Sotto il peso delle piattaforme digitali
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«Addio controlli sulle fake news. Zuckerberg si allinea a Trump». «Zuckerberg si arrende alla libertà di disinformare e a Elon Musk». «Zuckerberg e Musk dimostrano che le Big Tech non si preoccupano dei fatti». Sono solo alcuni titoli che abbiamo registrato in questi giorni, sull’onda lunga dell’elezione di Trump e delle successive decisioni delle piattaforme online in merito al relativo controllo editoriale. Ci ha stupiti, per tempismo, quanto pubblicato proprio oggi dalla Commissione federale dei media (COFEM), ovvero alcuni spunti di riflessione sul potere di mercato e di opinione delle piattaforme online. Tale tempestività è probabilmente casuale, ma rappresenta un interessante appello in termini di responsabilità collettiva. E non solo, è anche uno spaventoso ritratto della nostra società.
Fonte principale per i giovani
Il tutto parte da una considerazione. «Oggigiorno, piattaforme come i motori di ricerca, i social network e i servizi di condivisione video svolgono un ruolo centrale nel dibattito pubblico e nella formazione dell’opinione democratica. Tuttavia, il grande potere delle piattaforme non è quasi mai oggetto di una discussione pubblica. Le imprese che gestiscono piattaforme hanno spesso un notevole potere di mercato, che rende anche i media svizzeri dipendenti da loro. Allo stesso tempo, le piattaforme hanno potere di opinione e gestiscono una parte significativa del dibattito pubblico tramite i loro algoritmi». Un ruolo centrale, si sottolinea, per l’informazione, ma anche per l’intrattenimento e la comunicazione. D’altronde, come evidenziato da un recente studio dell’Università di Zurigo, in Svizzera, nel 2024, i social media sono stati la fonte d’informazione principale per un terzo dei giovani fra i 18 e i 24 anni. Ma anche per altre fasce d’età «la loro importanza non va sottovalutata». A ciò vanno aggiunti i possibili intenti politici alla base della programmazione degli algoritmi, ma anche il potere delle piattaforme rispetto ai media tradizionali.
Il potere sui media
Nel rapporto viene sottolineato lo stato di dipendenza dei media dalle piattaforme online. Ciò riguarda, in primis, il mercato pubblicitario, perché «le imprese che gestiscono grandi piattaforme hanno sviluppato interessanti servizi pubblicitari online, di cui le imprese del settore dei media fruiscono per vendere i loro spazi pubblicitari online a inserzionisti, dovendo dunque accettare le condizioni delle piattaforme». E poi, viene fatto notare, «le aziende del settore dei media devono inevitabilmente rendere disponibili i propri contenuti sulle piattaforme». L’esempio è riferito a un quotidiano svizzero generico, che ha interesse affinché i propri contenuti siano mostrati su motori di ricerca, social media o servizi di condivisione di video, visto che «numerosi utenti oggi non si informano direttamente presso le offerte mediatiche ma tramite le piattaforme». Insomma, un rapporto di dipendenza, come detto, pure considerando il peso di queste aziende nel fornire modelli di intelligenza artificiale, utilizzati anche dagli stessi media. Considerando la massa di dati gestita dalle singole piattaforme, i rischi per la democrazia sono evidenti. Nel documento della COFEM si osserva chiaramente: «Il potere di mercato delle aziende dietro le piattaforme di comunicazione va di pari passo con il potere d’opinione, e questa combinazione è di particolare rilevanza per la formazione dell’opinione nella sfera pubblica democratica». Obiettivi politici e commerciali possono avere un forte influsso sui contenuti mostrati e dunque avere conseguenze negative per la pluralità delle opinioni e dei media. «Ciò può contribuire a una polarizzazione dei dibattiti e a un progressivo cambiamento dell’ecosistema dell’informazione: gli spazi di dibattito possono frammentarsi e la fiducia della popolazione nella base comune di fatti, determinante per le società democratiche, può erodersi sempre più. Tali effetti emergono in particolare in combinazione con il potere di mercato delle piattaforme».
Gli ambiti di intervento
E quindi, che cosa fare per non lasciarsi travolgere da questa ondata di interessi incrociati e di possibile disinformazione? La COFEM propone cinque opzioni di intervento, parlando di una «strategia olistica» per gestire il potere dei grandi gruppi tecnologici. Primo ambito: «Regolamentazione del potere di mercato delle piattaforme adattando il diritto in materia di concorrenza ai requisiti dell’economia delle piattaforme». Vengono citati gli esempi di Germania e Austria. Secondo: «Governance degli algoritmi attraverso obblighi di valutazione dell’impatto del rischio, comprensibilità e considerazione dei valori democratici, nonché tramite lo sviluppo di alternative non commerciali». La ricerca scientifica chiede sempre più spesso di tenere conto dei valori sociali o democratici nella programmazione di algoritmi. Gran parte della ricerca si concentra infatti su come aumentare la varietà e la rilevanza delle raccomandazioni. Terzo: «Rafforzare il controllo sociale sulle piattaforme, ad esempio attraverso l’accesso ai dati e servizi di controllo indipendenti», sia ai ricercatori, sia ai media. Quarto: «Regolamentazione dell’intelligenza artificiale per mezzo di obblighi di rendiconto lungo l’intera catena di creazione del valore e misure per garantire i diritti fondamentali». L’obiettivo è aumentare la trasparenza il più possibile, in particolare in questa fase in cui l’intelligenza artificiale è sempre più protagonista nella nostra società. Quinto: «Promuovere le competenze mediatiche e digitali per muoversi con consapevolezza nella sfera pubblica digitalizzata». È un punto essenziale, quest’ultimo, che chiama in causa la responsabilità dei singoli individui, e non più «soltanto» della collettività. Le competenze mediatiche vanno però intese in senso più ampio. «Queste comprendono ad esempio la conoscenza del funzionamento e dei modelli commerciali dei media e delle piattaforme, nonché dei loro algoritmi, la valutazione della credibilità e dell’affidabilità delle informazioni, l’analisi degli effetti sulla democrazia e una gestione autonoma della comunicazione».
«Influenzano la diversità delle opinioni»
Anna Jobin è la presidente della Commissione federale dei media. È anche una ricercatrice, esperta proprio di algoritmi digitali ed etica. L'abbiamo raggiunta per aggiungere alcune informazioni al rapporto presentato in giornata.
Nel rapporto si sottolinea più volte come non si parli abbastanza del ruolo dei grandi gruppi tecnologici nella nostra società e della loro influenza sulla politica e sulla società. Perché? E perché è così importante parlarne?
«L’influenza di questi grandi gruppi tecnologici è così pervasiva da passare inosservata. Ma è essenziale esserne consapevoli e parlarne se vogliamo garantire un controllo democratico su questi attori che hanno un profondo impatto sulla nostra società. Queste aziende controllano i flussi di dati e hanno il potere di influenzare la percezione della realtà sociale, la diversità e la visibilità delle nostre opinioni».
In passato, la COFEM ha raccomandato un sostegno diretto al giornalismo; quale dovrebbe essere il ruolo del giornalismo e dei media in relazione all’influenza delle piattaforme tecnologiche?
«Il sostegno al giornalismo mira proprio a preservare o incoraggiare una diversità di media privati e indipendenti, che è auspicabile. Il giornalismo rimane fondamentale per mantenere un dibattito pubblico informato e per offrire informazioni verificate e contestualizzate. Poiché il pubblico consuma informazioni online, la presenza di contenuti giornalistici su queste piattaforme è essenziale».
Questo rapporto giunge in un momento molto particolare, in cui le principali piattaforme stanno abbandonando il controllo su ciò che gli utenti pubblicano. Questo ci lascerà sempre più esposti alle fake news e alla disinformazione. È così?
«Questo dimostra perfettamente l’autorità unilaterale che tali aziende esercitano sulle categorie e sulle forme di informazione che vengono privilegiate per la distribuzione. Purtroppo, l’opinione di milioni di utenti non ha alcuna influenza, nonostante queste piattaforme occupino un posto predominante nella comunicazione e nell’informazione per gran parte della popolazione. In una società che aspira a essere democratica, è profondamente problematico che un’azienda privata concentri così tanto potere decisionale sul nostro ambiente informativo, senza un reale controllo o una consultazione del pubblico».