L'approfondimento

Quando gli Stati Uniti sabotarono l'alleanza transatlantica

Le minacce di disimpegno da parte di Donald Trump richiamano alla memoria l'atteggiamento «inconciliabile» di un altro presidente americano, Thomas Woodrow Wilson, che nel 1920 fece saltare l'ingresso nella neonata Società delle Nazioni e un'alleanza a tre con Francia e Regno Unito
Il presidente Wilson. © Harris & Ewing
Marcello Pelizzari
03.03.2025 13:30

No, non è la prima volta che le relazioni transatlantiche sono in discussione, se non addirittura in pericolo. Anche se, all'epoca, alla Casa Bianca non sedeva un presidente come Donald Trump. Il 28 giugno del 1919, ricorda la rivista geopolitica Grand Continent, in concomitanza con il trattato di Versailles il Regno Unito e gli Stati Uniti si impegnarono con la Francia in un patto tripartito spesso dimenticato dai libri di storia, noto come trattato di garanzia. In sostanza, Londra e Washington si sarebbero attivate, immediatamente, con Parigi in caso di un'aggressione tedesca. Una mossa, questa, che consentì alla Francia di avere un'alternativa strategica all'alleanza franco-russa, definitivamente tramontata con la rivoluzione bolscevica del 1917. Gli effetti, benefici, in realtà durarono poco. Nel marzo del 1920, infatti, gli Stati Uniti non ratificarono il trattato di Versailles e il citato patto a tre fra la Francia, il Regno Unito e la stessa America venne, di riflesso, a cadere. Eccoli, riassumendo al massimo, i germi che diedero poi vita alla Seconda guerra mondiale. 

Sei mesi a Parigi

Dicevamo di Trump: il presidente degli Stati Uniti, allora, era Thomas Woodrow Wilson. Un esponente del Partito Democratico. Un mese dopo la firma dell'armistizio che, l'11 novembre del 1918, pose fine ai combattimenti della Prima guerra mondiale, Wilson si recò di persona a Parigi e vi rimase addirittura sei mesi per negoziare la pace con le potenze sconfitte. Nell'ambito del processo di pace, venne fondata la cosiddetta Società delle Nazioni, antesignana delle Nazioni Unite, su spinta fra gli altri proprio di Wilson. Il quale, nel febbraio del 1919, ritornò brevemente a Washington per presentare al Congresso e ai cittadini americani. La Società delle Nazioni, proprio come l'ONU, era stata concepita come un organismo internazionale per garantire la pace e la sicurezza a livello collettino dopo le devastazioni della Prima guerra mondiale. La visione del mondo di Wilson, d'altro canto, era emersa già grazie ai suoi famosi Quattordici Punti, elencati durante un discorso al citato Congresso nel gennaio del 1918. Wilson era un fautore della «pace senza vincitori»: era convinto, in cuor suo, che una pace imposta con la forza ai vinti avrebbe contenuto in sé gli elementi di un'altra guerra. Perciò, parlò di eguaglianza delle nazioni, autogoverno dei popoli, libertà dei mari, riduzione generalizzata degli armamenti.

Gli occhi sulla Germania

La Francia fu fra le nazioni più attive nel promuovere il trattato di Versailles. Il primo ministro Georges Clemenceau, consapevole del rischio di una nuova aggressione tedesca, fu particolarmente insistente. Chiese condizioni dure, se non durissime per la Germania, fra cui pesanti riparazioni economiche e la completa smilitarizzazione della Renania, al confine con la Francia. Wilson, forte dei suoi Quattordici Punti, premeva invece per un maggiore equilibrio: d'accordo la necessità di punire i tedeschi, ma una pace eccessivamente punitiva avrebbe rischiato di seminare i germi di un nuovo conflitto, come detto. 

Dal compromesso raggiunto nacque la Società delle Nazioni, che divenne parte integrante del citato trattato di Versailles, firmato dalle parti coinvolte il 28 giugno del 1919. Il timore mai sopito di Clemenceau era che la Germania, nonostante le sanzioni, potesse risollevarsi e minacciare una volta di più la Francia. Di qui la firma del patto tripartito con Regno Unito e Stati Uniti, un elemento chiave per convincere Parigi ad attenuare alcune delle sue richieste più severe nei confronti della Germania. 

La svolta e l'invito a votare «no»

Al suo ritorno negli Stati Uniti, Wilson cercò di convincere il Senato a ratificare quanto discusso in Francia. Senato che, nelle elezioni di metà mandato del novembre 1918, passò in mani repubblicane. Il presidente presentò il trattato di Versailles il 10 luglio del 1919 ed era perfettamente consapevole della posta in gioco. Aveva bisogno del sostegno di due terzi della Camera Alta per la ratifica e, quindi, per un ingresso statunitense nella «sua» Società delle Nazioni. 

Per placare i timori dei senatori repubblicani, Wilson dimostrò di aver tenuto conto della loro (ferma) volontà di limitare le garanzie di assistenza militare agli alleati più stretti, Francia e Regno Unito. Il patto tripartito con Parigi e Londra andava, in fondo, proprio in questa direzione. Di più, agli occhi di tutti, in Senato, Francia e Regno Unito erano uno scudo necessario contro un'eventuale aggressione tedesca. Washington, insomma, intendeva promuovere un'alleanza fra alleati per evitare il peggio: un impero tedesco che controllava le coste atlantiche dell'Europa e, di riflesso, avrebbe costretto l'America a uno sforzo militare immenso per garantire la sicurezza del proprio continente. «In caso di aggressione unilaterale della Germania contro la Francia, non aspetteremo un'azione concertata sotto l'egida della Società delle Nazioni per venire immediatamente in aiuto della Francia» disse lo stesso Wilson.

Per contro, il Senato non voleva un'organizzazione come la Società delle Nazioni che, statuto alla mano, avrebbe comportato l'intervento degli Stati Uniti in ogni angolo del mondo. Insistette, quindi, affinché ogni intervento militare fosse subordinato all'approvazione del Congresso, cosa che del resto avviene ancora oggi. Gli alleati francesi e britannici, dal canto loro, fecero sapere che simili riserve erano, per loro, del tutto accettabili. Il Senato aveva, grazie a questi giochi di equilibrismo, la maggioranza necessaria per ratificare il trattato di Versailles. Alla fine di febbraio del 1920, incredibilmente ma nemmeno troppo, Wilson invitò i senatori del Partito Democratico a respingere la sua stessa creatura. Ai suoi occhi, o l'America avrebbe aderito a Versailles senza il timore di assumersi l'obbligo morale di leadership globale che ora aveva o, beh, tanto valeva ritirarsi dal grande balletto delle potenze mondiali. La stampa giudicò Wilson con un aggettivo, diciamo pure etichetta: «inconciliabile». 

Il 19 marzo del 1920, quando si giunse alla votazione finale, il trattato venne definitivamente bocciato. Solo 21 senatori del Partito Democratico, sui 44 totali, disobbedirono alle istruzioni di Wilson. Mancarono sette voti, alla fine, per i due terzi necessari alla ratifica. Come ricorda sempre Grand Continent, nel suo libro Woodrow Wilson and the Great Betrayal (1945) lo storico Thomas A. Bailey notò un «grande paradosso»: «L'uomo che aveva costretto gli alleati a includere la Società delle Nazioni nel trattato di Versailles li staccò da essa. L'uomo che più di ogni altro aveva ideato questi accordi li fece crollare. Con le sue azioni, contribuì notevolmente alla rovina della Società delle Nazioni e con essa a quella delle speranze che lui e l'umanità avevano riposto in un'organizzazione che avrebbe impedito un secondo conflitto mondiale».

La debolezza della Società delle Nazioni

Ma che cosa spinse Wilson in una spirale di testardaggine al limite del suicidio politico, escludendo di fatto l'America dalla Società delle Nazioni? Difficile a dirsi. O forse no. C'è chi ritiene che l'ictus, che colpì Wilson il 2 ottobre del 1919, debilitandolo sensibilmente, abbia avuto un ruolo importante. Molti, parallelamente, attribuirono il comportamento di Wilson a cause psicologiche. Il risultato, in ogni caso, fu tremendo. Nelle settimane successive alla mancata ratifica del trattato di Versailles, il Regno Unito si ritirò dal patto tripartito di garanzia. Il trattato di Versailles entrò formalmente in vigore, pur senza la presenza americana, che avrebbe dovuto essere centrale. Il patto di garanzia, invece, morì prima di nascere.

Clemenceau, irretito dalla svolta degli eventi, nel 1922 prese e andò negli Stati Uniti. Tenne discorsi più o meno ovunque. Davanti a moltissime persone. Per spiegare la situazione che stavano vivendo la Francia e i francesi, disse: «Immaginate gli Stati Uniti dissanguati di 6 milioni di lavoratori e delle loro regioni industriali da un nemico potente. E immaginate questo nemico respinto oltre il Rio Grande o il Canada con l'aiuto dei vostri alleati. Immaginate, poi, che vi venga detto di arrangiarvi da soli». Clemenceau sostenne, con forza, che la pace nel mondo dipendeva dal ripristino di relazioni cordiali tra Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Ma riteneva altresì che il governo americano non fosse dell'umore giusto per rilanciare la solidarietà con Parigi. I suoi sforzi, tuttavia, vennero resi vani dalla decisione del presidente della Repubblica, Raymond Poincaré, di invadere e occupare la Ruhr nel 1923. 

Senza il supporto americano, la Società delle Nazioni nacque debole e non fu in grado di far rispettare le proprie decisioni. Negli anni Trenta, in particolare, non riuscì a fermare le aggressioni della Germania nazista, dell'Italia e del Giappone, rivelandosi del tutto inefficace e contribuendo, seppur in maniera indiretta, allo scoppio della Seconda guerra mondiale.