Svizzera

Berna cerca le contromisure ai dazi tra ritorsioni e riforme da congelare

La politica reagisce agli annunci di Washington: i socialisti chiedono una «tassa tecnologica» per Meta e X – E se il Consiglio federale promettesse investimenti per 100 miliardi negli USA? «Serve un contatto diretto con Trump»
©Andrew Harnik
Luca Faranda
06.04.2025 20:00

«Hands Off», Giù le mani. Le proteste contro le politiche di Donald Trump si stanno allargando: Washington, New York, Boston, San Francisco, Portland. Ma non solo: le contestazioni sono andate in scena anche in Canada, Messico e nei Paesi europei. A fare rumore, soprattutto al di fuori dei confini statunitensi, è ovviamente l’imposizione dei dazi, pari al 31% per quanto riguarda la Svizzera.

Il Consiglio federale, reagendo all’annuncio, ha reso noto che una escalation con Washington non è nell’interesse della Svizzera. Eppure, anche nella Confederazione si invocano da più parti delle contromisure alle decisioni del presidente statunitense.

Misure dal PS, attesa nel Centro

A fare la voce grossa è Cédric Wermuth, consigliere nazionale e co-presidente del PS. «La Svizzera deve unirsi alle misure che l’UE adotta contro gli Stati Uniti», ha spiegato l’argoviese in un articolo pubblicato sul domenicale «SonntagsZeitung». La risposta di Bruxelles agli Stati Uniti dovrebbe arrivare il 9 aprile, proprio il giorno in cui entreranno in vigore i dazi (una parte è già stata introdotta il 5 aprile). Le possibili soluzioni sono dei contro-dazi, oppure tramite una progressiva riduzione della dipendenza dagli Usa (Wermuth torna a chiedere di abbandonare l’acquisto degli F-35), ma il co-presidente del PS prende di mira anche le aziende tecnologiche statunitensi come X e Meta. Ad esempio, limitando le piattaforme oppure introducendo una «tassa digitale». Nell’UE, tra le possibili ritorsioni, si sta infatti discutendo di una tassa contro le Big Tech.

Le proposte di Wermuth, tuttavia, difficilmente troveranno una maggioranza. Il Centro, dal canto suo, ha già reso noto di voler prima esaminare attentamente gli sviluppi e auspica «soluzioni pragmatiche per i settori interessati».

Programma di rivitalizzazione

Il PLR, invece, ha proposto subito un «programma di rivitalizzazione»: ridurre imposte e tasse, meno burocrazia e sviluppare nuovi mercati. Il consigliere nazionale Simon Michel (CEO di Ypsomed e membro del comitato direttivo di Economiesuisse) ha criticato il Consiglio federale - tra cui la collega di partito Karin Keller-Sutter e il democentrista Guy Parmelin - poiché la Svizzera non ha relazioni di alto livello con gli Stati Uniti. A suo avviso, non è sufficiente inviare la Segreteria di Stato all’economia. Serve un contatto diretto e immediato con Trump. La ricetta del solettese? Promettere investimenti negli Stati Uniti per 100 miliardi di dollari. Già oggi, la Svizzera investe tra i 15 e i 20 miliardi di franchi negli Usa. Per Simon Michel (nel PLR è uno dei sostenitori più accaniti di un accordo con l’UE), la decisione di Trump è un assist per chi vuole relazioni più strette con Bruxelles: «Le politiche di Trump dimostrano che l’America non è un partner affidabile. Nemmeno l’UDC può più ignorarlo. Ciò contribuisce a stabilizzare i negoziati dell’UE», ha sottolineato in un’intervista al domenicale.

A invocare contromisure mirate è anche il consigliere nazionale Hans-Peter Portmann (PLR/ZH). Quali? Ad esempio, chiedere ai fornitori di servizi esteri di aprire una filiale in Svizzera se intendono offrire i loro servizi nella Confederazione. Questa barriera «danneggerebbe gli Stati Uniti», si legge sul domenicale. In Svizzera, infatti, operano circa 1.300 aziende statunitensi (per oltre 100 mila posti di lavoro, in particolare McDonald’s, Johnson&Johnson, Deloitte e Google). Un’altra contromisura avanzata da Portmann potrebbe essere quella di sospendere l’attuazione della riforma fiscale dell’OCSE (entrata in vigore nel 2024, che impone un’aliquota minima del 15% per le multinazionali). Secondo Portmann, questa riforma pone le aziende svizzere in una «enorme situazione di svantaggio», poiché gli Stati Uniti si sono ritirati a gennaio.

«Un ostacolo»

E l’UDC? Subito dopo l’annuncio del presidente statunitense, il partito ha chiesto un programma di aiuti. Sui dazi si limita a dire che si tratta di «un ostacolo» e a sostenere che Trump sta mantenendo le promesse elettorali. Il partito di Marcel Dettling propone dunque meno burocrazia, nessuna ulteriore adozione di normative dell’UE, ma anche tasse e imposte più basse (con risparmi nel settore dell’asilo).

«Ora dobbiamo trovare una soluzione con Trump il più rapidamente possibile», ha dal canto suo affermato al Blick il consigliere nazionale Thomas Aeschi (UDC/ZG), capogruppo alle Camere federali.

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