Mitholz, che cosa significa dover lasciare la propria casa

Che cosa vuol dire dover lasciare la propria dimora, le proprie radici, senza saper bene dove si andrà a finire? Una domanda a cui sa dare risposta chi è stato costretto a scappare dalla guerra o dalla miseria. Ma anche gli abitanti di Mitholz, villaggio vicino al lago Blausee, nel comune di Kandergrund. Alla loro situazione e alla storia del paesino dell’Oberland bernese ha dedicato un’esposizione il Museo alpino svizzero, situato nella capitale elvetica. Inaugurata il 19 novembre, la mostra sarà aperta fino al 30 giugno 2024. Il titolo: «Heimat. Alla ricerca di tracce a Mitholz». «Heimat» è una parola nella lingua di Goethe che non ha un corrispettivo in italiano, ma che si avvicina al significato di «casa» o «luogo natio». Il 25 febbraio 2020, lo ricordiamo, gli abitanti di Mitholz hanno ricevuto una sconfortante notizia: nel 2030 dovranno lasciare il loro villaggio per dieci anni. Il tempo necessario alla Confederazione per eseguire i lavori di bonifica dell’ex deposito di munizioni che ospita il paese. Da questo annuncio, gli abitanti di Mitholz hanno vissuto tra senso d’impotenza, dolore e tante incertezze.
Storia iniziata tanto tempo fa
Durante la Seconda guerra mondiale, l’esercito ha costruito a Mitholz un deposito sotterraneo di munizioni. Qui, nel 1947, si è verificata una serie di esplosioni; esplosioni che hanno colpito una parte delle circa 7.000 tonnellate di munizioni immagazzinate, causando la morte di nove persone e distruggendo un centinaio di case. Dopo l’incidente, parte delle munizioni restanti ha potuto essere sgomberata. Secondo una stima, nelle aree crollate dell’impianto e nelle macerie antistanti si troverebbero però ancora circa 3.500 tonnellate di munizioni contenenti varie centinaia di tonnellate di esplosivi. Nel 1948, si era ritenuto che uno sgombero completo delle munizioni residue fosse troppo pericoloso, soprattutto per ragioni geologiche. Le valutazioni eseguite nel 1949 e nel 1986 non escludevano la possibilità di nuove esplosioni, ma erano giunte alla conclusione che esse avrebbero potuto provocare solo danni limitati al deposito stesso, e che questo potesse essere ulteriormente utilizzato. Poi, nel 2018, un rapporto della Confederazione cambiò tutto: il rischio connesso alla possibile esplosione risultava più elevato di quanto ipotizzato. Su incarico del Consiglio federale, il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) istituì un gruppo di lavoro per svolgere indagini e proporre misure per ridurre i rischi. Questi esperti giunsero alla conclusione che i rischi causati dai residui di munizioni avrebbero potuto essere eliminati definitivamente solo con uno sgombero.
Il piano generale prevede il trasferimento della popolazione e misure di protezione preparatorie per la strada e la ferrovia. La preparazione e lo sgombero vero e proprio dovrebbero durare almeno 25 anni. A marzo di quest’anno, il DDPS ha informato gli abitanti di Mitholz in quale zona di pericolo si trovano i loro immobili. Sulla base di tale classificazione, il Dipartimento comprerà entro il 2030 tutti i terreni e gli immobili che figurano nelle zone più a rischio. Per la costruzione delle strutture necessarie alla tutela della strada e della ferrovia, i primi abitanti dovranno lasciare le loro abitazioni già a partire dal 2025. Una seconda parte della popolazione dovrà fare lo stesso nel 2030. Contrariamente a quanto si temeva inizialmente, non tutti gli abitanti dovranno lasciare il villaggio, e alcuni campi potranno continuare a essere coltivati. Nel complesso, una cinquantina di persone dovrà andarsene. Il Comune di Kandergrund ha previsto un terreno edificabile al di fuori della zona di pericolo per coloro che vogliono rimanere a tutti i costi a Mitholz. Tutte informazioni ricordate anche nell’esposizione.
Con gli abitanti
Chi, ad ogni modo, considerando una visita al Museo alpino, immagina di trovarsi di fronte a un’esposizione prettamente tecnica, fatta interamente di cifre e riferimenti storici, si sbaglia. Alla mostra hanno infatti collaborato sette persone (fra i 30 e i 65 anni d’età), che vivono, sono cresciute o lavorano a Mitholz. Con la squadra della curatrice Barbara Keller, hanno esplorato il significato del concetto di «casa» («Heimat», appunto). «Non potevamo fare una mostra su Mitholz senza includere il villaggio stesso», racconta Keller. «I temi affrontati sono infatti stati scelti assieme». Fra suoni, odori, oggetti e immagini, la mostra accompagna i visitatori fra le sensazioni di chi abita nel paesino, dai ricordi legati all’esplosione del 1947 fino al futuro, passando anche per la relazione con le autorità.
Quell’albero sradicato
Dory Schmid fa parte del gruppo di collaboratori locali. Vivendo molto vicino all’ex deposito di munizioni, è fra coloro che dovranno sgomberare già fra pochi anni. Anche i suoi figli, che a Mitholz vivono con le loro famiglie, dovranno andarsene. Complessivamente, dovranno lasciare cinque edifici (inclusi un fienile e un’officina). Le simboliche e importanti radici esposte in una sala del museo appartengono a un albero trovato in fin di vita nel bosco di famiglia. «È stato sradicato, come presto lo saremo anche noi», afferma la 62.enne. Poco sorprendentemente, durante l’operazione d’estrazione dal terreno, sono state trovate delle cartucce. «Che venga alla luce materiale bellico, anche solo facendo lavori in giardino, non è nulla di stupefacente dalle nostre parti». A oggi, Dory Schmid sa che potrà costruire una nuova abitazione a Kandergrund, nella zona speciale resa edificabile solo per gli abitanti di Mitholz. Ma non sa ancora quale sarà la parcella che le spetterà. La commozione mentre parla di casa sua, proprietà di famiglia da generazioni, rinnovata assieme al marito con tanto lavoro e dedizione, si fa sentire. Il 2040, quando tutto - si spera - sarà davvero finito, è lontano. «Mi auguro che almeno i miei nipoti possano tornare a vivere qui». Molti in paese hanno preferito non collaborare con il Museo alpino, afferma la donna. La ferita è ancora aperta. Il dolore è troppo forte. «Anche io non sapevo se partecipare. Anche perché quando il progetto è partito, a fine 2020, sapevamo ancora poco del nostro destino. Le autorità fanno molto e bene, ma lentamente. Per me, persona colpita, è molto difficile». In una situazione di impotenza, collaborare alla creazione della mostra, afferma Dory Schmid, le ha dato sollievo. «Penso che la mostra non faccia solo onore a Mitholz, ma che sia anche importante per tutti i cittadini svizzeri. In gioco ci sono grandi spese pubbliche». Per lo sgombero del deposito di munizioni e la riqualificazione dell’intera area interessata, il Consiglio federale ha chiesto infatti al Parlamento un credito di 2,59 miliardi di franchi da sbloccare in due fasi.
Oltre ai sette collaboratori locali, una ventina di altri abitanti ha partecipato alla creazione dell’esposizione condividendo i ricordi legati ad alcuni luoghi del villaggio. Kathrin Künzi, musicista proveniente dal villaggio, ha scritto la canzone «Addio Mitholz», eseguita con quasi 40 coristi, tra cui alcuni partecipanti al progetto e alcuni volontari dal paesino colpito e da villaggi circostanti. Nell’esposizione, un allestimento musicale immerge i visitatori nella melancolica melodia di chi deve andarsene.
La responsabilità
Dalla sfera micro a quella macro, la mostra, dice ancora Barbara Keller, «vuole però essere anche uno spunto per pensare ai metodi usati dalla nostra società per risolvere grandi problemi. Li suddividiamo in tante piccole parti e li deleghiamo ad esperti. Ne conseguono tante soluzioni molto tecniche». La domanda, riferita alla sicurezza di zone rurali e di montagna in generale, «pensando anche alla crisi climatica - continua Keller - è se oltre agli esperti non sia necessario un profondo cambiamento della società, una maggiore presa di responsabilità». La domanda - una delle tante poste dalla mostra - infatti resta: se, nell’arco di 75 anni, gli abitanti di Mitholz si ritrovassero ad affrontare un secondo drammatico destino a causa di errori o manchevolezze di generazioni precedenti, come si potrebbe riuscire a prendersene al meglio, serenamente, la responsabilità?