non era fronte spiaggia, ma su una via interna. Una fortuna, pensando al maremoto che – si scoprirà più tardi – avrebbe devastato non soltanto la Thailandia ma l’intero sudest asiatico. Arrivando a lambire perfino le coste dell’Africa orientale e provocando oltre 230 mila morti.

Considerando che non c’era nemmeno una nuvola, ci siamo resi conto, tutti, che quella non era acqua piovana. Era il mare ed era arrivato fino a lì
Valerio Terrani

«Non sapevo che cosa fosse uno tsunami»

«L’onda, quella vera, noi che stavamo dietro non l’abbiamo né sentita né tantomeno percepita» spiega Terrani. Detto in altri termini: Dudi non ha capito che, assieme a molti altri, si trovava a pochissimi passi da una tragedia immane. «Vedevo, questo sì, il livello dell’acqua che continuava ad alzarsi. Poi, considerando che non c’era nemmeno una nuvola, ci siamo resi conto, tutti, che quella non era acqua piovana. Era il mare ed era arrivato fino a lì». Quindi, la domanda: «Se noi ci trovavamo il mare in terrazza, com’era la situazione in spiaggia?». Già, com’era? Scontata la risposta: «Assieme agli ospiti ticinesi, miei amici, ci siamo spostati su Bangla Road, il cuore della vita notturna di Patong, per capire che cosa fosse successo». Le scene davanti ai suoi occhi, racconta Valerio, erano raccapriccianti: «Persone che urlavano, persone nel panico più totale, le autorità che invitavano la gente a mettersi al riparo perché, ci era stato poi detto, c’era il timore di nuove onde. Tutti ripetevano: tsunami, tsunami, tsunami. Una parola che, fino a quel momento, non avevo mai sentito e che non avrei mai associato a un maremoto».

Un evento inaspettato, in tutto e per tutto. «Anche se mia moglie, quella notte, aveva sentito il terremoto che, poi, aveva scatenato il maremoto» dice Terrani. Il sisma, di magnitudo 9,1, si era verificato al largo della costa nordovest di Sumatra, in Indonesia. «La mattina mi aveva detto che il nostro letto aveva come traballato».

Rientrato da quello che potremmo definire un giro di ricognizione, Dudi, davanti al suo albergo-ristorante, ha visto passare di tutto: «Ombrelloni, moto d’acqua, altro materiale. E noi, con la nostra struttura, eravamo a cinquecento metri circa dalla spiaggia». Una fortuna, appunto, mentre chi si trovava al mare inevitabilmente ha avuto la peggio. La voce di Terrani, nel ricordare, all’improvviso si spezza: «Una nostra collaboratrice, siccome aveva libero, si era recata in spiaggia con alcune amiche. Non l’abbiamo mai più rivista, né abbiamo avuto notizie circa il suo destino. Si presume che sia morta».

«Solo riso bianco e banane»

Nella confusione generale, Terrani doveva occuparsi anche – se non soprattutto – degli ospiti della sua struttura. «Il problema è che, nel giro di dodici ore, avevamo finito tutte le scorte di cibo e acqua. Non avevamo praticamente più nulla da offrire, anche perché per forza di cose le consegne erano sospese. In più, come tanti altri posti anche il nostro hotel era diventato una sorta di rifugio per altri turisti in cerca di aiuto o riparo. Ricordo ad esempio una famiglia di tedeschi che, disperatamente, cercava un modo per comunicare la propria posizione. Nessuno di loro aveva soldi o documenti».

A causa dello tsunami, infatti, molte linee elettriche e telefoniche erano saltate e la rete che serviva i cellulari era sovraccarica. «Io stesso ho capito che cos’era successo, in maniera esaustiva, solo dal Ticino, parlando con mia sorella una volta che le linee si erano liberate. Credevo che l’onda avesse colpito Patong e basta. Mia sorella, invece, mi aveva detto che la catastrofe era di ampissima portata». Di nuovo le scene di panico: «C’era chi aveva perso qualcuno, come quei tedeschi di cui parlavo che non riuscivano a trovare un figlio, chi aveva fame, chi voleva far sapere ai parenti, a casa, di essere vivo. Noi, in albergo, riuscivamo a garantire solo un po’ di riso bianco e banane. Erano le sole cose che ci erano rimaste. Nei giorni successivi, quando l’acqua si è ritirata, ho potuto vedere i segni della devastazione».

In quei primissimi momenti, però, il mio pensiero non è stato avvisare casa. Quando ho avuto modo di rifiatare, rammento di aver cercato mia sorella. Temevo che, se avessi chiamato mia mamma, sarebbe morta d’infarto dall’emozione di sapermi vivo
Valerio Terrani

«Ho dato una mano, come potevo e riuscivo»

Anche Dudi, nelle ore successive al disastro, non è riuscito a parlare con i suoi cari, in Ticino. «In quei primissimi momenti, però, il mio pensiero non è stato avvisare casa. Quando ho avuto modo di rifiatare, rammento di aver cercato mia sorella. Temevo che, se avessi chiamato mia mamma, sarebbe morta d’infarto dall’emozione di sapermi vivo. Alla fine, però, le linee erano appunto intasate e, dopo un po’, è stata mia sorella a contattare me. Non ho pensato nemmeno a scappare, o a tornare in Svizzera, in primis perché avevo un’attività a Patong e, quindi, una certa responsabilità, e poi perché sentivo di dover dare una mano come potevo e riuscivo».

«Non temo un nuovo tsunami»

Parlare di normalità, in casi del genere, è fuori luogo o, quantomeno, complicato. Eppure, spiega Terrani, «già a Capodanno le strade erano state ripulite e Patong aveva ripreso, lentamente, a vivere». Il 90% dei turisti sopravvissuti, per contro, aveva lasciato la zona. «Però il turismo, in Thailandia, si è ripreso relativamente in fretta. A Patong, ad esempio, dopo tre settimane i grandi hotel già lavoravano. Ha fatto fatica a riprendersi il turismo proveniente dall’Asia e dalla Cina in particolare. E questo perché i cinesi sono molto superstiziosi. Ma gli occidentali sono tornati subito, o quasi».

Anche Valerio, nonostante da tempo non gestisca più l’albergo-ristorante a Patong, è tornato. A più riprese. Fino a fare della Thailandia, come dice, «quasi una prima casa». «Non temo un nuovo tsunami, anche perché rispetto al 2004 ora è stato allestito un piano di evacuazione, ci sono degli allarmi specifici. Vent’anni fa non c’era nulla di tutto questo. Non ho più pensato a quei giorni, non in maniera negativa se vogliamo. E lo stesso, credo, hanno fatto i thailandesi. Si sono messi subito, a testa bassa, a lavorare per ricostruire quanto perduto. Anche nelle aree più povere, lontano dai riflettori dei media occidentali. Con il sorriso, perché questa nonostante tutto è la terra dei sorrisi».

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