Processo

«Per soddisfare i suoi bisogni ha tradito la fiducia di un'amica»

Condannato a 2 anni e mezzo, di cui uno da scontare, il 23.enne del Bellinzonese alla sbarra per violenza carnale e coazione sessuale — La difesa si era battuta per l'assoluzione: «Nessuna violenza o minaccia» – La replica dell'accusa: «No è sempre no»
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Irene Solari
11.02.2025 17:17

«Ha agito unicamente per soddisfare le sue più basse pulsioni sessuali e, nel farlo, ha tradito la fiducia di una persona che gli era amica. La vittima non ha mai avuto nessuna intenzione di consumare un rapporto e ha più volte detto di no ai suoi approcci. È stata costretta in un luogo angusto e bloccata da un uomo più forte di lei. Quanto ai messaggi inviati dopo l'incontro, questi sono oltremodo chiari: ha capito di aver fatto qualcosa di sbagliato e per questo si è scusato con lei». Con queste motivazioni il giudice Amos Pagnamenta ha condannato a una pena detentiva di 2 anni e mezzo, di cui uno da scontare (e i restanti 18 mesi sospesi per due anni) il 23.enne del Bellinzonese comparso oggi davanti alla Corte delle Assise criminali per rispondere di violenza carnale e coazione sessuale nei confronti di una giovane donna, sua amica d'infanzia.   

«Le versioni fornite dalle parti hanno una grande importanza in processi come questo. Quelle della vittima sono sempre state chiare, sincere e lineari», ha evidenziato il presidente della Corte durante la lettura del dispositivo. «Nel momento dell'approccio non ha reagito ribellandosi con forza a causa del fenomeno ben noto detto freezing che colpisce molto spesso chi è vittima di una violenza sessuale: è un blocco emotivo che inibisce qualsiasi reazione ed è tanto più forte quanto più è vicina la persona da cui proviene l'aggressione. Come un amico da cui non ci aspetterebbe mai una cosa simile».

La donna, inoltre, con i suoi racconti «non ha mai voluto aggravare la situazione dell'imputato e non aveva nessun motivo di mentire. Anzi si è persino preoccupata per le conseguenze di una sua denuncia sull'uomo». Significative anche le conseguenze psicologiche che la vittima ha dovuto affrontare a seguito di questo trauma, ha aggiunto Pagnamenta.

Al contrario, l'imputato «ha fornito un racconto illogico e incoerente, cambiando spesso versione più volte su più punti dell'inchiesta. La sua credibilità ne è risultata gravemente e irrimediabilmente compromessa. Quella sera è partito intenzionato a consumare un rapporto sessuale e ha forzato la mano per ottenere quello che voleva. Non si è fermato anche se disponeva di tutte le risorse intellettuali che potevano trattenerlo dal commettere il reato».

Disagio e turbamento

«Ciò che è successo quella sera è stato qualcosa che non è piaciuto e che ha creato un pesante disagio e turbamento. Qualcosa che sicuramente non ha funzionato. Ma ciò che ci dice la descrizione del contesto e dei comportamenti delle parti è che quella sera non è avvenuta una coazione o una violenza carnale e questo con tutto il rispetto per la situazione della vittima». Così si è invece espresso l'avvocato Niccolò Giovanettina nella difesa del suo assistito, formulando la richiesta di completa assoluzione per l'imputato.

La pp Anna Fumagalli, nella sua requisitoria di questa mattina, aveva invece chiesto per l'uomo una pena di 42 mesi di detenzione interamente da scontare (dedotto il periodo di carcerazione preventiva già sofferto), oltre a 8 mila franchi a titolo di risarcimento per torto morale.

«Nessuna costrizione violenta»

«Il delitto contestato - a mente del patrocinatore - non può trovare una conferma effettiva in quanto accaduto». «Non c'è stata alcuna violenza, costrizione fisica o minaccia da parte del mio assistito durante il rapporto. Se la giovane non avesse voluto avrebbe potuto aprire la portiera della macchina e andarsene o gridare di smetterla o dargli uno spintone per allontanarlo. Non appena lei ha alzato un po' la voce dicendogli 'basta' lui si è fermato». E ancora: «Non si capisce come la donna si sia sentita impossibilitata a reagire visto che non c'è stato uso della forza o minaccia. Quanto fatto dunque dall'imputato non può arrivare a quanto descritto nell'atto d'accusa, perché questo presunto atto coercitivo manca totalmente di forza».

Gli strumenti necessari 

Riguardo alle incongruenze dimostrate dall'imputato nel corso degli interrogatori resi, Giovanettina ha rilevato: «È vero, ha fornito versioni diverse tra loro ma si tratta di un ragazzo giovane che non ha saputo gestire la situazione. Quello che gli è caduto addosso è stato tanto, non ha avuto gli strumenti necessari per rispondere ogni volta in modo lineare». Inoltre, «non è sempre così facile essere coerenti anche quando si è convinti di dire la verità e restare coerenti separando quello che si è effettivamente fatto da quello che costruisce la memoria in un secondo momento». In ogni caso, secondo il patrocinatore, non bisogna solo focalizzarsi sulle contraddizioni ma osservare il quadro più ampio. Un quadro in cui «c'è molto grigio, non solo bianco e nero».

La questione dei messaggi

Venendo invece all'argomento delle lesioni intime sollevato dall'accusa, il difensore nella sua arringa ha sottolineato che «non si tratta per forza di lesioni che provano un rapporto violento, ma che potrebbero essere causate da una condizione medica pregressa della giovane. Inoltre mancano i segni da afferramento sul corpo, tipici di una violenza sessuale». Anche per quanto riguarda i messaggi che l'imputato ha inviato alla giovane poche ore dopo l'incontro non sarebbero prove del delitto: «Chiaramente qualcosa era andato storto quella sera, lei era arrabbiata e si era creato un forte imbarazzo in entrambe le parti. Lui le ha scritto perché era dispiaciuto di questo e ha pensato che quel momento non fosse stato di suo gradimento. Se davvero avesse commesso una violenza sessuale, sarebbe stato stupido inviare dei messaggi con i quali praticamente si stava autoaccusando». Infine, Giovanettina ha evidenziato come il suo assistito sia «un ragazzo perbene, dal carattere timido, tranquillo e senza precedenti».

La replica: «No è sempre no»

All'arringa difensiva ha fatto seguito una replica da parte della pp. «Parlare di rispetto nei confronti della vittima e sostenere poi che questa avrebbe dovuto reagire con più forza e urlare durante l'aggressione è la peggiore contraddizione che l’accusa sentito oggi, è qualcosa che non si può nemmeno ascoltare». «È umanamente impretendibile - ha proseguito l'accusa - che una persona in quella situazione, che si esacerbava secondo dopo secondo, dovesse reagire in un determinato modo. O lanciarsi fuori dalla macchina in quello stato. Lei non se lo aspettava, erano amici di infanzia. Inoltre la vittima ha più volte manifestato la propria contrarietà, dubbi non ce n’erano. Ha detto subito 'no' anche se non urlato. Quel 'no' andava rispettato». 

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