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Il pressing dei Comuni non basta, la Posta potrà chiudere le filiali

Gli Stati si oppongono a una moratoria che avrebbe imposto al gigante giallo di sospendere i piani di smantellamento – In Ticino sono a rischio una ventina di uffici – Regazzi (Centro): «Le modalità sono problematiche» – Critiche a Cirillo e Levrat
©Gabriele Putzu
Luca Faranda
11.03.2025 21:00

A Castel San Pietro sono state raccolte 978 firme. Nella Svizzera occidentale è stata creata una «Alleanza dei Comuni romandi» e, dal Comune vodese di Saint-Cergue, è stato organizzato un bus che è arrivato fino a Berna, sulla Piazza federale. Il messaggio è uno: impedire che la Posta possa procedere alle prospettate (e sempre più certe) chiusure di uffici postali. «Abbiamo ricevuto decine di lettere, e-mail e appelli personali», ci conferma il consigliere agli Stati Fabio Regazzi (Centro). Non è bastato.

Oggi, la maggioranza della Camera dei Cantoni ha respinto una mozione (approvata in settembre dal Nazionale), che chiedeva di «chiarire il mandato di servizio universale e il settore di attività della Posta prima di ulteriori riorganizzazioni e smantellamenti». Tradotto: i «senatori» non intendono «congelare» le chiusure e i piani della Posta.

Da 765 a circa 600 entro il 2028

Facciamo un passo indietro. Lo scorso 29 maggio, la Posta ha annunciato la chiusura di circa 170 filiali delle 765 esistenti in Svizzera. Cinque mesi più tardi - il 29 ottobre - è stato presentato il documento sugli uffici «potenzialmente interessati dalla trasformazione»:in Ticino sono venti. È «La Posta di domani», come viene definita dal gigante giallo. La strategia prevede più digitalizzazione, con la chiusura di uffici postali e l’apertura di agenzie, ad esempio nei negozi di paese. Entro il 2028, rimarranno circa 2 mila sedi dotate di personale, di cui 600 uffici postali.

Oltre a ciò, le idee che circolano sul servizio pubblico stanno facendo discutere da tempo: la consegna di lettere e pacchi ogni due o tre giorni, una minore puntualità oppure abbattere il limite di consegna dei giornali entro le 12.30. Un indirizzo verrà dato nell’ambito della revisione della legge per definire il mandato di servizio universale e il settore di attività della Posta. Ma ciò non avverrà prima del 2027.

Il rovescio della medaglia

Per la maggioranza dei «senatori» (composta principalmente da rappresentanti del Centro e del PLR - è finita 24 voti a 17 e 2 astenuti), una moratoria avrebbe frenato l’ammodernamento della Posta e messo a rischio la sostenibilità economica dell’azienda di proprietà della Confederazione. Dello stesso avviso anche il consigliere federale Albert Rösti, secondo cui tutti tengono al mantenimento dell’ufficio postale, ma poi non ci si recano.

A parlare sono anche le cifre: il volume delle lettere si è dimezzato e i pagamenti in contanti agli sportelli postali sono diminuiti di tre quarti, ha notato Rösti. C’è però anche il rovescio della medaglia: nel 2001 erano presenti 3.400 uffici postali, poi ridotti a 1.562 nel 2014 (con 660 agenzie) e ora l’obiettivo è di scendere a 600 filiali. Un calo dell’82% in soli 25 anni, ha sottolineato il «senatore» Baptiste Hurni (PS/NE), chiedendosi se non sia stato proprio il gigante giallo a velocizzare questa trasformazione.

I «latini» insorgono

I Cantoni più toccati dai piani della Posta sono Berna, Vaud e Ticino (i «senatori» di questi tre Cantoni hanno tutti sostenuto invano la mozione), ma al voto c’è stato un chiaro «Röstigraben». I deputati romandi e ticinesi sono infatti quelli che più di tutti hanno raccolto il malcontento dei cittadini. «L’Alleanza dei Comuni romandi», composta da una cinquantina di municipi di sette Cantoni, ha inviato una lettera ai «senatori»: critica «l’entità delle chiusure e la mancanza di dialogo da parte della Posta, che ci ha messo di fronte al fatto compiuto senza giustificare seriamente i suoi piani e senza fornire alcuna cifra». L’appello è stato inoltrato anche da alcuni Comuni ticinesi come Blenio, Canobbio e Novazzano: proprio quest’ultimo è il Comune di Roberto Cirillo, che lascerà la carica di direttore generale della Posta a fine marzo. Per i Comuni, «è importante inviare un messaggio politico forte al suo successore quando entrerà in carica».

«Siamo in contatto»

Sarà così? La Posta accoglie con favore la decisione degli Stati, ci spiega una portavoce del gigante giallo, aggiungendo che su questa base sarà possibile applicare la strategia «La Posta di domani». L’azienda, aggiunge, è «in contatto con i Comuni interessati. Stiamo discutendo insieme le soluzioni». Tuttavia, assicurano, «non si tratta di un esercizio di alibi. Molti comuni capiscono bene la nostra situazione e ci aiutano attivamente affinché possiamo continuare a essere presenti nella comunità».

Parole che il consigliere agli Stati Pierre-Yves Maillard (PS/VD) ha rispedito al mittente in aula. «Se tutto va bene, perché stiamo avendo questo dibattito?», ha detto il socialista, ricordando le migliaia di firme, lettere e critiche rivolte ai vertici della Posta.

Non ha poi risparmiato critiche all’indirizzo di Christian Levrat: il presidente del cda della Posta (ed ex presidente del PS), infatti, ha fortemente criticato questa moratoria, anche facendo pressione sui consiglieri agli Stati nelle scorse settimane. Eppure, proprio nel 2019 (quando ancora era «senatore») si era battuto per chiedere una sospensione temporanea della chiusura degli uffici postali sino alla fine del trattamento di un’iniziativa del Canton Giura. L’iniziativa chiede che i Comuni possano avere più voce in capitolo sulla presenza degli uffici postali ed è tornata sui banchi dei «senatori» proprio oggi: hanno prorogato di due anni i termini per trattarla.

Di fronte al fatto compiuto

Maillard critica pure Roberto Cirillo: La Posta «non è l’addizione di qualche numero e di qualche presentazione Powerpoint di un manager che ha fatto qualche anno, che prende il suo bonus e che poi se ne va». Anche per Fabio Regazzi sembra esserci una distanza tra il management attuale e la cittadinanza. «Sono problematiche le modalità con cui la Posta ha gestito questi processi di riorganizzazione», spiega il ticinese, sottolineando che l’azienda ha cercato il dialogo con i Comuni «in ritardo e a volte in modo raffazzonato». Troppo spesso, aggiunge, ci si è trovati di fronte al fatto compiuto. In ogni caso, i vertici della Posta dovranno tenere conto del dibattito nella Camera dei Cantoni. La bocciatura della mozione «non è un lasciapassare per procedere in modo indiscriminato con le chiusure».