Quali conseguenze avrà per gli utenti l’abbandono del fact-checking su Meta?
«Maggiore libertà di espressione e meno errori» (More speech and Fewer Mistakes). È questo lo slogan con cui il 7 gennaio 2025 Meta ha annunciato la fine del proprio programma di fact-checking. Lanciato nel 2016, rappresenta la punta di diamante delle misure per contrastare la disinformazione e verrà ora soppiantato da un modello ispirato alle Community Notes già utilizzate da X, un sistema basato sull’autoregolamentazione degli utenti. Per il momento la sostituzione è stata annunciata solo per la piattaforma americana, ma è probabile che la decisione venga estesa anche al resto del mondo, Europa inclusa. L’accusa principale mossa da Zuckerberg nei confronti dei fact-checker nel video pubblicato sul sito di Meta sarebbe di essere faziosi e politicamente schierati: «Un programma destinato a informare è diventato troppo spesso uno strumento di censura», afferma il CEO di Meta.
Per capire quali conseguenze questa svolta avrà per gli utenti della piattaforma, abbiamo commentato la notizia con Tommaso Canetta, un giornalista che lavora per Facta News, progetto indipendente che si occupa di disinformazione e che, al momento, ha un accordo con Meta per la fornitura di servizi di fact-checking. I termini dell’accordo, specifica il nostro interlocutore, escludono qualsiasi contenuto di carattere politico, e non prevedono in alcun modo la rimozione di contenuti dalla piattaforma. Le inserzioni che vengono segnalate come potenzialmente false vengono innanzitutto investigate e, se incorrette o incomplete, vengono corredate di un articolo di approfondimento in cui eventuali scorrettezze o imprecisioni vengono corrette facendo riferimento alle fonti primarie. Tutti i contenuti soggetti al fact-checking rimangono dunque fruibili agli utenti: sono altre politiche di Meta, specifica Canetta, a prevedere la rimozione delle inserzioni, come ad esempio quella per la prevenzione del bullismo.
Anche i dati relativi ai ricorsi mossi per contestare gli interventi di fact-checking parlano di un programma di successo: solo il 3% di questi appelli è stato accolto, contro circa il 60% nel caso della rimozione per violazioni sulle linee guida contro il bullismo. «È chiaro che la svolta di Zuckerberg è motivata politicamente: lui la traveste da accusa ai fact-checker, ma dice cose che facilmente possono essere dimostrate false» spiega Canetta.
Il pericolo del fai-da-te
Diversa invece la reputazione del nuovo modello che verrà adottato da Meta. Il sistema introdotto da X delle Community Notes, che si basa sul controllo vicendevole degli utenti senza appoggiarsi ad enti terzi, si è dimostrato negli ultimi mesi uno strumento poco efficacie per mitigare la diffusione di notizie false. Un caso emblematico fu quello dell’attentato avvenuto a Southport quest’estate: la versione dei fatti che circolò su X identificava il fautore dell’attentato come un giovane uomo musulmano. Quest’ultima specificazione era errata ma non venne mai rettificata e la notizia contribuì ad alimentare gli animi già caldi dei gruppi di ultradestra che si scagliarono violentemente contro la comunità musulmana. «Esempi come questo dimostrano che richiedere agli utenti di verificare autonomamente la veridicità di ogni contenuto sospetto è una pretesa eccessiva e potenzialmente pericolosa» commenta il giornalista. «Indebolire i meccanismi di contrasto alla disinformazione in questo momento, in cui diverse operazioni di interferenza esterna sono portate avanti anche con la disinformazione, ci sembra particolarmente miope».
«Anche se, per il momento, l’Europa rimane esclusa da questa svolta, è altamente probabile che, in futuro, l’abolizione del programma di fact-checking si espanderà anche alle nostre latitudini» osserva Canetta. «Nel caso in cui questo dovesse verificarsi, Meta dovrebbe fare i conti con le normative europee in ambito di contrasto alla disinformazione, le più rilevanti delle quali sono il Digital Services Act del 2022 e il Code of Practice on Disinformation». Il giornalista non nasconde però alcune perplessità sull’efficacia di questi strumenti: il primo infatti non prescrive misure specifiche, bensì stabilisce l’obbligo generico di offrire strumenti efficaci nel contrasto della disinformazione, lasciando libera interpretazione di cosa questo significhi. Il secondo invece fa diretta menzione del fact-checking ma trattandosi di un’autoregolamentazione, il suo valore non è vincolante. Rimane dunque ancora poco chiaro in che misura l’Unione Europea sarà in grado di esercitare deterrenza nei confronti di Meta.