L’accordo tra Svizzera e UE è anche una questione da quasi mezzo miliardo
A che punto sono i negoziati tra Berna e Bruxelles? «La qualità del risultato è più importante della celerità del processo». Così il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) aveva risposto al CdT un mese fa. L’obiettivo dichiarato e ribadito a più riprese da entrambe le parti, però, è di concludere le trattative entro la fine dell’anno. Fino ad ora, dopo circa 120 riunioni negoziali tra la diplomazia elvetica e quella dell’UE, i servizi di Ignazio Cassis hanno fatto trapelare poco o nulla. Il Consiglio federale, dal canto suo, lo scorso giugno ha reso noto di voler fare «un punto della situazione in autunno». Il momento sembra essere arrivato: stando alla NZZ am Sonntag, il Governo si occuperà della questione europea nella seduta prevista mercoledì. E gli argomenti di discussione non mancano.
Quasi mezzo miliardo
Uno dei tanti nodi da sciogliere, già mercoledì, è ad esempio l’ammontare del contributo di coesione (utilizzato per ridurre le disuguaglianze all’interno dell’UE, soprattutto per i Paesi dell’Est). Oggi, la Svizzera paga circa 130 milioni di franchi all’anno per l’accesso al mercato europeo, uno dei suoi partner commerciali più importanti. In futuro, spiega il domenicale zurighese, Berna potrebbe arrivare a pagare fino a 450 milioni di franchi. Più o meno come dovrebbe fare la Norvegia, che attualmente versa circa 390 milioni. Tuttavia, a differenza della Svizzera, la Norvegia è membro dello Spazio economico europeo e ha dunque pieno accesso al mercato interno dell’UE.
Quanto è disposta a pagare Berna? Stando alla NZZ am Sonntag, che cita «fonti ben informate», il Consiglio federale dovrà definire mercoledì «la sua soglia di sofferenza finanziaria». Maros Sefcovic, commissario europeo e responsabile del dossier per Bruxelles, a metà ottobre aveva chiaramente detto che il contributo di coesione e la libera circolazione delle persone sono i punti dolenti dei negoziati tra l’Unione europea e la Svizzera.
Anche sulla questione della libera circolazione il coltello sembra essere nelle mani dell’UE: a inizio ottobre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha informato la presidente della Confederazione, Viola Amherd che Bruxelles non vuole concedere alla Svizzera una clausola di salvaguardia unilaterale per la libera circolazione delle persone.
Dibattito pubblico
Il dibattito pubblico, finora, è guidato in particolare dall’UDC, che tra iniziative popolari, comunicati e prese di posizione pubbliche sta martellando contro quello che chiama «un accordo di sottomissione». A ciò si è aggiunta la cosiddetta «Iniziativa Bussola» (il cui nome per esteso è «Per la democrazia diretta e la competitività del nostro Paese - No a una Svizzera membro passivo dell’UE», che chiede di sottomettere al voto popolare - tramite referendum obbligatorio, che richiede la maggioranza di popolo e Cantoni - i trattati internazionali, tra cui la futura intesa con Bruxelles.
Dall’altra parte della barricata, finora, a favore di una maggiore collaborazione con l’UE è stata lanciata lo scorso aprile l’iniziativa popolare «Per una Svizzera forte in Europa (Iniziativa Europa)», che chiede di inserire la cooperazione con l’UE nella Costituzione. Allo stesso tempo, però, vuole anche sostenere il Consiglio federale nei negoziati in corso con Bruxelles.
Una «non comunicazione»
Nella mischia è pronta a buttarsi anche Economiesuisse, che sostiene la via bilaterale: la Federazione delle imprese svizzere lancerà in questi giorni una campagna su vasta scala, spiega il SonntagsBlick. I partiti (ad eccezione dell’UDC; ma anche dei Verdi liberali, che dal canto loro sostengono un accordo con l’Europa) per il momento latitano. Lo stesso stanno facendo sia il DFAE, sia l’Esecutivo. Stando alla NZZ, però, si tratta di una «decisione consapevole».
La strategia di «non comunicazione» da parte di Cassis e dell’intero Governo avrebbe però obiettivi precisi: evitare che Berna metta a repentaglio la propria posizione negoziale (anche perché esponendosi pubblicamente, il Governo difficilmente esercita pressioni comunicative sull’UE). Oltre a ciò, spiega il media zurighese, il Consiglio federale può difendere in modo credibile gli accordi solo dopo averli negoziati. La pressione però continua a crescere e ora anche l’Esecutivo - è ormai questione di un paio di giorni - è chiamato a sbilanciarsi.