La piaga del femminicidio: «O sei mia, o di nessun altro»

La Svizzera non è un’isola felice. A dirlo sono i dati dell’Ufficio federale di statistica sulla violenza domestica. Le segnalazioni di atti violenti sono quasi 20.000 all’anno. E in media ogni due settimane una donna rimane vittima di femminicidio (29 nel 2019), con un’incidenza maggiore, per numero di abitanti, rispetto a Paesi come Francia o Italia. Gli ultimi drammatici casi risalgono al 23 febbraio. A Buchs, nel canton San Gallo, e a Wilchingen, nel canton Soletta, sono state uccise due donne. Una 22.enne - al termine di una lite con il compagno 24.enne - e una 80.enne uccisa a coltellate dal nipote di 22 anni. La Svizzera, come detto, non è un’isola felice. Intanto la parola femminicidio inizia a farsi strada nel linguaggio e nell’ordinamento giuridico di alcuni Stati. Anche a livello svizzero il dibattito è lanciato. Occorre promuovere nel Codice penale il reato specifico di femminicidio? È opportuno dare a questo crimine uno statuto legale specifico? E quali sarebbero gli effetti sull’evoluzione del fenomeno? La questione è aperta e divide.
Opinioni a confronto
Oggi il Codice penale svizzero non contempla il reato specifico di femminicidio. Per alcuni giuristi, tuttavia, sarebbe opportuno recuperare il ritardo, come per altro impone la Convenzione di Istanbul entrata in vigore in Svizzera il 1. aprile 2018, commenta da noi raggiunta l’avvocata ginevrina Lorella Bertani, che da diverso tempo si batte sul tema. E che in 39 anni di attività ha difeso centinaia di donne vittime di reati sessuali. «L’articolo 46 della Convenzione di Istanbul parla chiaro», chiosa la nostra interlocutrice : «Occorre considerare come un’aggravante il fatto che il reato sia stato commesso contro l’attuale o l’ex coniuge da parte di un membro della famiglia, dal convivente della vittima o da una persona che ha abusato della propria autorità». In altre parole: se il congiuge uccide il proprio partner, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza domestica (Convenzione di Istanbul) chiede di riconoscere il reato nella forma aggravata. «Purtroppo - spiega la nostra interlocutrice - questo avviene molto raramente. La Corte tende piuttosto a esprimersi sull’omicidio semplice. Per questo motivo – prosegue Bertani – occorrerebbe introdurre nel Codice penale il reato specifico di femminicidio, che tiene conto dell’aggravante, oppure si dovrebbe considerare il femminicidio di diritto un assassinio, che è l’omicidio nella sua forma più grave». Una riflessione su cui dovrà esprimersi anche la politica a livello federale. Proprio su questo aspetto la scorsa estate - dopo l’uccisione di una barista a Giubiasco - si era mossa anche la consigliera agli Stati Marina Carobbio Guscetti, firmando un’interpellanza sul tema. «La circostanza aggravante (in riferimento al femminicidio, ndr) sarà incorporata nel Codice penale svizzero?», chiedeva la senatrice. «Se sì, in che modo?». Ancora Lorella Bertani: «Ciò che constatiamo è che il più delle volte a monte di questi reati ci sono la gelosia, il possesso e l’idea - tipica di una certa società patriarcale - che la donna sia una proprietà, un oggetto di cui poter disporre. Se non sei mia, non sarai di nessun altro! Ma dobbiamo renderci conto - prosegue la nostra interlocutrice - che questi sono moventi odiosi e futili, tali da configurare il reato di assassinio. Dobbiamo smettere di pensare che uccidere per gelosia non sia un assassinio. Disporre della vita e della libertà di qualcuno è un’aggravante».
Un’altra voce
«Condivido l’importanza del messaggio per le donne e moralmente appoggio chi argomenta in questo modo, ma non ritengo opportuno né efficace che venga inserito il reato specifico di femminicidio nel codice penale». La voce è quella di un’altra avvocata: Micaela Antonini Luvini, consulente del consultorio giuridico Donna e Lavoro. «Sarebbe svilente nel senso profondo del Codice penale, della pena e del giudizio. Esula infatti dai compiti del diritto penale punire qualcuno in base al risultato e non in base alle azioni che compie. Assassinare o uccidere qualcuno è già un reato previsto dal Codice penale, a prescindere dal sesso della vittima. Anche perché lo scopo principale del diritto penale è proprio quello di sanzionare certi comportamenti umani». Secondo l’avvocata Luvini, il Codice penale copre già questa casistica, per esempio attraverso il reato di assassinio. Insomma, non deve punire in base al sesso della vittima, ma solo chi commette un reato e tenendo conto di tutte le circostanze. Ed è in queste circostanze che si determina il grado di gravità: dall’assassinio, all’omicidio passionale. «Tanto più che lo scopo di questa nuova norma - aggiunge Luvini - non sarebbe preventivo, ma semplicemente punitivo. E la storia del diritto penale ci insegna che non è affatto un deterrente per chi commette un reato simile». Non è stabilendo l’assassinio per i femminicidi che questi reati diminuiranno, spiega Luvini. «In questi casi l’inasprimento della pena non ha forza deterrente».
Un piano d’azione femminista contro la violenza di genere
«Dopo l’8 marzo non ci fermeremo, perché per noi è l’8 ogni giorno». È con questa promessa che dal 2018 il collettivo «Io l’8 ogni giorno» porta avanti le sue battaglie rivendicando parità tra donne e uomini. Una promessa mantenuta malgrado le difficoltà legate alla pandemia: in quest’ultimo anno, per ovvie ragioni, è stato parecchio complicato (se non impossibile) organizzare manifestazioni, ma il collettivo non è rimasto con le mani in mano e ieri a Bellinzona ha presentato il «Piano d’azione femminista per l’eliminazione della violenza sulle donne». Un documento che, ha spiegato Silvia Lesina Martinelli, nasce da una serie di incontri avvenuti nel corso del 2020 e durante i quali sono stati approfonditi diversi aspetti della violenza sulle donne e valutate le possibili soluzioni. In particolare sono stati affrontate tre tematiche: la violenza domestica, le violenze sessuali e le molestie sul posto di lavoro. Il tema di fondo che accomuna questi fenomeni, ha sottolineato Lesina Martinelli, riguarda però l’aspetto strutturale delle violenze: «La violenza di genere è radicata nella cultura, nell’economia, ed è parte integrante del modello patriarcale vigente». Ma non solo, ha aggiunto, la prima constatazione fatta dal collettivo durante gli incontri riguarda «il ritardo sul tema delle autorità, alle quali manca una cultura del sostegno alle vittime». Ed ecco che, nel documento presentato ieri, sono elencate alcune richieste alle autorità per migliorare la situazione.
Sul fronte della violenza domestica, tema affrontato durante la conferenza stampa da Alessia Di Dio, è stata evidenziata la difficoltà per le vittime di sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Per questo motivo, il collettivo chiede l’attivazione di un numero d’emergenza a tre cifre, non gestito dalla Polizia ma da personale qualificato e prevalentemente femminile. È poi stata fatta notare la carenza di posti letto nelle case rifugio che ospitano le vittime (che andrebbero quindi «immediatamente aumentati») e la necessità di rimborsare alle stesse vittime le spese di vitto e alloggio, che spesso sono causa di fatture salate. In questo senso nel «Piano d’azione» viene pure proposto un reddito di emergenza per le vittime: «Un sostegno economico transitorio, erogato velocemente e senza procedure complesse».
Il tema delle violenze sessuali è poi stato affrontato da Monica Bonetti, la quale ha posto l’accento su due aspetti cruciali. Innanzitutto, ha spiegato, è importante capire che «l’attuale sistema protegge gli autori del reato, e non le vittime». Cifre alla mano, Bonetti ha fatto notare che nel 2018 delle circa 500 denunce fatte per questo tipo di reati solo una cinquantina hanno portato a una pena detentiva. Non a caso, è stato sottolineato, «per una donna è difficilissimo prendere la via della denuncia». E quando trova il coraggio, e lo fa, il sistema «cerca di minare la credibilità della vittima».
«Quante volte abbiamo sentito frasi tipo ‘‘perché eri vestita così?’’ Oppure ‘‘perché non hai gridato?’’ È sempre la vittima a essere colpevolizzata, ma sono gli autori che devono imparare ad accettare un ‘‘no’’».
Infine, sul tema delle molestie sul posto di lavoro è intervenuta Angelica Lepori, rimarcando come a contribuire a questi fenomeni ci sia anche la «precarizzazione del mondo del lavoro avvenuta negli ultimi decenni» che ha reso fertile il terreno su cui sono allignati questi fenomeni. Secondo il collettivo è quindi necessario promuovere misure per lottare contro la precarietà del mondo del lavoro. Ma non solo. Sarà fondamentale agire pure sul piano della prevenzione e rafforzare la rete di sostegno. Insomma, il lavoro da fare contro la violenza di genere è ancora moltissimo e questo «Piano d’azione» potrà fungere da base per le future discussioni sul tema in attesa che, come ribadito da Lepori, il collettivo «possa tornare, quando le misure sanitarie lo permetteranno, a portare le proprie rivendicazioni nelle strade».