Donne in pensione a 65 anni? La Corte è a un bivio storico
Le donne stanno per essere private di un anno di pensione? Gli errori nelle proiezioni finanziarie dell’AVS sono abbastanza gravi da giustificare l’annullamento o la ripetizione di un voto? Sarà il Tribunale federale a dover rispondere a queste domande. E lo farà domani mattina, con un’udienza pubblica che potrebbe rimettere in discussione l’ultimo grande cambiamento dell’AVS dal 1997.
Sono infatti cinque i ricorsi presentati in vari Cantoni - Neuchâtel, Vaud, Berna e Zurigo - contro la riforma AVS21: a contestare la legittimità del voto ci sono anche le consigliere nazionali Tamara Funiciello (PS/BE) e Katharina Prelicz-Huber (Verdi/ZH), nonché la presidente dei Verdi Lisa Mazzone, ex consigliera agli Stati ginevrina. I Governi dei Cantoni interessati non sono entrati in materia, poiché ritengono che il caso non sia di loro competenza. Pertanto, si è arrivati al Tribunale federale. Domani, a Mon Repos, il verdetto è atteso in tarda mattinata.
Poco più di 30 mila voti
Riavvolgiamo il nastro. Il 25 settembre 2022 il popolo ha approvato la riforma AVS21, divisa in due oggetti: uno riguardava l’aumento dell’IVA (dal 7,7 all’8,1%, entrata in vigore lo scorso gennaio) e l’altro l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni. Questo aumento inizierà il 1. gennaio 2025 con una fase di transizione (le donne nate nel 1961 andranno in pensione a 64 anni e tre mesi; quelle nate nel 1962 a 64 anni e 6 mesi e così via fino a fine 2027). Dal 2028 l’età di riferimento sarà di 65 anni per tutti e tutte.
L’aumento dell’IVA è stato approvato dal 55,1% dei votanti (e dalla maggioranza dei Cantoni, dal momento che si trattava di un referendum obbligatorio). L’aumento dell’età pensionabile, invece, è stato accolto solo dal 50,55% dei votanti: i voti che hanno fatto la differenza sono stati 31.195.
Informazioni errate
Lo scorso agosto l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) ha reso noto di aver sbagliato grossolanamente, anche di miliardi, le prospettive finanziarie dell’AVS (ora rettificate). Il problema? Le cifre erano errate già nel 2019, quando il Governo ha trasmesso il messaggio dell’AVS21 al Parlamento. Ed erano sbagliate anche nel 2022, quando la riforma è stata approvata di misura alle urne.
Stando ai ricorrenti, l’elettorato disponeva di informazioni errate - contenute anche nell’opuscolo di voto - sulle prospettive finanziarie. Hanno pertanto chiesto l’annullamento del voto sull’innalzamento dell’età pensionabile e anche (in via subordinata) l’annullamento di entrambi gli oggetti della riforma AVS21. C’è però anche chi chiede di ripetere la votazione. Si contesta ad esempio la violazione dei diritti politici (art. 34 della Costituzione).
Gli scenari possibili
«Speriamo che il Tribunale federale ammetta il ricorso, annulli la votazione o comunque decreti che la votazione non sia stata conforme alla legge. Sarebbe una sentenza storica: è la prima volta che un voto approvato alle urne viene annullato», ci spiega il consigliere agli Stati Baptiste Hurni (PS/NE), che è anche uno degli avvocati coinvolti nei ricorsi. «È evidente che se il ricorso venisse ammesso, ci attendiamo che la seconda parte della riforma, riguardante l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, non venga attuata».
A suo avviso, rispetto alla decisione sulla riforma II dell’imposizione delle imprese (vedi sotto), qui non regge del tutto il discorso sulla certezza del diritto. Proprio perché per le donne i cambiamenti non sono ancora stati attuati, anche se manca meno di un mese. E se il Tribunale federale desse ragione all’Ufficio federale di giustizia? «Rispetteremo la decisione, anche se oggi sappiamo che quel risultato alle urne è basato su cifre sbagliate. E non di poco. Ma passeremo oltre: ci sono altre riforme dell’AVS che saranno discusse a breve e sulle quali staremo molto attenti affinché le donne non siano ulteriormente sfavorite».
C’è anche un aspetto ulteriore: due giudici supplenti donne faranno parte della Prima corte di diritto pubblico - composta di cinque giudici - che dovrà esprimersi sui ricorsi. Il regolamento del Tribunale federale stabilisce infatti che «i membri di entrambi i sessi partecipano al tribunale chiamato a pronunciarsi quando la natura della controversia sembra giustificarlo».
Quel no dei giudici in nome della certezza del diritto
Non è la prima volta che viene chiesto l’annullamento di una votazione popolare federale per presunte irregolarità nella campagna di voto. Nel 2018 l’allora PPD nazionale fece ricorso a Losanna per tornare alle urne sull’iniziativa popolare «Per il matrimonio e la famiglia» (che mirava alla soppressione della penalizzazione fiscale dei coniugi), respinta di misura alle urne due anni prima. Il motivo era «la scandalosa disinformazione» fatta dal Consiglio federale durante la campagna di voto, quando si asseriva che solo 80 mila coppie (compresi i partner registrati), appartenenti per lo più al ceto medio alto, erano ancora sfavorite a livello di imposta federale diretta.
Questa discriminazione, si diceva, interessava in particolare le coppie con un reddito netto superiore agli 80 mila franchi all’anno. Dalle nuove cifre pubblicate dopo la consultazione popolare, però, risultò che le coppie sposate discriminate erano quasi sei volte tanto, 454 mila. Il PPD si disse convinto che «se i dati forniti allora fossero stati corretti, il popolo avrebbe accolto l’iniziativa». Nel 2019 il Tribunale federale diede ragione al partito, sostenendo che l’esito della votazione popolare venne condizionato da informazioni sbagliate e incomplete. Dato il margine risicato del risultato (50,8% di no e maggioranza dei Cantoni favorevoli) e la gravità delle irregolarità, l’esito della votazione sarebbe potuto essere diverso. Il PPD poi decise di non sollecitare un secondo voto e lanciò una nuova iniziativa «contro la discriminazione fiscale del matrimonio», depositata nel marzo di quest’anno con 101 mila firme.
Ebbero un’altra sorte, invece, i ricorsi presentati nel 2011 da due deputati del Partito socialista, lo zurighese Daniel Jositsch e la bernese Margret Kiener Nellen, contro la votazione del 2008 sull’imposizione delle imprese. A loro avviso, il Consiglio federale aveva tratto in inganno il popolo affermando che questa riforma avrebbe generato solo un leggero calo dell’introito fiscale, mentre secondo i calcoli aggiornati i reali mancati introiti sarebbero ammontati a svariati miliardi. Ci sono analogie con la votazione sull’AVS del 2022. La riforma fiscale era stata approvata solo con il 50,5% dei voti. I ricorrenti contestarono le cifre fornite dal Governo nella campagna di voto: invece di perdite fiscali di 84 milioni di franchi per la Confederazione e di 850 per i Cantoni, l’ammanco minimo in dieci anni sarebbe stato di 7 miliardi. Il Tribunale federale criticò il Governo ma decise di non far ripetere la votazione.
Da un lato, perché nel dibattito pubblico anche gli oppositori alla riforma avevano potuto esprimersi e mettere in dubbio le indicazioni del Governo. Dall’altro, perché l’annullamento di una votazione era escluso anche per motivi di certezza del diritto e del principio della buona fede: le società avevano già fatto ampiamente uso delle possibilità previste dalla riforma e non era possibile fare retromarcia. Dopo l’adozione della riforma, anche un certo numero di imprese si era insediata in Svizzera. A titolo di curiosità, va ricordato che nel 1854 il Consiglio nazionale annullò le elezioni per la Camera bassa in Ticino, avvenute in un clima caratterizzato da atti di violenza e frodi elettorali.