La Svizzera è esclusa dal piano di riarmo: «Vogliamo esserci»

È la fine di un ciclo: questa mattina, la «ministra» della Difesa Viola Amherd consegnerà simbolicamente le chiavi del suo ufficio al suo successore, Martin Pfister. Al termine dei suoi sei anni alla guida del DDPS, segnati dall’invasione russa in Ucraina, Amherd ha lasciato in eredità un Esercito che sta cercando di rafforzare la capacità di difesa. Per farlo, ha anche bisogno di cooperare maggiormente con l’estero. E l’Unione europea ha da poco annunciato un piano di riarmo da oltre 800 miliardi di euro.
La Svizzera, però, non è contemplata. «I Paesi terzi che hanno concluso un partenariato per la sicurezza e la difesa con l’UE (come la Corea del Sud e il Giappone) possono, a determinate condizioni, avere accesso agli appalti pubblici. Senza un partenariato per la sicurezza e la difesa, la Svizzera non potrà partecipare a progetti di appalto congiunto», ci spiegano dalla Segreteria di Stato della politica di sicurezza (SEPOS), il nuovo organismo, da inizio 2024, del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS). La Confederazione, dunque, cosa farà? «La Svizzera sta attualmente studiando la possibilità di stabilire un tale partenariato con l’UE».
Bruxelles non chiude la porta
Bruxelles, dal canto suo, non chiude la porta a Berna: i Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) - di cui fa parte anche la Svizzera - potrebbero partecipare agli appalti comuni insieme agli Stati membri, ma non potranno ricevere i prestiti (sono circa 150 degli 800 miliardi), spiega al CdT una portavoce della Commissione UE, aggiungendo che la Svizzera potrebbe inoltre «negoziare accordi specifici e reciprocamente vantaggiosi sulla partecipazione delle rispettive industrie a tali appalti».
«Non siamo una priorità»
La questione interessa particolarmente l’Ufficio federale dell’armamento (armasuisse), poiché il rischio - se la Svizzera venisse esclusa da ogni piano di riarmo - è di trovarsi con colli di bottiglia, ritardi nella consegna, oppure prezzi più elevati per il materiale bellico.
«Prezzi più alti e tempi di consegna più lunghi sono già una realtà per i nuovi ordini», conferma armasuisse, secondo cui c’è il rischio che le industrie degli armamenti di altri Paesi non tengano conto delle richieste da parte della Svizzera. «Questo perché le aziende estere danno generalmente la priorità alle esigenze della propria nazione e solo successivamente a quelle dei propri alleati. Le forniture alla Svizzera, che non fa parte di un’alleanza economica o militare, non sono quindi una priorità per le aziende produttrici. Inoltre, la Svizzera acquista generalmente solo piccole quantità e non è quindi un cliente interessante per l’industria dal punto di vista economico».
L’Ufficio federale dell’armamento ricorda tuttavia che la Svizzera sta cercando di coordinare sempre più i suoi acquisti futuri con quelli di altri Paesi. I vantaggi? Prezzi e condizioni di consegna migliori, ma anche «un valore aggiunto in termini di interoperabilità e intercambiabilità dei sistemi acquistati, che riduce i costi nel ciclo di vita».
Esercitazioni internazionali
Già, l’interoperabilità. Il Consiglio federale, dal settembre 2022, ha detto senza mezzi termini di voler rafforzare la cooperazione internazionale - in materia di sicurezza - con la NATO e anche con l’Unione europea.
L’Esecutivo ha infatti già approvato la partecipazione della Svizzera a due progetti della «Permanent Structured Cooperation» (PESCO) dell’UE. Il primo («Cyber Ranges Federation») mira a migliorare la cooperazione nell’ambito della ciber difesa, mentre il progetto «Military Mobility» ha come obiettivo di semplificare la mobilità militare sul territorio europeo.
Inoltre, solo nel 2025, l’Esercito svizzero effettuerà 32 esercitazioni internazionali. Nove di queste saranno svolte nel quadro del Partenariato per la pace della NATO e altre 23 su base bilaterale: due saranno negli Stati Uniti, quattro in Svizzera e le altre 17 in Paesi europei. Il Consiglio federale, che le ha approvate a fine febbraio, parla di migliorare le conoscenze, accrescere le esperienze e potenziare l’interoperabilità delle forze armate elvetiche.
Ma cosa significa, concretamente? La Svizzera parteciperà a istruzioni di varia natura: assistenza tattica ai feriti nel quadro delle forze speciali, salvataggio e recupero degli equipaggi di velivoli in condizioni difficili, ciberdifesa, ma si tratta soprattutto di esercitazioni dedicate alle forze aeree.
I jet da combattimento
Per il Governo, la cooperazione internazionale agevola l’accesso a opportunità di allenamento che non sarebbero possibili in Svizzera a causa delle restrizioni ambientali, ad esempio per istruzioni delle Forze aeree in formazioni più numerose. Nei prossimi anni sarà a disposizione dell’Esercito anche il nuovo aereo statunitense F-35A. Una buona idea? «Ad oggi, 18 Paesi, tra cui 11 in Europa, hanno scelto questo aereo. Sono già stati prodotti circa mille F-35. In futuro si prevede che più di 3 mila velivoli di questo tipo saranno impiegati in tutto il mondo. Il fatto che l’F-35 sarà particolarmente utilizzato in Europa e nel mondo in futuro significa che i progetti di cooperazione saranno più facili», sottolinea il DDPS.
I cieli elvetici saranno in ogni caso maggiormente protetti: dallo scorso autunno la Svizzera è il 15. Stato membro dell’iniziativa «European Sky Shield Initiative», che regola anche i progetti di acquisto e le formazioni nell’ambito della difesa terra-aria. Ma tutto questo è compatibile con la neutralità? Sì, c’è infatti una clausola che consente alla Svizzera, in virtù della propria neutralità, di ritirarsi dalla cooperazione qualora un membro dell’iniziativa diventi parte di un conflitto armato internazionale.
L’approccio solitario
Non è ancora del tutto chiaro fino a che punto può arrivare la collaborazione con la NATO. Lo scorso anno il Consiglio nazionale voleva vietare le esercitazioni di difesa congiunte con l’Alleanza che simulano uno scenario di reciproca difesa (si tratta dell’articolo 5 del Trattato della NATO, il cosiddetto articolo di «assistenza»), poiché non è compito dell’Esercito svizzero difendere le frontiere esterne dell’Alleanza. Tuttavia, il Consiglio degli Stati - così come il Governo - si è detto contrario a tale divieto. La partecipazione viene decisa caso per caso, anche tenendo conto della neutralità. Se un’adesione alla NATO è da escludere (almeno a medio termine), già negli scorsi anni il DDPS nel rapporto del 2022 ha reso noto che «non è invece praticabile l’altro estremo, ossia un approccio solitario in materia di politica di sicurezza con la rinuncia alla cooperazione internazionale e il perseguimento della piena autonomia nella difesa».
Perché? «La cooperazione con eserciti stranieri e organizzazioni internazionali contribuisce a colmare le lacune di capacità e a rafforzare la capacità di difesa. Intensificando la cooperazione, l’Esercito svizzero può beneficiare delle conoscenze, delle esperienze e delle opportunità di addestramento di altre forze armate», risponde il DDPS, che poi precisa: «In quanto Stato neutrale, la Svizzera intende difendersi con i propri mezzi. Tuttavia, in caso di attacco diretto, la Svizzera è libera di organizzare la propria difesa cooperando con altri Stati o con un’alleanza militare. Le forze armate devono essere in grado di cooperare».