Burqa e niqab, facciamo chiarezza tra tante chiacchiere

Si avvicina a grandi passi il 7 marzo. La popolazione sarà nuovamente chiamata alle urne per esprimersi su tre oggetti in votazione messi sul piatto dal Consiglio federale e uno in particolare è quello che da anni continua a scaldare gli animi dello schiacchiere politico e dell’opinione pubblica. Stiamo parlando dello stop alla «dissimulazione del volto in pubblico», noto anche come iniziativa «anti-burqa», depositata dal Comitato di Egerkingen nel settembre del 2017 che mira a estendere la proibizione di dissimulare il viso - già in vigore in Ticino (primo Cantone a punire questa pratica nello spazio pubblico) e a San Gallo – su tutto il territorio nazionale.
In questo articolo non si vuole mettere benzina sul fuoco alle varie dispute acuite dai pro e dai contro all’oggetto in votazione, ai vari «confronti tra civiltà», al proselitismo oppure al grande enigma di giusto o sbagliato, ci penserà la democrazia a fare il suo corso. Vogliamo tuttavia fare chiarezza sulle origini, i vari significati delle diverse tipologie di velo e offrire qualche curiosità sugli elementi che ruotano attorno all’iniziativa popolare, ovvero il niqab e soprattutto il burqa.

Genesi e curiosità
Partiamo dalla base. Sotto la voce burka (o burqa) il dizionario ci dice che è «il tradizionale abito femminile musulmano che copre tutto il corpo, compresa la testa, salvo una sottile fessura o un tratto traforato all’altezza degli occhi». Questo capo d’abbigliamento – per lo più azzurro – è molto diffuso in Asia Centrale, tra Afghanistan e Pakistan, ed è stato introdotto all’inizio del 1890 durante il regno dell’emiro afgano Habibullah Kalakani che lo impose alle duecento donne del suo harem per evitare di «indurre in tentazione» gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale. Una sorta di protezione per le donne appartenenti ai ceti superiori dagli sguardi del popolo. Il burqa continuò a essere simbolo dei ceti sociali più abbienti fino agli inizi degli anni ’50, quando iniziò a cadere in disuso e diventò un indumento molto utilizzato dalle donne più povere. In seguito si instaurò – per un breve periodo – il regime teocratico dei talebani che impose a tutte le donne il divieto assoluto di mostrare il volto.

Di contro troviamo il niqab. Erroneamente confuso con il burqa, è un tipo di velo soprattutto diffuso nella penisola araba ma che viene utilizzato in tutto il mondo dai musulmani. Esistono due tipologie di niqab: quello saudita, ovvero un copricapo composto da uno o più veli con una fascia che, passando dalla fronte, viene legata dietro la nuca. Il secondo, invece, è quello yemenita, composto da un fazzoletto triangolare che copre la fronte e un altro rettangolare che copre il viso da sotto gli occhi fino a sotto il mento. La caratteristica del niqab è quella di coprire soltanto il volto (ma non gli occhi) fermandosi in genere all’altezza delle spalle e spesso viene indossato sopra abiti tradizionali dello stesso colore.

Diversi storici sono concordi nel dire che il velo non sia una pratica esclusivamente musulmana, bensì araba, precedente all’Islam e diffusa anche in diverse altre culture, società e religioni, tra le quali il Cristianesimo. Il suo scopo principale era – come visto in precedenza con il burqa – segnalare le differenze sociali, indicare le donne a cui bisognava portare qualche rispetto particolare e spesso marcare la differenza tra sacro e profano. Inoltre, nelle culture dell'antichità si presume che il velo venisse usato, in origine, più come una protezione pratica nei confronti di agenti atmosferici, come la sabbia, la polvere o il forte vento che caratterizzano i luoghi desertici, sia per uomini che per donne. Il velo islamico, quindi, è fortemente legato all’area di appartenenza geografica della donna e ne riflette la cultura, la società e l’appartenenza religiosa.
Nessuna traccia nel Corano dell'obbligo a indossare il burqa o il niqab
Sebbene il niqab e il burqa facciano parte del patrimonio religioso e sociale, sulle pagine del Corano non vi è alcuna traccia di un obbligo a indossare queste tipologie di velo. Di contro, però, è obbligatorio indossare il velo («Sura XXIV An-Nûr»), come ad esempio lo hijab (ndr. normale foulard che copre i capelli e il collo della donna lasciando scoperto il viso). A confermare questa tesi è la stessa Comunità islamica nel Canton Ticino nell’incipit di una lettera inviata ai vari media del cantone gli ultimi giorni di gennaio in vista proprio dell’imminente votazione federale del 7 marzo. Pertanto pare quindi essere una scelta che spetta nella maggior parte dei casi alla donna.
Racconti tra comodità e sicurezza personale
Una doppia conferma ci arriva da una ragazza nata e cresciuta in Svizzera con papà pakistano e mamma rossocrociata che per motivi personali preferisce rimanere anonima. «La popolazione è ferma all’ostacolo della donna musulmana obbligata a mettere il velo e di conseguenza il burqa», rileva la nostra interlocutrice. Ma come ci racconta, a volte la possibilità di vedere le altre persone senza che loro possano vederti a loro volta assume più una connotazione di potere piuttosto che di sottomissione. «Nella cittadina pakistana dove vivono i miei parenti, mio nonno è stato una figura molto influente e conosciuta – ci spiega –. Con lui ho vissuto diversi anni e ho preferito indossare il niqab per un motivo ben preciso, ovvero come tutela personale. Uscire di casa ed essere osservata perché ero la nipote venuta dalla Svizzera di un personaggio noto alla comunità è come quando Michelle Hunziker viene in visita al centro commerciale di Grancia. Non essere riconosciuta mi faceva sentire più a mio agio».


La nostra interlocutrice ci racconta un altro aneddoto immediato per comprendere più da vicino questa usanza: «Spesso il burqa e il niqab vengono indossati dalle donne per nascondere gli abiti che tutti noi comunemente utilizziamo quando siamo a casa, come una t-shirt, un paio di pantaloni o persino il pigiama – ci racconta –, quando devi uscire di fretta per andare in un negozio a comprare un prodotto è decisamente più comodo indossare questo indumento».


Insomma, a volte si tratta di un mero discorso di comodità. E la validità di questa tesi - rileva la nostra interlocutrice - è data dal fatto che molte turiste arabe, dopo il divieto imposto dal Ticino, sono venute lo stesso nel nostro cantone in vacanza e si sono scoperte il viso senza problemi: se ci fosse stato alle spalle un pensiero fondamentalista ed estremista sarebbero tornate nel proprio Paese o sarebbero andate in vacanza da un’altra parte.