L'intervista

«Perché bisogna costruire un nuovo ordine internazionale»

Secondo lo storico Marcello Flores, bisogna costringere Mosca a scendere a patti - La rielezione di Donald Trump potrebbe alimentare l’isolazionismo degli Stati Uniti
Il futuro presidente USA potrebbe alimentare l'isolazionismo del suo Paese. ©Brandon Bell
Dario Campione
21.11.2024 06:00

Perché gli esseri umani continuano a combattere, a uccidere, a distruggere i propri simili? Perché, ancora, la guerra? È la domanda, non retorica, che due storici - Marcello Flores e Giovanni Gozzini - si sono posti nel loro ultimo lavoro, appena uscito da Laterza (Perché la guerra?, pagine 208, euro 20). Un libro che racconta come a una prospettiva di possibile raffreddamento dei conflitti, nel quindicennio 1991-2006, sia seguita una nuova recrudescenza. Sino all’attuale, drammatica, fase storica in cui il mondo sembra essere nuovamente una polveriera sul punto di esplodere.

«Di fronte alla guerra in Ucraina, alla ripresa così tragica dello scontro tra Israele e Palestina e alla apparente impotenza nell’immaginare possibili soluzioni, abbiamo pensato, da storici, di poter aiutare a capire come si sia evoluta la guerra, soprattutto negli ultimi 30, 35 anni - dice al Cdt Marcello Flores – Detto in altri termini, l’idea è stata di inquadrare questi due conflitti in atto nella prospettiva della trasformazione abbastanza significativa che la guerra ha subìto dagli anni ’90 del Novecento a oggi».

Cambiamenti che non sono del tutto evidenti. A partire da quello che Flores e Gozzini giudicano il più importante: il crescente «coinvolgimento di civili. Sempre più spesso, i protagonisti dei conflitti non sono gli Stati o pezzi di Stati, quanto organismi privati, gruppi terroristici che però chiedono e cercano di ottenere l’appoggio di potenze più o meno vicine».

Vero è che, oltre alle «guerre civili internazionalizzate», ci sono stati anche conflitti più tradizionali, come ad esempio la guerra in Iraq degli Stati Uniti, «un punto di svolta importante - dice Flores - e purtroppo in negativo, poiché ha fermato il processo di cambiamento avviato dopo la caduta del Muro di Berlino e caratterizzato da un ruolo più forte delle Nazioni Unite, da un numero maggiore di missioni e operazioni di peacekeping e dal minore ricorso al diritto di veto da parte dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza».

Analizzando più a fondo lo scontro in Ucraina, Flores sottolinea poi come, «per la prima volta, uno dei Paesi che ha costituito l’ordine internazionale del secondo dopoguerra abbia deciso di infrangerlo. Sta qui, forse, la vera difficoltà nel risolvere il conflitto. Finché non si convince la Russia a dialogare, a scendere a patti in modo politico, diplomatico o militare, la situazione rimarrà congelata. Nel caso mediorientale, invece, è lo squilibrio internazionale a fare sì che Israele non si muova più secondo le indicazioni americane. A dispetto delle richieste dell’amministrazione Biden, Benjamin Netanyahu ha scelto di muoversi in altro modo. Questo è un grande problema: prima le grandi potenze potevano avere capacità di blocco, di ricatto, di convincimento nei confronti delle potenze regionali. Oggi la situazione è diversa. E allora, in prospettiva, credo che la questione sarà sempre di più la ricostruzione di un nuovo ordine internazionale in cui questi problemi possano essere affrontati in una prospettiva di pace e non di conflittualità perenne. Perché quello è il rischio».

Quanto potrà cambiare le cose la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca? «Al di là delle questioni propagandistiche o ideologiche - conclude Flores - l’unica cosa fondamentale che Trump vuole è un maggiore isolazionismo degli Stati Uniti, un più forte distacco dagli affari mondiali. Quanto sia attuabile, è difficile dirlo. Con Trump è comunque difficile fare previsioni».