«Se Belushi fosse ancora vivo suoneremmo negli stadi»
È una leggenda del Blues, una stella nella storia del cinema. Il sassofonista Lou Marini ha scatenato la folla alla Rotonda. E, a 78 anni, ha ancora energia da vendere con la sua “The Original Blues Brothers Band”.
Signor Marini, prima di tutto grazie per il tempo che dedica a questa intervista...
«Ma di che, figurati. È okay anche solo Lou».
Bene. Allora, Lou, come va?
«Ottimo, alla grande. Ed eccoci qua. Guarda questo posto, è proprio perfetto. Non potrebbe esserci nulla di meglio e nulla di più bello!».
Com’è Locarno? È andato bene il 1. Agosto in Rotonda?
«È stato un concerto fantastico. Il pubblico è stato grande. Abbiamo anche proposto alcuni brani che non suonavamo da un po’ e sono usciti benissimo. Eravamo tutti molto soddisfatti, molto felici».
Non era la prima volta, qui?
«Abbiamo provato a ricordare quando fosse stata l’ultima perché sai, avevamo già suonato a Bellinzona, a Locarno... Insomma, abbiamo ripreso a suonare nel lontano 1988. Se ci penso, sono centinaia di concerti da allora, è difficile da ricordare... Un nostro fan mi ha detto che 22 anni fa avevamo suonato a Bellinzona. Quindi penso che fossimo stati qui a Locarno attorno al 2015, o qualcosa del genere».
Qual è il segreto del vostro successo, della vostra energia?
«Qualsiasi possa essere tutta questa magia, penso sia dovuta al fatto che siamo insieme da così tanto tempo. Abbiamo attraversato molte avventure divertenti. E c’è parecchio amore nella band. Inoltre, siamo un gruppo di musica acustica: non ci sono trucchetti o marchingegni... solo tanta energia».
Marini è un nome italiano...
«Corretto. Ma non parlo italiano. Mia moglie sì, invece. È spagnola e ai tempi dell’università lavorava per le crociere Costa. Però mi sono riunito con la mia famiglia d’origine, in Trentino. Le mie radici sono in un piccolo borgo di nome Darzo, sul lago d’Idro. Un bellissimo lago sulle Dolomiti. Ci andiamo dagli anni Duemila, ogni volta che terminiamo i nostri tour trascorriamo cinque o sei giorni sempre lì. Quindi ecco, sono di nuovo tornato in contatto con l’Italia».
E torniamo alla musica.
«Sì. C’è così tanta energia, così tante emozioni e poi la musica che suoniamo, le nostre canzoni... Guardiamo il pubblico e vediamo tutti ballare e cantare insieme. Penso che un concerto dei Blues Brothers sia un’esperienza di pura felicità per la gente. Qualsiasi cosa facciamo, penso stiamo facendo proprio un buon lavoro!».
Notevole. E, mi permetto di aggiungere, a quest’età...
«Già. Pensa, ho 78 anni... è sbalorditivo! I Blues Brothers sono nati nel 1978. È una lunga, folle storia, ma parte dell’avventura consiste proprio nel venire a suonare in posti come questo».
Quanto c’è ancora dello spirito originale? Voglio dire, si viaggia a bordo di un furgone ore e ore da una città all’altra, da un concerto all’altro...
«Quello spirito c’è sempre. Sai, se fossimo davvero una band gigantesca... intendo, se Belushi fosse ancora vivo, suoneremmo per 20 mila persone in grandi stadi, o roba del genere. Invece ci esibiamo in posti più curiosi in giro per il mondo. Domani, ad esempio, andremo in Sardegna, a Oristano. E sono certo che saranno super-contenti di vederci, avremo di sicuro qualche avventura in giro sulla costa... Questa vita è un grande regalo, davvero. Ci succedono tante di quelle cose divertenti...».
Progetti in ballo?
«A fine agosto volerò a Cincinnati dopo aver suonato a New York,sempre per riprendere con James Taylor per tre settimane. Poi tornerò in Spagna, a metà settembre, per altri cinque, sei concerti insieme ad alcuni miei amici di lì. Devo anche concludere un altro progetto... Durante la pandemia ho composto 13 arrangiamenti per big band e li ho registrati a febbraio a New York con una all star band. Vorrei finalmente pubblicare l’album».
Tanta roba!
«Proprio così. Sto seguendo davvero tanti progetti, sì».
Il film che vi ha proiettato nella storia del cinema, che esperienza è stata?
«Girare The Blues Brothers è stata un’avventura. Per esempio, ricordo bene la scena di Aretha. L’avevamo provata in una sala da ballo. Una di quelle grandi, con gli specchi. Avevamo una grande coreografia. Ero determinato a suonare il mio assolo di sassofono,anche se questo era comunque preregistrato».
E perché mai?
«Sai, una cosa che mi ha sempre infastidito nei film è vedere i musicisti muovere le dita in modo insensato. E magari quando staccano la bocca dallo strumento senti in realtà l’assolo... non so se mi spiego. Una cosa irritante. Così ho imparato a suonare il mio assolo insieme alla registrazione. E in effetti durante le riprese suonavo davvero. Ma poi c’era questo bancone. Era alto fino al torace e largo solo così. Io dovevo stare in piedi, suonare e ballare. Per farla breve: una cosa è provare la coreografia in una grande sala da ballo. Un’altra, essere appollaiati a questa cosa stretta. Ma non è tutto. C’era anche un altro problema».
Quale?
«Siccome non c’era il soffitto, dato che era un set cinematografico, non potevano filmarmi dal basso verso l’alto, ma solo da quest’altezza, dritto. Quindi ci sono varie inquadrature nelle quali la mia testa non si vede. È tagliata! Ero davvero tanto arrabbiato con John Landis, ma ridevano tutti, sai com’è!».
Torniamo a Locarno, al Festival...
«Già, il mio road manager mi ha dato una rapida rispolverata e l’altra sera abbiamo camminato sul tappeto rosso. È la mia seconda volta. La prima era stata a Cannes, all’uscita di Blues Brothers 2000. Il mio secondo tappeto rosso proprio a Locarno, che emozione».
Una storia musicale diventata culto
Regista e interpreti
The Blues Brothers è una commedia musicale diretta nel 1980 da John Landis e interpretata da John Belushi e Dan Aykroyd.
Dalla Tv al cinema
Belushi e Akroyd interpretano rispettivamente Jake ed Elwood Blues. Due fratelli i cui personaggi erano stati creati per lo show televisivo Saturday Night Live. Il titolo del film, diventato poi una sorta di marchio per le generazioni future, fu un’idea del musicista e compositore canadese Howard Shore.