La recensione

Nutini, più che un disco un’enciclopedia musicale

Dopo otto anni di silenzio l’artista scozzese con «Last Night in The Bittersweet» fa un compendio della sua formazione e dei suoi gusti musicali recuperando con maestria e talento sonorità di nicchia di un lontano passato, rielaborandole in modo da farle conoscere e apprezzare anche ad un pubblico giovane
Il cantautore scozzese di origini italiane Paolo Nutini (35 anni). «Last Night in The Bittersweet» è il suo quarto album.
Alessio Brunialti
07.07.2022 20:39

Diciamo la verità: c’eravamo un po’ dimenticati di Paolo Nutini. Il cantautore scozzese aveva stupito tutti con il primo album These Streets, era esploso definitivamente con il secondo, Sunny Side Up, entrato direttamente al primo posto in classifica, mentre il successivo Caustic Love aveva ripetuto quell’expolit consolidando il successo. La formula? Bravo cantante, bravo chitarrista, bravo compositore, insomma, un Chris Rea per i tempi moderni (è un complimento!). O, almeno, così pensavamo. Sicuramente è un artista che ama rilassarsi, che non ha fretta e che, quindi, lascia passare anche diverso tempo tra un lavoro e l’altro. Per pubblicare questo Last Night In the Bittersweet ha impiegato la bellezza di otto anni. Otto anni in cui il mondo musicale attorno a lui (e a noi) è cambiato. I CD per tanti sono quasi superflui, semmai si preferisce il vinile, ma trionfa lo streaming (lo sa bene: 1,5 miliardi è il numero dei suoi ascolti in Rete). Così un progetto complesso come questo può sembrare anacronistico. Perché non si tratta solo del nuovo disco di un cantautore, ma di un’enciclopedia musicale personale, un po’ come lo erano stati il White Album dei Beatles o London Calling dei Clash.

Paragoni altisonanti? Ascoltate Afterneath o il singolo Lose It e sorprendetevi. Se conoscete il genere rimarrete a bocca aperta, se siete giovani e non avete mai sentito nominare i Neu! o altre formazioni tedesche degli anni Settanta che amavano una certa ossessività nel ritmo, non a caso soprannominato «motorik». Shine a Light ha una partenza, a sua volta, sintetica, ma poi diventa un brano che non stupirebbe incontrare in un album dei Simple Minds di fine anni Ottanta. Radio e Heart Filled Up hanno qualcosa dei Radiohead di fine millennio. Bisogna arrivare a Petrified In Love per ritrovare il «vecchio» Nutini, che qui ha un che dei Dire Straits, ma anche le ballate acustiche Everywhere e Abigail non sfigurerebbero in un disco di Mark Knopfler. Children of The Stars è rock classico lento, il contraltare veloce si ascolta poi in Desperation. Non mancano inoltre le ballate pianistiche con Julianne e Take Me, Take Mine prima della conclusione dylaniana di Writer.

Sicuramente il lavoro più eclettico di un artista che riesce a sorprendere e anche a recuperare spunti lontani nel tempo per riportarli ad ascoltatori più giovani. Se ogni a ogni ascolto di questo disco se ne accompagnasse uno dei La Düsseldorf o degli Harmonia, Nutini avrebbe davvero fatto un grande regalo ai suoi fan.

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