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Divieto per le adozioni internazionali: «Non si possono escludere abusi»

Il consigliere federale Beat Jans risponde alle critiche: «Non ho nulla di cui scusarmi» – Il ticinese Giorgio Fonio (Centro): «È necessario procedere a verifiche più severe e rigorose, ma l’alternativa non può essere la proibizione»
©ALESSANDRO DELLA VALLE
Luca Faranda
10.03.2025 22:15

«Una profonda revisione del sistema attuale non sarebbe sufficiente a evitare ogni rischio di pratiche irregolari». È per questo motivo, su raccomandazione di un gruppo di esperti, che il Consiglio federale lo scorso gennaio ha preso la decisione di principio di porre fine alle adozioni internazionali. Un annuncio che ha sollevato un vero e proprio polverone sin dal primo giorno e che con il passare delle settimane non si è ancora placato. «Ho ricevuto molte lettere con commenti di ogni tipo su questo argomento», ha ammesso oggi il consigliere federale Beat Jans, rispondendo a una serie di domande poste da vari consiglieri nazionali, tra cui i ticinesi Giorgio Fonio (Centro) e Simone Gianini (PLR).

«Per il Consiglio federale è chiaro che non si devono più permettere irregolarità come quelle che si sono verificate in passato nelle adozioni internazionali. Secondo gli esperti consultati, anche con una legge sulle adozioni riveduta ed efficace e con l’impiego di notevoli risorse, rimane incerto se gli abusi possano essere completamente evitati. Il Consiglio federale sottolinea che il progetto di legge mira a prevenire futuri abusi e a proteggere il benessere dei bambini», si è giustificato il «ministro» della Giustizia, sostenendo che questa sia «l’opzione migliore».

Le critiche all’indirizzo dell’Esecutivo, pertanto, sono state rispedite al mittente: «Non ho nulla di cui scusarmi», ha risposto Jans a una domanda diretta di Fonio. «Il Consiglio federale è consapevole della delicatezza dell’argomento e attribuisce grande importanza al fatto che nel dibattito pubblico non si stigmatizzino i figli adottivi o i genitori adottivi», ha aggiunto Jans, ricordando che «in nessuna delle sue dichiarazioni sull’adozione internazionale degli ultimi anni, il Consiglio federale ha criticato o addirittura incolpato gli attuali genitori adottivi di eventuali abusi. Al contrario, riconosce che ci sono adozioni condotte correttamente e che hanno avuto successo per i bambini e i genitori».

La legge non prima del 2030

Stando ai rapporti vi sono indizi di pratiche illegali, tra cui tratta di minori, documenti falsi e mancanza di informazioni sulla provenienza. «Anche con riforme profonde del sistema attuale e della Convenzione dell’Aia, non si possono escludere abusi nelle adozioni internazionali», ha poi ribadito Jans, riconoscendo tuttavia che la Convenzione dell’Aia sulle adozioni (adottata nel 2003) ha apportato «chiari e significativi progressi alle procedure di adozione e alla tutela dei minori. Tuttavia, nonostante gli innegabili miglioramenti, il sistema presenta dei limiti».

La decisione del Governo si fonda su alcuni rapporti relativi alle pratiche illecite registrate nelle adozioni internazionali avvenute prima che la Svizzera adottasse la Convenzione dell’Aia, nel 2003. Il primo rapporto (pubblicato nel 2020) ha evidenziato abusi nelle procedure di adozione di minori provenienti dallo Sri Lanka tra il 1973 e il 1997. Nel 2023 un altro studio ha rivelato che tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 ci sono state adozioni problematiche - forse migliaia - in altri dieci Paesi: Bangladesh, Brasile, Cile, Guatemala, India, Colombia, Corea, Libano, Perù e Romania.

Prima che un eventuale divieto possa diventare effettivo, tuttavia, ci vorranno anni: l’Esecutivo ha incaricato il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) di elaborare un progetto di legge entro la fine del 2026. Seguirà il consueto (e lungo) iter, con i dibattiti parlamentari e le procedure di consultazione aperte al pubblico. «La nuova legge entrerebbe in vigore non prima del 2030», ha sottolineato Jans, ricordando che in ogni caso «il Parlamento avrà l’ultima parola».

«Non sono soddisfatto»

«No, non sono soddisfatto dalle risposte del Consiglio federale. Lo stesso Jans conferma che questa situazione ha crato una sofferenza nelle famiglie adottive e nei loro figli. Dall’altra, però, ho percepito l’intenzione del Governo di proseguire per la sua strada», afferma Giorgio Fonio, secondo cui si sta creando una situazione di profonda incertezza per le famiglie che stanno pensando di adottare. Per il consigliere nazionale, è necessario procedere a verifiche più severe e rigorose. La procedura oggi è già estrememente rigida e la Convenzione dell’Aia determina quali sono le regole da rispettare. È importante garantire ulteriori strumenti di verifica e di controllo, perché nessuno vuole che si ripeta quanto avvenuto. Ma l’alternativa non può essere la proibizione», sottolinea Fonio, secondo cui «è fondamentale che il progetto non si concretizzi».

È l’obiettivo anche di Simone Gianini, che in una mozione presentata di recente - sarà discussa in aprile dalla Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale - chiede al Consiglio federale di abbandonare subito il progetto. Sulla stessa linea anche la risoluzione, presentata in Ticino dai deputati del Centro Fiorenzo Dadò e Maurizio Agustoni, che - dopo il parere favorevole della Commissione Giustizia e diritti - approderà presto in Gran Consiglio.

Chi vuole iniziare, ma non sa

La decisione - di principio, ricordiamo - del Consiglio federale non riguarda le procedure in corso. Tuttavia, questo prospettato cambiamento crea incertezza e fa stare sul chi vive le persone che vorrebbero ricorrere alle adozioni internazionali.

I servizi di Beat Jans sottolineano che è ancora possibile presentare nuove domande. «Va tuttavia tenuto presente che un procedimento di adozione dura generalmente diversi anni, dal momento della presentazione della domanda fino al suo esito positivo».

Cosa succede, dunque, se si avvia la pratica ma poi il progetto legislativo entra in vigore? Non è ancora noto. «Si dovrà determinare le eventuali conseguenze dell’entrata in vigore della modifica legislativa sui procedimenti di adozione che saranno ancora in corso in quel momento».

La parola all'esperta

«È stata una comunicazione maldestra, che ha ferito molte persone. La decisione stessa non ha tenuto conto dei bambini adottati, delle famiglie adottive e delle persone coinvolte nell’ambito delle adozioni». Le parole sono di Macarena Fatio, direttrice di Espace A, un’associazione romanda di professionisti della salute mentale specializzati in questioni relative all’adozione e all’affidamento. A suo avviso, la decisione del Governo di vietare le adozioni internazionali è «la risposta a una domanda sbagliata. La logica del Consiglio federale è “ci sono stati degli errori, quindi non lasceremo più la possibilità di adottare”. Ma non è questa la soluzione», sostiene Fatio, secondo cui la Svizzera dovrebbe attivarsi e fare il possibile per correggere gli errori commessi, ad esempio tramite risarcimenti per le adozioni illecite, oppure aiutando gratuitamente nella ricerca delle origini. Per la direttrice di Espace A, «bisogna innanzitutto spiegare com’è la situazione attuale dell’adozione nel mondo. È un grave errore pensare che ci siano migliaia di bebè all’estero in attesa di adozione. No, non è più così ed è un ragionamento totalmente sbagliato. E su questo do ragione a Beat Jans quando dice che non c’è un diritto ad avere un figlio. L’adozione non è un piano B». Per Fatio, è invece un’altra frase espressa da Jans che «non è tollerabile: “Ci sono certamente esempi di adozioni che hanno avuto luogo regolarmente”. La trovo semplicemente scioccante, perché ha tolto legittimità alle adozioni regolari che sono state fatte, soprattutto a partire dagli anni Duemila. È sconfortante per le famiglie che sono passate da lunghe procedure, in cui hanno dato fiducia alle autorità elvetiche, ed è problematico per le persone adottate. Perché lascia il dubbio che i loro primi anni di vita siano macchiati da irregolarità e menzogne». La direttrice di Espace A, poi, riavvolge il nastro. «Le adozioni problematiche contenute nei rapporti riguardano casi avvenuti prima che la Svizzera adottasse la Convenzione dell’Aia, nel 2003». Questa convenzione disciplina la cooperazione fra le autorità competenti nel Paese d’origine del minore e quelle nel Paese d’accoglienza. «Le cose sono cambiate enormemente sia nei Paesi d’origine, sia in Svizzera», spiega Fatio, ricordando che il numero di adozioni è anche decisamente più basso rispetto al passato. «Sono meno di una trentina all’anno, forse poco più di una ventina». «All’epoca - aggiunge - un divieto si sarebbe anche potuto giustificare, ma è chiaro che la tempistica di tale decisione non è corretta, se si vogliono bloccare le adozioni irregolari». Fatio individua altre strade percorribili e già percorse anche dalla Svizzera: come delle moratorie nei confronti di alcuni Paesi (è il caso, ad esempio, di Haiti o degli Stati Uniti) per i quali non è possibile avere sufficienti informazioni o che non forniscono sufficienti garanzie sulle procedure. La Svizzera, pertanto, lavora già attivamente per evitare irregolarità. «Una moratoria non è un divieto e per sua natura è temporanea», sottolinea la direttrice di Espace A, ricordando che la missione dell’associazione «non è quella di promuovere o proibire le adozioni, ma di garantire che i diritti, gli interessi e l’etica dei bambini siano rispettati nel contesto di un’adozione». La decisione di principio dell’Esecutivo, per Fatio, è controversa: «Tutti i professionisti che lavorano nel settore possono giustamente sentirsi danneggiati da questa comunicazione, che non tiene assolutamente conto del lavoro svolto dall’adozione della Convenzione dell’Aia». Il rischio zero non esiste, sottolinea comunque Fatio. «Oggi le procedure sono delegate ai Cantoni, ma sono molto gravose. Al posto di vietare le adozioni, varrebbe la pena centralizzare le procedure a livello federale».