Camere

Berna frena, ma la Posta non si ferma: «La trasformazione continua»

Il Consiglio nazionale chiede di interrompere i piani di smantellamento – Il Gigante giallo, però, non vuole rimanere ancorato al passato
© PETER SCHNEIDER
Luca Faranda
10.09.2024 19:30

Consegna di lettere e pacchi ogni due o tre giorni, abolizione della Posta A oppure levare il limite di consegna dei giornali entro le 12.30. Negli ultimi mesi se ne sono sentite di tutti i colori sul Gigante giallo. Queste misure (per il momento) non sono ancora una realtà, ma per «La Posta di domani» - così è chiamata la strategia dell’ex regia federale - l’indirizzo è chiaro: puntare sulla digitalizzazione, chiudere gli uffici e ricorrere alle agenzie postali, ad esempio nei negozi. A fine maggio, la Posta ha annunciato di voler chiudere 170 filiali gestite in proprio a livello nazionale. Entro il 2028, rimarranno circa 2 mila sedi dotate di personale, di cui 600 uffici postali.

Servizio pubblico e dividendi

L’obiettivo primario della politica del servizio universale è quello di fornire in tutto il Paese un servizio di base di buona qualità, finanziabile ed affidabile, anche nelle regioni periferiche. E ciò anche se i costi dei servizi postali risultano ben superiori rispetto alle aree urbane, dove per ovvie ragioni i margini di guadagno sono più elevati. Eppure, il Gigante giallo ha una missione chiara: fare utili. E distribuire dividendi. Gli obiettivi li hanno chiaramente fissati, in un passato non troppo lontano, il Parlamento e il Consiglio federale.

Servizio pubblico e dividendi, tuttavia, spesso non vanno di pari passo. E così la Posta - pur senza ottenere i favori delle Camere - vorrebbe proseguire sulla sua strada (cfr. edizione del CdT di lunedì 9 settembre). Di più: a metà giugno, il Consiglio federale ha reso noto di voler abbassare (tramite una modifica dell’ordinanza sulle poste) le esigenze sulla puntualità. In futuro, solo il 90% delle lettere e dei pacchi (oggi la soglia è rispettivamente del 97 e del 95%) verrà consegnato per tempo. Inoltre, verrà abolito l’obbligo di eseguire il recapito in tutte le case abitate tutto l’anno, entrato in vigore solo nel 2021.

Bisogna attendere anni

I piani della Posta - e del Consiglio federale - ora sono però messi in discussione: a mettere i bastoni tra le ruote ai vertici della Posta e ad Albert Rösti ci ha pensato il Consiglio nazionale, che ha approvato - con 113 voti a 60 e 18 astensioni - una mozione della sua Commissione delle telecomunicazioni che chiede di «chiarire il mandato di servizio universale».

Il Consiglio federale, prima di tutto, deve presentare un progetto di revisione della legge sulle poste (il DATEC dovrà preparare le linee generali entro giugno 2025). Ma è la seconda richiesta a centrare il punto: «Fino alla conclusione della revisione della legge sulle poste il Consiglio federale rinuncia a modifiche dell’ordinanza sulle poste e impone alla Posta, con mezzi idonei, di sospendere i piani di rinuncia al recapito negli insediamenti di piccole dimensioni, di chiusura di uffici postali o di riduzione della puntualità nel recapito di pacchi e lettere». Tutto bloccato, potenzialmente per anni. In realtà, non proprio: il dossier passa ora ai «senatori», ma la Posta ha già annunciato che proseguirà senza indugio con i suoi piani (vedi sotto).

PMI e concorrenza

Per il consigliere nazionale Lorenzo Quadri (Lega), che ha parlato a nome della commissione, le attuali basi legali lasciano un margine di manovra troppo ampio: il Governo, agendo tramite ordinanze, scavalca il Parlamento. Oltre a ciò, a far storcere il naso è in particolare la chiusura di uffici postali nelle regioni periferiche e la concorrenza praticata dalla Posta a varie aziende (ad esempio nel campo dell’informatica o della pubblicità). L’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM), già nel dicembre 2022, aveva accusato l’ex regia federale di sfruttare la sua posizione per espandersi anche in altri settori: «Abbiamo notato una grande aggressività della Posta nel procedere a queste acquisizioni dubbie dal profilo della concorrenza», spiega Fabio Regazzi, presidente dell’USAM .

Proprio per questo, le due Camere pochi mesi fa hanno approvato una mozione che impone alla Posta di ottenere il nullaosta del Consiglio federale in caso di acquisizioni che non rientrano nel mandato di prestazioni. «Ma questi atti parlamentari devono essere subito trasformati in legge. Il Consiglio federale deve vegliare su quello che fa la Posta al di fuori della sua attività principale, non può lavarsene le mani», deplora il «senatore» ticinese, secondo cui queste acquisizioni sono operazioni strategiche e non operative.

Pragmatismo

Albert Rösti, dal canto suo, in aula ha confermato che l’Esecutivo sta lavorando per rivedere l’intera politica di acquisizione da parte dell’ex regia federale. Tuttavia, ha più volte ribadito il concetto di procedere «con pragmatismo» sullo sviluppo futuro della Posta. «La Svizzera non diventerà mai un deserto postale. Chiudiamo gli uffici postali, ma contemporaneamente apriamo punti di contatto nei punti vendita», ha ricordato Rösti, ammettendo tuttavia che il livello delle prestazioni e dei servizi offerti nelle agenzie è molto inferiore rispetto agli uffici.

A essere particolarmente toccati dalle chiusure sono soprattutto le persone (anziane) che vivono nelle valli e nelle regioni discoste. Nonostante ciò, il mantenimento degli uffici postali in queste zone sembra essere sempre più difficile. «Già oggi nelle regioni periferiche non c’è quasi più alcun ufficio postale. Ma alla fine la popolazione ha bisogno dei servizi, non degli uffici», sostiene il consigliere nazionale Martin Candinas (Centro/GR). Il grigionese, contrario alla mozione, è anche vicepresidente del Gruppo svizzero per le regioni di montagna. «Dobbiamo lasciare alla Posta un buon margine di manovra per decidere in che forma offrire i servizi. Quanto propone non è estremo: è sbagliato voler mantenere tutto come era anni fa, perché i bisogni della popolazione cambiano e i servizi postali vengono utilizzati sempre meno. L’alternativa è un radicale cambio di sistema. Ricordo che oggi è la Posta a dare soldi allo Stato e non il contrario».

«Continueremo la trasformazione»

Il Canton Ticino, probabilmente, non sarà risparmiato dai piani di ristrutturazione della Posta. Delle 170 filiali che l’ex regia federale vuole chiudere, venti sono state individuate a Sud delle Alpi. La decisione del Consiglio nazionale, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente per salvare gli uffici a rischio. La Posta, da noi contattata, ha reso noto che per il momento non ci sono conferme su eventuali chiusure: «La Posta fornirà ulteriori informazioni sullo stato delle trattative nell’autunno 2024», ci spiega Silvana Grellmann, portavoce del Gigante giallo, precisando che in una prima fase sono stati informati i collaboratori e attualmente è ancora in corso il dialogo con i Cantoni e i Comuni interessati in tutta la Svizzera.

La mozione approvata dal Nazionale non sembra influenzare i vertici: l’atto parlamentare dovrà essere ora trattato dagli Stati. In seguito, in caso di approvazione, toccherà al Consiglio federale attuare le raccomandazioni. «Nel frattempo, la Posta continuerà come previsto la sua trasformazione». Niente cambio di rotta, dunque. «La Posta si oppone fermamente a questa mozione», tiene a precisare la portavoce, secondo cui c’è bisogno di un mandato di servizio universale «che risponda alle esigenze della popolazione oggi, e non rimanga ancorato al passato». Il rischio, mantenendo lo status quo, è di aumentare ulteriormente il deficit del servizio universale, mettendo anche in discussione il suo autofinanziamento.

Un presidio a Bellinzona

Per protestare contro la chiusura degli uffici postali in Ticino, venerdì sera alle 17.30, all’entrata del Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, sarà organizzato un presidio dai sindacati e dai partiti di sinistra. Le chiusure «comporterebbero una significativa riduzione dei servizi essenziali per la popolazione locale, soprattutto per le fasce più deboli».