«Siamo all’inizio di un processo, in attesa di ridisegnare l’azienda»
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Lo scorso mese di giugno, davamo spazio a un botta e risposta tra Albert Rösti e la SSR. Da un lato il consigliere federale sottolineava: «L’iniziativa SSR avrebbe conseguenze drastiche per l’offerta giornalistica e il radicamento regionale dell’azienda». Dall’altro, la SSR, prendendo atto del piano di riduzione del canone presentato dall’Esecutivo, avvertiva: «Si tratta dell’inizio di un lungo processo». Mario Timbal, direttore della RSI, aggiungeva: «Sono già pronte misure di risparmio».
Mario Timbal, ci eravamo lasciati così. E oggi - tre mesi dopo - ci siamo, siamo alle prime misure di risparmio, annunciate questa mattina a tutto il personale della RSI.
«Sì, abbiamo lavorato molto sulle parti organizzative e finanziarie, ma prevediamo la soppressione di 15 posti di lavoro - 10 dei quali potranno essere assorbiti grazie a fluttuazioni naturali e pensionamenti anticipati -, con un numero di licenziamenti veri e propri che non sarà superiore a 5. Però è proprio così, siamo all’inizio di un processo e ci attendono cinque anni di riduzioni. Da oggi fino al 2029, dovremo ridurre ogni anno. In questo caso parliamo di un risparmio da 5 milioni di franchi per il 2025, di 12 milioni di franchi invece per il 2026. D’altronde, la SSR dovrà risparmiare 50 milioni di franchi nel 2025 e, presumibilmente, 65 nel 2026. Il tutto, prima che inizi la discesa del canone così come previsto dal Consiglio federale».
Quali settori saranno maggiormente toccati dai tagli?
«Tutta l’azienda è toccata. Una parte dei risparmi si lega anche al nuovo palinsesto. Pur valorizzando maggiormente la prima serata, più compatta, così come la seconda - e i risultati in questo senso ci stanno dando ragione -, ci permette un risparmio strutturale. Stiamo lavorando su organizzazione e amministrazione, ma ci saranno anche scelte editoriali in questa campagna di risparmio. In questi due anni, prima per l’appunto della discesa del canone, ci stiamo allineando con tutte le unità aziendali, per poi ripartire con un processo di redesign dell’azienda. In questo senso, la nostra dimensione, più piccola rispetto alle altre unità regionali, ci ha permesso di fare questo lavoro più velocemente. E da qui si spiegano anche i numeri proporzionalmente più piccoli».
Ricordiamo che giovedì scorso la RTS annunciava economie per 10 milioni e la soppressione di 55 posti di lavoro. Lei stesso ammette che siamo all’inizio di un processo. Dobbiamo aspettarci tappe simili ogni anno, una sorta di perenne spada di Damocle?
«Possiamo suddividere i prossimi cinque anni in due fasi. Questa è una prima fase, nella quale siamo confrontati a un riconoscimento parziale del rincaro. Essendo il canone plafonato, dobbiamo comunque programmare un rientro. E oltre a questo, dobbiamo tenere in considerazione la discesa pubblicitaria. Ecco, questa è la prima fase e varrà per i prossimi due anni. Poi, dal 2027, a meno di controprogetti che potrebbero nascere in ottobre in Parlamento, dovremo affrontare il passaggio del canone a 312 franchi, fino ai 300 franchi del 2029. Però sono due fasi distinte. Ora siamo in una fase di rientro della spesa, in una fase di risparmio. Poi si tratterà di ridisegnare l’azienda, con una difficoltà in più: la decisione sulla nuova concessione arriverà solo nel 2029. Quindi ciò che dovremo fare - e sarà la nuova direttrice generale Susanne Wille a guidare questo processo - sarà trovare un nuovo modello aziendale che possa essere proporzionato a quelli che saranno i nostri compiti».
Citava i palinsesti. Ogni cambiamento, da fuori, viene osservato come una decisione influenzata dall’iniziativa «200 franchi bastano». Quanto condiziona le vostre strategie e la qualità del prodotto?
«Non ci condiziona nelle scelte di palinsesto. Ci condiziona, al momento, sugli aspetti strutturali e degli investimenti, anche perché ora sappiamo qual è il nostro orizzonte. Le decisioni relative al palinsesto sono state prese prima dell’annuncio del Consiglio federale e si basano sull’analisi dei dati d’ascolto. Ma tali scelte - in particolare quella di anticipare la prima serata, smarcandoci dalla concorrenza italiana - dovevano essere compatibili con un rientro della spesa, che sapevamo sarebbe arrivato. Abbiamo compattato i format di nostra produzione a un’ora, il che ci permette di concentrare maggiormente la qualità - penso a Falò, a Patti chiari -, mentre sospenderemo per sei mesi Storie perché vogliamo concederci una riflessione più ampia per disegnarne il cambiamento. Lo spostamento di Falò è stato pensato, invece, per smarcarlo da una delle due serate dedicate al calcio europeo su La2, un grande ritorno per noi. Insomma, l’idea è quella di valorizzare al massimo le nostre produzioni, le nostre prime serate, ma anche Infonotte. Siamo riusciti anche a introdurre una prima serata di nostra produzione il lunedì, con quelli che riteniamo i nostri programmi speciali. Vogliamo dimostrare che, anche in un momento difficile, abbiamo creatività, voglia di cambiare e di incidere, diversità nell’offerta».
Semplificando il palinsesto, abbreviando gli approfondimenti, non c’è il rischio di banalizzare il linguaggio, venendo meno anche a una profondità di lettura che dovrebbe essere parte del vostro mandato?
«Direi l’opposto. Il cambiamento nel palinsesto va in un’altra direzione. L’intrattenimento, per esempio, ha perso uno spazio di prime time. Non parlerei tanto di semplificazione, ma di diversificazione. È chiaro, comporre un palinsesto nell’epoca digitale, diventa sempre più difficile, perché non si può più segmentare per età, ma per abitudini di consumo e interessi. Pensiamo allora che la soluzione sia la diversità nell’offerta, oltre che la rilevanza dei contenuti».
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A proposito di semplificazione, si parlava, già nel 2021, di «alleggerire e semplificare i processi di lavoro», anche in ambito amministrativo. In che modo si sta perseguendo questo obiettivo? Ci sono ancora, oggi, in RSI, le gerarchie pesanti che venivano contestate all’ente pubblico?
«Fare televisione resta un mestiere molto complicato. Contrariamente a quel che si pensa, la produzione e la distribuzione rappresentano qualcosa di molto complesso, che va al di là del luogo comune dell’“oggi basta un telefonino”. Noi dobbiamo garantire una sicurezza, una continuità, e per farlo necessitiamo, in un certo senso, di alcune sovrastrutture. Ma non nell’amministrazione, dove stiamo procedendo ad alcune razionalizzazioni; ma in questi anni è stato fatto tanto, proprio per preservare i programmi. Ma ci siamo accorti che questa è un’azienda cresciuta a strati, dove di volta in volta si è molto aggiunto. Per semplificare, quindi, bisogna riorganizzare spesso radicalmente. Si pensa sempre che chi non produce programmi non sia utile, ma non è così. La RSI è un’azienda grande e necessita di un determinato apparato amministrativo e gestionale. Siamo inoltre parte di un gruppo nazionale, quindi bisogna anche assicurare quel giusto legame con la centrale di Berna e con le altre unità perché il gruppo si muova compatto».
Qual è lo spazio, oggi, riservato alla cultura alla RSI?
«La cultura resta uno dei pilastri del nostro mandato. È il mondo da cui provengo, e sarà sempre centrale. Non abbiamo disinvestito. C’è qualcosa, magari, che smetteremo di fare, sì, ma si tratta di scelte editoriali e di rinnovo dell’offerta. Stiamo pensando, come detto, alla nuova versione di Storie e stiamo preparando un nuovo magazine che, da gennaio, sostituirà Turné, portando nuovi linguaggi, e una critica culturale oltre alla semplice mediazione».
Una cosa è la programmazione culturale, un’altra è la produzione culturale.
«Il discorso in questo ambito è più complesso. Bisogna chiedersi quale sia e quale possa essere il ruolo della RSI nella Svizzera italiana per la produzione audiovisiva, la produzione musicale e la produzione teatrale. Molto, nei prossimi anni, dipenderà dal mandato che avremo, ma è vero che su quei compiti, fondamentali per l’intera regione, noi non riusciamo più a essere un vero e proprio volano. Anche per questo sono molto contento della nascita della Città della musica. Per il futuro della regione, bisognerà trovare nuove soluzioni, ragionando e lavorando in rete. È chiaro, oggi, che il servizio pubblico non potrà più avere quel ruolo che aveva, preponderante, nella produzione culturale. Le nostre consorelle non hanno già più questo ruolo, e noi non possiamo più permettercelo. Per questo dovremo discutere con il mondo culturale perché non ci sia una perdita secca per la regione».
È una rinuncia pesante.
«Noi viviamo in una regione che, in tutti questi settori, ha poco mercato. Ha una massa critica minore. Anche per questo, io so che nella Svizzera italiana ogni licenziamento pesa di più. Una responsabilità maggiore, per noi».
Si continua a parlare di cifre - anche nel dibattito politico -, meno di valori che il servizio pubblico dovrebbe rappresentare. Quali sono, a suo modo di vedere, i valori imprescindibili per la RSI?
«Sappiamo che cambieremo, che non saremo più la RSI che eravamo. E al contempo ancora non sappiamo come saremo. Ciò che ci è chiaro è proprio il fatto che avremo gli stessi valori e un mandato che avrà sempre il pubblico al centro. Quali valori? La trasparenza, la coesione, la solidarietà, la vicinanza. In una parola, la responsabilità».
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Media e politica sembrano lontani, come mai - forse - erano stati. È così?
«Personalmente, osservo un certo disallineamento tra media e politica. Sono due mondi che hanno bisogno l’uno dell’altro, ma che al momento non riescono a trovare una dialettica e un equilibrio, fino ad arrivare a uno scollamento. Avvertiamo l’apprezzamento del pubblico, anche di fronte al nuovo palinsesto, il che ci fa pensare che stiamo facendo un buon lavoro. Ma ci troviamo oggi ad annunciare cinque anni di ridimensionamento. C’è questo paradosso, e penso che l’unica chiave di lettura sia quella di due mondi, media e politica, che non riescono più ad allinearsi. Questa dialettica, questo equilibrio, sono fondamentali per il Paese».
Tra l’azienda e il suo personale, invece, c’è ancora allineamento?
«È un momento di scelte, e giustamente le scelte non sempre vengono condivise. Qui siamo di fronte a un grosso cambiamento, per l’azienda, ma penso che questo allineamento ci sia comunque. Resto convinto che occorrano apertura e trasparenza: non bisogna evitare di affrontare i temi, neppure quelli più scomodi. Anche se si genera scontento, non posso rinunciare a un dialogo costante. E poi voglio insistere sulla responsabilità che abbiamo verso il Paese, verso chi ci finanzia, verso il nostro mandato. Il fatto di essere al centro del dibattito politico, non ci facilita. Così come non ci ha facilitato l’incertezza nella quale abbiamo vissuto per mesi, senza sapere quali sarebbero stati i budget a venire. Nonostante questo, abbiamo reagito con alcune scelte, con un nuovo palinsesto, rinnovando i format. Ecco, è importante che resti questa vitalità: è attraverso i nostri programmi che mostreremo l’importanza del nostro servizio».
D’accordo sui tagli, ma significa anche che non ci saranno nuove assunzioni? E fino a quando?
«In una fase di rientro, uno degli obiettivi è diminuire al massimo l’impatto sociale derivante dalle nostre decisioni. Ma parallelamente, dobbiamo trasformare l’azienda, e quindi avremo bisogno anche di nuove competenze, penso in particolare al settore digitale e tecnologico. Ci attende la ricerca di quel giusto equilibrio, che ci permetta di far entrare in azienda le competenze necessarie, cercando di limitare l’impatto di una riduzione dei nostri collaboratori. Come? Andando in profondità, arrivando a valutare persona per persona. Ci attende un lavoro enorme».