Ragazze e ragazzi sempre più «stregati» da robot e computer
Emma, 11 anni, è ormai un'esperta di robot, codici e programmazione. La ragazzina conosce a menadito tutti i componenti del suo automa didattico della linea Lego Mindstorm: «Non gli ho dato un nome, lo chiamo solo ‘EV3’, come l'intelligenza artificiale. Vedi questi due martinetti?», dice puntando l'indice contro una coppia di piccoli pulsanti rossi montati alla base della macchinetta. «Ecco, sono dei sensori. Quando sono premuti, lui capisce che sta toccando qualcosa. Questi, invece, sono i motori che fanno muovere le due ruote». Alcuni banchi più avanti c'è Nicolas, 14 anni di Locarno. Anche lui è un intenditore. «C'è il pannello di controllo, da cui puoi scegliere i vari programmi che hai realizzato al computer. La costruzione si può personalizzare. Si possono mettere dei cingoli, farlo più alto». È mercoledì pomeriggio, ma l'attività nell'aula al primo piano delle scuole medie di Cadenazzo è intensa. Il gruppo di ragazzi, sotto l'occhio della docente Francesca Mancini, sta seguendo un corso doposcuola dedicato alla robotica e organizzato dall'Associazione Robo-Si (contrazione di Robotica-Svizzera italiana, ma anche «Sì alla robotica»).
«Promuoviamo questo genere di attività da oltre dieci anni. Dodici, per la precisione – spiega Marco Beltrametti, cofondatore e oggi pensionato, fino allo scorso anno segretario –. Certo, la pandemia ci ha rallentati, ma quest'anno siamo ripartiti e gli iscritti sono fioccati. In poco tempo tutti i posti sono stati occupati». Ragazze e ragazzi, insomma, sono «stregati» dalla tecnologia. «Sabato (domani, ndr) saremo alla Città dei Mestieri, a Bellinzona, per presentare i nostri robot e le nostre novità. Risponderemo anche alle domande di genitori, zii o nonni, che vorrebbero regalare un automa didattico per Natale, ma non sanno quale scegliere». Il primo passo per quelli che, un domani, potranno diventare «ingegneri, scienziati, protagonisti di un futuro sempre più attento all'impatto delle attività umane».
Robo-Si, oltre a mettere a punto i corsi di robotica, organizza anche la selezione ticinese del torneo First Lego League, una delle cinque eliminatorie a livello svizzero. La finale nazionale sarà a Yverdon, quella europea in Germania, mentre la finalissima mondiale si terrà negli Stati Uniti. Dall'anno prossimo, poi, l'associazione proporrà pure un secondo ‘campionato’ (sempre di livello internazionale), denominato ‘WRO—Worlds Robot Olympiad’, un po' più semplice e dedicato a una serie di compiti che il robot deve eseguire su un tavolo di gioco. La ‘tappa’ ticinese è prevista per il mese di maggio a Bellinzona.
«Mentre il First Lego League ha un respiro più ampio – continua Beltrametti –. I partecipanti devono non solo programmare i robot per eseguire compiti specifici su un tavolo di gioco, ma hanno la libertà di analizzare un problema nell'ambito del tema dell'anno e proporre una soluzione. Dovranno anche dimostrare le dinamiche del gruppo e che i progetti sono stati messi a punto da loro stessi, e non da un adulto, magari proprio lo stesso che li stava seguendo».
Come «i grandi»
«Lo scopo è orientare ragazze e ragazzi a intraprendere una professione nel settore tecnico», evidenzia il 70.enne. «Privilegiamo il lavoro in piccoli gruppi, la progettualità, il rispetto dei talenti le qualità dei singoli».
Intanto, suona una campanella. È ora di una breve pausa. La docente, Francesca Mancini, invita la classe a uscire qualche minuto. La stanza, ora, è vuota e silenziosa. I Legobot sono tutti fermi. «Si mettono in discussione, riflettono su una serie di competenze loro richieste» dice la 47.enne, che nella vita insegna alle medie nel ventaglio di materie pratico-artistiche, tra le quali c'è anche l'opzione di robotica. «Il mio compito consiste nel guidarli, nel farli riflettere sugli errori che hanno commesso per ritornare sui loro passi, rivedendo il codice con le istruzioni trasmesse alla macchina e modificarlo, migliorandolo. C'è un ragionamento, delle volte, che può essere anche molto faticoso».
La filosofia del lavoro, che si svolge a gruppetti di tre-quattro, consiste nel condividere la propria esperienza con gli altri. «Parlare delle proprie intuizioni per risolvere il problema, lavorare insieme alla riuscita. Il mondo di oggi è fatto così. Può sembrare un gioco, ma le dinamiche di lavoro sono le stesse di quelle nel mondo degli adulti, degli ingegneri grandi che devono progettare e programmare macchine o algoritmi che poi entreranno in produzione».
È scattato l'allarme
Tecnica, divertimento e creatività. Sono questi gli ingredienti che, nel 2010, hanno portato alla fondazione di Robo-Si. «All'epoca era scattato l'allarme a livello federale, perché all'orizzonte si avvertiva la carenza di personale nel mondo dell'informatica e dell'ingegneria, che sia gestione di sistemi o programmazione», ricorda Beltrametti. «Io come pedagogista e Andrea Albertini come ingegnere abbiamo così deciso di mettere in piedi questa realtà». Un modo per trovare la soluzione in un settore sempre più importante dell'economia e della società. Come riportato nel sito internet, oggi Robo-Si gode del sostegno del Dipartimento educazione, cultura e sport, oltre che della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (con, ovviamente, anche altri sostenitori esterni).
Nel frattempo, i ragazzi sono rientrati dalla loro pausa e riprendono a spostare linee di codice, rappresentate da blocchi colorati, scorrendo le dita sulla superficie degli schermi dei loro computer portatili. «Sì, da grande vorrei fare l'ingegnere informatico», spiega convinto Emanuele, di Monte Carasso. «Ero molto curioso e volevo provare... L'ho fatto e devo dire che mi piace», esclama il 12.enne. «Voglio far apparire una frase sul piccolo schermetto del robottino». Il giovanissimo tecnico ripassa una a una le righe della sua programmazione. Preme un tasto ed ecco che sulla ‘schiena’ del suo EV3 appare la scritta «Ciao mondo».
«Devi prenderci la mano»
Di tutt'altro sapore la sfida a cui è alle prese Emma: «Devo far raggiungere al robot una linea, poi si deve girare e tornare indietro. È difficile, ma è bello, è divertente». L'undicenne sottolinea come preferisca dedicarsi alla costruzione del 'bot' piuttosto che alla sua programmazione e aggiunge come non sia del tutto sicura di voler lavorare nel mondo dell'informatica. «Però qui ho preso l'abitudine a esprimermi con gli altri. A volte è complicato, ma poi ci si fa l'abitudine», conclude la piccola.
Anche Nicolas apprezza il lavoro in gruppo, anche se oggi i suoi ‘colleghi’ sono assenti per malattia. Sembra cavarsela ugualmente, anche se rimanere un po' indietro rispetto agli altri gruppi è inevitabile. «Programmare è come fare un salto dall'altra parte, diciamo. Non è come, ad esempio, usare un telefono per mandare un messaggio a qualcuno. I componenti della macchina e i rispettivi comportamenti, con esercizi del genere, bisogna capirli a fondo».
«Devi prenderci la mano», afferma Emanuele. «Capire quali strumenti ci sono a disposizione e poi, piano piano, riesci a programmare qualsiasi cosa in modo relativamente rapido».
Corsi in tutto il Ticino
«Nel mondo professionale di oggi, nessuno lavora per conto proprio, ma si opera in équipe e, spesso e volentieri, anche in ambito multidisciplinare», sottolinea Beltrametti. Le fa eco Mancini: «È una bella sfida. Perché, nella realtà, non è tutto immediato, tutto semplice. Attraverso la robotica educativa, loro capiscono che c'è sempre un ragionamento prima di un'azione. E questo è la forza a livello didattico di questa materia».
I corsi proposti dall'associazione sono di due tipi, uno dedicato a bambine e bambini delle elementari (terza, quarta e quinta) e uno per ragazze e ragazzi che frequentano la scuola media (11-15 anni). «Offriamo circa una decina di corsi in varie parti del Canton Ticino: Mendrisiotto, Luganese, Locarnese, Bellinzonese. E, spero presto, diciamo a partire dal prossimo anno, anche nella zona delle Tre Valli», ricorda Beltrametti. Che aggiunge come l'associazione non abbia alcuno scopo di lucro. «Cerchiamo di far pagare molto poco la ‘retta’ dei nostri corsi, venti franchi per mezza giornata».
«Ci sono io, ci sono altri docenti e cerchiamo di coprire le varie zone del Ticino, a seconda di dove siamo dislocati – aggiunge Mancini –. Noi organizziamo questi appuntamenti di quattro o cinque incontri nelle varie sedi di scuola media, tendenzialmente quelle che conosciamo o nelle quali lavoriamo. Le sedi, insomma, di cui sappiamo che c'è un certo tipo di disponibilità: non solo i computer o il software, ma anche le aule stesse, che devono comunque attrezzate». Da uno dei banchi, però, si leva una richiesta di aiuto. Sembra ci sia un problema con uno dei cavi dei robottini. Mancini per fortuna è attrezzata per far fonte a ogni evenienza, anche tecnica e in pochi minuti risolve il problema rimpiazzando il componente con uno pescato da un grande scatolone verde appoggiato sulla cattedra.
Nota di redazione: una prima versione di quest'articolo riportava il nome Gioele invece di Emanuele, attribuendogli un'età di 13 anni anziché 12.
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