L'analisi

In Ticino, sulla questione frontalieri, politica ed economia devono allineare le proprie strade

Michele Rossi (Camera di Commercio): «Purtroppo, da noi si tende a parlare di immigrazione soltanto in termini negativi» - Christian Vitta (DFE): «Ci sono cambiamenti in atto che giustificano qualche preoccupazione per il futuro» - Il tema chiave della denatalità
Il settore sanitario, nelle province di frontiera, è sotto pressione per la concorrenza delle strutture ticinesi. © CdT / Gabriele Putzu
Dario Campione
05.01.2024 06:00

Sulla questione frontalieri, politica ed economia, in Ticino, procedono a volte in direzioni diverse. Michele Rossi, delegato alle relazioni esterne della Camera di commercio del Canton Ticino, fa una premessa: «Non mi interessano le polemiche. Voglio restare piuttosto sui fatti. Sui dati. L’Italia - dice Rossi al Corriere del Ticino - ha messo in campo misure per trattenere personale che giudica prezioso: premi di frontiera, tassa sanitaria per i “vecchi” frontalieri, accordo sui “nuovi” frontalieri con imposte molto più pesanti anche per dissuadere la gente ad andare a lavorare in Svizzera. E questo effetto dissuasivo è stato comunque auspicato anche dalla politica ticinese in generale, quando anni fa si è iniziato a discutere di un nuovo accordo fiscale, come si può leggere nel relativo messaggio».

La domanda di Rossi è sottintesa: perché lo ha fatto? «Le previsioni demografiche sono chiare - dice Rossi - In Ticino ci sarà una fuoriuscita imminente dal mondo del lavoro di molte persone. Da noi, a livello politico, questo tema non è ancora oggetto di un’attenzione particolare. Si tende a parlare di immigrazione in toni esclusivamente negativi, nonostante la tendenza in atto sopra descritta. Probabilmente anche perché, nell’opinione pubblica, il frontaliere sembra ormai essere un problema a prescindere. Ma la situazione oggettiva mostra una realtà differente: i dati statistici ci dicono che non abbiamo un problema generale e generalizzato sul mercato del lavoro imputabile ai frontalieri, anche se il loro numero aumenta. La disoccupazione negli ultimi 10 anni è infatti diminuita, l’occupazione è cresciuta e i salari, seppur in modo più contenuto rispetto alla Svizzera tedesca, sono in generale pure cresciuti. Ci sono sì problemi puntuali da risolvere, ma i dati statistici non corrispondono all’immagine generale negativa che viene sovente descritta nel pubbico dibattito».

Probabilmente, dice ancora Rossi, «bisognerebbe iniziare ad ammettere che l’immigrazione, se ben gestita, è pure una risorsa, che non va sempre ed esclusivamemte additata come la causa di tutti i problemi. L’immigrazione, oltre a colmare il saldo negativo sul mercato del lavoro, può contribuire a risolvere altri problemi. Un’eventuale trasformazione di permessi G in permessi B avrebbe, ad esempio, un impatto benefico sul nostro mercato immobiliare, dovendo i nuovi arrivati prendere alloggio in Ticino e andando quindi a occupare appartamenti attualmente sfitti».

In un articolo scritto per la rivista Limes, il cui ultimo numero (che sarà presentato a Lugano, all’USI, il prossimo 11 gennaio, ndr) è interamente dedicato alla Svizzera, Michele Rossi ha esplicitamente indicato il frontalierato come tema chiave della «partita in corso nella zona di frontiera». Una partita il cui obiettivo finale è «poter disporre della manodopera necessaria e trattenerla a proprio vantaggio». In Italia, negli ultimi anni, politica ed economia si sono allineate e marciano in una direzione chiara: «Prima o poi - scrive Rossi - questo allineamento tra politica e mondo economico dovrà avvenire anche in Ticino, considerate la conclamata carenza di personale qualificato e le tendenze demografiche». È possibile che la tenuta dell’economia svizzera «alleggerisca per il momento le manovre messe in atto dall’Italia - conclude Rossi - ma se in futuro il contesto dovesse mutare, non è escluso che le persone facciano i propri calcoli e e che molti scelgano di rimanere a lavorare in Italia, pur guadagnando un po’ meno considerata la maggiore imposizione fiscale».

Segnali embrionali

Sul tema, Christian Vitta, consigliere di Stato e direttore del DFE, spiega al CdT: «Siamo ben consapevoli dei problemi che riguardano la necessità di reperire il personale necessario, ma anche ad esempio un’accresciuta pressione sui salari in determinati settori. E del fatto che, alla fine, pur con una frontiera di mezzo, viviamo tutti in una medesima area, economicamente interdipendente. E, non a caso, abbiamo istituito un tavolo di lavoro tecnico con la Regione Lombardia che permetterà di avere una base comune di analisi e confronto. Noi - dice Vitta - abbiamo soprattutto il problema della pressione sui salari; loro scontano invece una difficoltà forte a trovare personale, in particolare in settori delicati quali la sanità. Settore in cui, peraltro, il Ticino investe più risorse per la formazione in loco».

Il dialogo e il confronto, fa capire il consigliere di Stato, sono non soltanto utili, ma necessari. Dopodiché, la spinta al «riallineamento» di cui parla su Limes Michele Rossi è probabilmente un passo ulteriore, per il quale serve tempo. «A oggi le cifre dimostrano che non è in atto una flessione del numero di frontalieri - osserva infatti Vitta - ci sono piuttosto cambiamenti, anche rapidi, sia sul piano sociale sia sul fronte del mercato del lavoro; le preoccupazioni sul futuro sono dunque più che legittime, ma il dialogo con la Camera di commercio e in generale con l’economia è buono. Si stanno presentando sul mercato del lavoro nuove necessità che richiedono nuovi percorsi formativi anche sul nostro territorio». Altre questioni sono «in divenire, evolvono in continuazione e non permettono quindi di trarre assunti definitivi. Accanto alle specificità locali abbiamo macro-trend come quello della denatalità che riguarda gran parte delle società occidentali, non soltanto quella ticinese o quella italiana».

Il direttore del DFE lancia infine due ultime riflessioni. La prima riguarda ancora il settore sanitario: «Per chi opera nel comparto, tutta la Svizzera, e non unicamente il nostro cantone, rimane attrattiva. Un’attrattiva che è oggi accresciuta considerato anche il rafforzamento costante del franco sull’euro».

La seconda è relativa a quelli che Christian Vitta chiama «alcuni segnali empirici, embrionali, che dovranno essere verificati. Mi riferisco a un possibile aumento di chi decide di non più restare frontaliere e trasferirsi da noi a seguito della crescente pressione fiscale del governo italiano su questa tipologia di lavoratori, e delle crescenti difficoltà nella mobilità. Un fenomeno, quest’ultimo, che andrà monitorato nei prossimi mesi e anni».