«Heidi non è solo un simbolo svizzero, ma una rivoluzionaria che ancora oggi ci ispira»
50 anni e non dimostrarli affatto. Era il 1974 quando la prima puntata di Heidi – Girl of the Alps venne trasmessa in televisione, conquistando sin da subito i cuori degli spettatori. Un anniversario che, fino al prossimo 12 gennaio, viene celebrato nella Sala San Rocco al quartiere Maghetti di Lugano, con l’unica mostra europea dedicata alla bambina più iconica del mondo dell’animazione.
In “Buon Compleanno Heidi”, prodotto dall’Associazione Nona Arte, sarà infatti possibile ripercorrere il processo produttivo e quello creativo della serie: dai disegni preparatori agli sfondi dipinti a mano passando per i fogli di acetato di cellulosa raffiguranti i personaggi e gli sketch del character designer Yōichi Kotabe, disegnati mentre era in Svizzera nel 1973 e gli studi che ha effettuato una volta rientrato in Giappone, quando la produzione vera e propria dell’anime è cominciata.
“Questa mostra è frutto del lavoro di un anno, nel quale abbiamo ricercato opere e fotografie da ogni angolo del mondo, grazie alla collaborazione con collezionisti e ricercatori – spiega Luigi Paolo Zeni, che assieme a Christian Esposito si è occupato della curatela dell’esposizione -. Siamo particolarmente orgogliosi di essere riusciti a presentare materiali inediti, alcuni dei quali scoperti recentemente, che mostrano un lato inaspettato di Heidi”. Ad esempio, le fotografie del leggendario viaggio sulle Alpi svizzere del team giapponese, nei luoghi che poi avrebbero preso vita nel cartone animato, a partire da Dorfli, il paese collinare dove si ambienta la storia.
Quei suggestivi paesaggi sono stati dipinti, in seguito, con lo scopo di studiare le palette cromatiche più evocative da utilizzare nella serie. “Abbiamo il privilegio di ospitare nella sala alcuni di questi scenari curati da Masahiro Ioka, il direttore artistico di Heidi: sono dei piccoli capolavori che rappresentano in modo incredibilmente dettagliato scorci di Svizzera – racconta Zeni -. A metà anni ’70, senza Internet a disposizione, era necessario muoversi direttamente sul posto per avere un’idea non solo dell’estetica della località da disegnare, ma anche degli usi e costumi degli abitanti. Dev’essere stato davvero particolare essere lì presenti mentre questo gruppo di curiosi giapponesi, accompagnati da un professore universitario di Zurigo, provava a comunicare a gesti con i contadini dei paesini di montagna, facendo bozze dei loro scarponi o degli attrezzi del mestiere. Questo viaggio fu fondamentale alla figura stessa di Heidi, che il character designer Yoichi Kotabe aveva inizialmente rappresentato con le treccine. Un archivista svizzero gli spiegò che però né il nonno e nemmeno Peter avrebbero avuto il tempo di intrecciare i capelli a una bambina di sei anni: è per questo motivo che nel cartone ha i suoi inconfondibili capelli arruffati”.
Sfumature e dettagli che tuttavia conferiscono a Heidi un livello di lettura ancora più profondo, come spiega Cristina Rogna Manassero, direttrice dell’Associazione Nona Arte: “Abbiamo sempre dato per scontato come sia, ancora oggi, un simbolo della Svizzera. Ma è davvero interessante capire come, in realtà, l’intero cartone sia quasi un trattato di come la Confederazione fosse vista da chi la visitava per la prima volta. E questo vuol dire anche imbattersi in alcune ingenuità: basti pensare che gli sceneggiatori, dopo aver visto che tutti i pastori erano accompagnati da un cane, hanno voluto inserire il personaggio di Nebbia, un simpatico e pigro San Bernardo. Quella però è una razza vallesana mentre il nonno di Heidi, vivendo nel Grigioni, avrebbe avuto un’altra razza. Ed è curioso notare come Nebbia non sia presente nel libro da cui è tratto il cartone”.
Non è l’unica differenza con “Heidis Lehr- und Wanderjahre” e "Heidi kann brauchen, was es gelernt hat" i due romanzi per ragazzi scritti tra il 1880 e il 1881 da Johanna Spyri. “Per quanto la trama sia piuttosto fedele all’originale, l’aspetto religioso è stato un po’ attenuato nel cartone, talvolta sostituendolo con il senso dell’ammirazione e dell’apprezzamento per la natura”, spiega Zeni, che ha studiato storia dell’arte giapponese all’Università di Zurigo. “Inoltre Peter, il co-protagonista della serie, nel libro ha un carattere più spigoloso, mostrandosi alle volte più severo con Heidi e geloso del rapporto che ha con Clara. Sebbene, alla fine, riveli sempre il suo animo buono e generoso”.
L’allestimento della mostra luganese vuole ricreare i paesaggi di Heidi. “I visitatori della mostra saranno accolti in una valle dove l’erba dei prati è sempre verde e i cieli sono azzurri – racconta Cristina Rogna Manassero -. La mostra è strutturata per consentire ai visitatori di rivivere le emozioni vissute non solo dai protagonisti del cartone ma anche da chi l’ha realizzato con tanto amore e passione. Un progetto tutto ticinese, nel quale è stata fondamentale la collaborazione di ColorX Lugano e Colora Locarno”.
E pensare che nessuno avrebbe mai immaginato che Heidi sarebbe diventata un’ambasciatrice della Svizzera nel mondo. “Era un periodo dove i cartoni di maggior successo erano sui mecha o con protagonisti maschili, i canali televisivi erano molto diffidenti nel trasmettere le storie di una bambina di sei anni che vive sulle montagne – commenta Zeni -. E invece è stato un successo globale, dall’Asia al Sudamerica. Heidi infatti parla a tutti noi e tocca temi universali, dal rapporto alla natura all’imparare a vivere in una comunità”. “Heidi, nella sua apparente semplicità, è stata una figura rivoluzionaria – conferma Rogna Manassero -. La prima protagonista femminile di una serie animata, che impara a emanciparsi imparando a leggere e scrivere, mantenendo la sua purezza e, soprattutto, il suo diritto a esprimere le proprie emozioni, che siano di gioia, malinconia, tristezza ed empatia verso il prossimo. Emozioni che, nel mondo dei cartoni giapponesi, non erano mai stati così potentemente disegnati, permettendoci di identificarci in lei e nelle difficoltà che affronta e che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo vissuto. Proprio per questo ha ancora qualcosa da insegnarci, anche a distanza di mezzo secolo”.