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Come funziona il secondo pilastro

I tre pilastri, beneficiari e casse pensioni, aliquota minima di conversione e altro: facciamo chiarezza
© CdT/Chiara Zocchetti
Giovanni Galli
06.09.2024 06:00

I tre pilastri

Il sistema pensionistico svizzero si basa su tre pilastri. Il primo, l’AVS, serve a garantire la copertura del fabbisogno vitale. Il finanziamento delle rendite avviene tramite i contributi delle persone attive. Nel secondo pilastro, invece, ognuno risparmia per sé. Gli assicurati versano contributi per finanziare la propria rendita al momento del pensionamento. La cosiddetta previdenza professionale (LPP) è obbligatoria per tutti i salariati e i loro datori di lavoro. Deve consentire di mantenere un’adeguata continuazione del tenore di vita abituale al momento del pensionamento. La rendita dipende dal capitale accumulato e resta uguale fino al decesso. Il terzo pilastro, facoltativo, serve a completare i primi due. 

Beneficiari e casse pensioni

Alla fine del 2022, i beneficiari di una rendita di vecchiaia della previdenza professionale erano 894 mila, di cui 361 mila donne. La somma complessiva delle rendite ammontava a 25,2 miliardi di franchi. La rendita mediana (il 50% riceve di più, l’altro 50% di meno) era di 1.744 franchi . Quanto alle rendita media era di 2.206 franchi: 2.656 per gli uomini e 1.611 per le donne. In alternativa alla rendita c’è anche la possibilità di ritirare il capitale in toto o in parte. La tendenza al ritiro del capitale è in forte crescita. Negli ultimi dieci anni questi prelievi sono passati da 5,8 a 13 miliardi di franchi. Gli assicurati sono 4,6 milioni, mentre gli istituti di previdenza che gestiscono i loro risparmi individuali sono oltre 1.300. In genere, le grandi imprese hanno le loro casse pensioni, mentre le più piccole si affiliano a una fondazione collettiva, vale a dire un istituto di previdenza a cui sono affiliati più datori di lavoro. 

Che cos’è l’aliquota minima di conversione

Accanto al capitale che viene man mano risparmiato durante la vita professionale con i contributi di assicurati e datori di lavoro ci sono i redditi da investimenti (il cosiddetto terzo contribuente). Al momento del pensionamento l’avere di vecchiaia viene convertito in rendita, mediante un’aliquota minima, che riguarda la parte obbligatoria (vedi sotto). Nel 1985, questo tasso era del 7,2%. Significa che per ogni 100 mila franchi risparmiati, il pensionato percepiva all’epoca una rendita di 7.200 franchi all’anno. Attualmente, l’aliquota è del 6,8%. L’ultima volta è stata ridotta fra il 2005 e il 2014 a causa dell’aumento della speranza di vita (che impone di versare le rendite più a lungo) e della riduzione dei tassi d’interesse (che impatta sul finanziamento delle rendite). 

Obbligatorio e sovraobbligatorio

Sono assicurati obbligatoriamente i salari compresi tra la soglia d’entrata e l’importo limite superiore, ovvero tra 22.050 e 88.200 franchi. Diversi datori di lavoro assicurano anche i salari che superano gli 88.200 franchi. In questo caso si parla di previdenza sovraobbligatoria (facoltativa), cioè superiore a quella obbligatoria. La maggior parte degli assicurati dispone di una previdenza professionale che va al di là di quella minima. Nel regime sovraobbligatorio si applica un’aliquota stabilita dalle singole casse pensioni. Queste ultime possono attuare anche un’aliquota unica per l’integralità degli averi di vecchiaia. La rendita che ne risulta deve però essere almeno pari alla rendita legale cui si avrebbe diritto applicando l’aliquota minima agli averi di vecchiaia nel regime obbligatorio. Questo tasso unico «misto», nel 2023, era mediamente del 5,3%. Le aliquote di conversione più basse incidono negativamente sull’importo delle nuove rendite. Secondo la Confederazione, questo può anche essere un fattore che spiega l’aumento delle riscossioni di capitale. 

Già due tentativi falliti

Negli ultimi 14 anni si è votato due volte sul tema della previdenza professionale. Nel 2010, il 72,7% dei votanti ha respinto la richiesta di adeguare l’aliquota di conversione per le nuove rendite, fino a raggiungere il 6,4% nel 2016. In questo modo si intendeva garantire la stabilità finanziaria del secondo pilastro. Un secondo tentativo di ridurre l’aliquota di conversione, stavolta dal 6,8% al 6% in modo progressivo (quattro anni), è stato respinto nel 2017. La richiesta era inclusa nel progetto Previdenza 2020, che puntava a riformare simultaneamente primo e secondo pilastro. A livello di LPP erano previste misure compensative per mantenere il livello delle rendite. Disse no il 52,7% dei votanti. 

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