Il caso

Quel radar sul lungolago di Lugano non era misericordioso

Ecco i risultati del controllo più discusso degli ultimi anni – Il Municipio: «Nessuno è intervenuto per togliere multe» – Un anno fa ci era stato detto che l’obiettivo era solamente statistico, invece...

A Lugano non c’è un «radar-gate». Ne è convinto il Municipio, che giovedì ha affrontato un caso emerso il 10 aprile, a quattro giorni dalle elezioni comunali, in seguito a un’interrogazione di Deborah Meili. L’allora consigliera comunale verde, come anticipato da la Regione, chiedeva lumi su un apparecchio radar posato nella tarda mattina di giovedì 11 maggio 2023 sul lungolago. Apparecchio che, seppur annunciato come strumento di controllo repressivo sul portale della Polizia cantonale, non avrebbe sanzionato nessuno nonostante alcuni flash. Questa almeno era l’ipotesi circolata allora. In realtà quelle multe sono partite.

Interrogazione decaduta

Meili parlava «di voci che si rincorrono in maniera preoccupante in città ormai da diverse settimane», ossia di una sessione radar che «sarebbe stata eliminata, per evitare che la multa arrivasse a una persona ‘vicina’ al Municipio o a un municipale in carica». Di prove in tal senso, tuttavia, non ne erano emerse – non ne sono emerse mai – e la capodicastero Karin Valenzano Rossi aveva smentito categoricamente questa ricostruzione, parlando di un attacco elettorale nei suoi confronti. C’era tuttavia un atto ufficiale a cui rispondere e, per farlo, il Municipio aveva chiesto un rapporto alla Polizia comunale. Poi c’era stato un piccolo colpo di scena: pochi giorni dopo essere stata rieletta, Meili aveva lasciato Lugano per trasferirsi oltre Gottardo, dove aveva trovato lavoro lo scorso febbraio, a liste già depositate. In questi casi, se l’interrogazione non è cofirmata da altri consiglieri comunali ancora in carica o non viene ripresa da un collega, decade formalmente. E il Municipio, altrettanto formalmente, non è tenuto a pubblicare una risposta. Così è stato.

La Procura è rimasta fuori

Restava però un aspetto giuridico in sospeso: l’obbligo di denuncia previsto dalla Legge organica comunale. «Il membro del Municipio, delle sue commissioni e delegazioni e il dipendente che, nell’esercizio delle sue funzioni, ha notizia di un reato di azione pubblica è tenuto a farne immediato rapporto al Municipio o al Ministero pubblico», e «qualora ne informi il Municipio, esso è tenuto a trasmettere immediatamente la segnalazione al Ministero pubblico». La norma, nel caso del radar, andava applicata? Secondo l’Esecutivo luganese, no. Dalle indicazioni della polizia, a mente di sindaco e colleghi, non erano emersi elementi che potessero anche solo far pensare a un comportamento penalmente rilevante: abuso di autorità nel caso in cui a qualcuno fosse stato evitato un provvedimento amministrativo (multa, ritiro patente), o favoreggiamento nel caso in cui la presunta infrazione fosse stata di competenza della Magistratura (per esempio un pirata della strada). Niente segnalazione, quindi. Qualcuno potrebbe chiedersi come mai la Procura non si sia attivata per conto proprio, come avvenuto ad esempio per l’incidente del consigliere di Stato Norman Gobbi. La Magistratura avvia un’indagine se ci sono sufficienti indizi di reato, e in quel «sufficienti» c’è tutto il margine di manovra dell’autorità inquirente. Evidentemente, gli elementi sollevati nell’interrogazione di Meili non sono stati ritenuti sufficienti.

Nessuna patente ritirata

Quelle domande tuttavia, alla fine, una risposta pubblica l’hanno ottenuta. Prendendo posizione su una nostra richiesta di accesso a documenti in base alla Legge sull’informazione e la trasparenza, il Municipio ha di fatto replicato a tutti i punti sollevati dalla giovane ambientalista. Primo: il controllo si è svolto «normalmente, senza interruzioni, riduzioni o sospensioni di alcun tipo» ed è durato dalle 9.51 alle 11.15. Secondo: su 1.587 passaggi, sono stati riscontrati 74 superamenti del limite, di cui settantadue puniti con una multa disciplinare (la maggior parte con velocità fra i 31 e i 35 km/h) e due con una procedura ordinaria (per superamenti fra 16 e 20 km/h, ma nessuno ha perso la patente). Terzo: le infrazioni rilevate «sono tutte regolarmente registrate nel gestionale del servizio radar e seguono il loro corso nei termini di leggi previsti: nessuno è intervenuto per togliere nessuna contravvenzione». Quarto: i controlli «sono gestiti unicamente dagli operatori di polizia: è escluso qualsiasi altro intervento di terzi».

Rimangono due dubbi

Resta in sospeso un dettaglio, anche se una settantina di automobilisti non lo chiamerebbero così. Quell’11 maggio, da noi interpellata poche ore dopo la posa del radar, Valenzano Rossi aveva affermato che l’obiettivo dell’apparecchio era effettuare delle misurazioni. Ossia valutare se su quel tratto, soprattutto in prossimità delle strisce pedonali, i limiti fossero rispettati. Uno scopo analitico, quindi, non punitivo. Invece, alla fine, le multe ci sono state. Ricontattata ieri per un chiarimento, la capodicastero ha risposto che quel giorno, «interpellata sul tema, ho chiesto informazioni e riferito le informazioni ricevute in quel momento, dopo di che non ho approfondito ulteriormente la tematica». Le abbiamo chiesto anche quando sono state avviate le procedure di contravvenzione. Subito dopo il controllo o più avanti? Su questo punto, Valenzano Rossi ha richiamato la risposta del Municipio: «Seguono il loro corso nei termini di legge». Per intimare una multa disciplinare dopo un controllo radar, c’è tempo fino a tre anni.

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