Nessun ripensamento sul sostegno alle ONG attive in Palestina
A pagare il prezzo più alto delle violenze fra Hamas e le forze armate israeliane potrebbero essere i civili palestinesi, che già da tempo vivono in condizioni umanitarie e socioeconomiche più che precarie. La decisione dell’Unione europea circa la revisione sugli aiuti alla Palestina – anche se, sottolinea una nota della Commissione Europea, «non essendo previsti pagamenti, non ci sarà alcuna sospensione» degli stessi – può infatti avere conseguenze nefaste per la popolazione locale. La richiesta di interrompere ogni aiuto ha raggiunto anche la Svizzera, ma per il momento il Consiglio federale non intende ripensarci.
«Tre o quattro anni fa la Svizzera finanziava circa settanta ONG in Palestina. Ora sono state ridotte a una trentina, perché mancava trasparenza. Nei confronti di queste trenta c’è stata una “radiografia completa” sulle attività effettuate e sull’utilizzo che ne fanno del denaro», ha detto oggi in un incontro con la stampa Ignazio Cassis, citando l’impegno umanitario di organizzazioni - che in totale ricevono circa 15 milioni all’anno da Berna - come ad esempio la Croce Rossa.
Agenzia «non impeccabile»
Il « ministro» degli Esteri elvetico è stato invece più cauto sull’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA), in passato al centro di varie controversie: «Non è certo impeccabile, ma al momento non ci sono alternative. L’assistenza - sanitaria e scolastica - che sta fornendo non la può offrire nessun altro», ha aggiunto, ricordando che si tratta di un’agenzia dell’ONU e non di una ONG e che la Svizzera «non finanzia direttamente la popolazione palestinese». Annualmente, la Svizzera partecipa finanziariamente con circa 20 milioni di franchi all’anno.
Pressione interna
Sul fronte interno, è in particolare l’UDC a chiedere lo stop immediato degli aiuti. Il PLR ha invece chiesto alla Commissione delle finanze degli Stati una visione d’insieme di tutti i flussi finanziari verso le organizzazioni palestinesi per esaminare se gli aiuti «debbano essere sospesi o annullati».
A moltiplicarsi, nelle ultime ore, sono però gli appelli al Consiglio federale affinché Hamas sia riconosciuto dalla Svizzera come un’organizzazione terroristica: una richiesta avanza dalla Federazione svizzera delle comunità ebraiche (FSCI), dalla Piattaforma degli ebrei liberali in Svizzera (PELS) e dalla Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo (GRA), ma anche da UDC e PLR. Solo per citarne alcuni. La proposta non è nuova, ma non è mai riuscita a superare lo scoglio del Parlamento.
Il PLR cambia idea
Nel marzo del 2018, il Consiglio nazionale ha respinto a larga maggioranza (110 voti contro 71) un postulato che chiedeva al Consiglio federale di valutare la possibilità di vietare il gruppo Hamas o di classificarlo come organizzazione terroristica.
L’atto parlamentare, presentato da Christian Imark (UDC/SO), è stato in particolare affossato da PS, Verdi, Verdi liberali e la maggior parte dei deputati dell’allora PPD e del PLR. Tuttavia, la situazione ora è radicalmente cambiata e i liberali-radicali oggi hanno chiesto al Consiglio federale «di considerare Hamas un’organizzazione terroristica e di verificare che nessuna forma di sostegno economico proveniente dalla Svizzera finisca nelle mani di questa organizzazione».
Finora, spiega il partito, il dialogo con tutte le parti in causa è stato giustificabile, «ma i vergognosi attacchi dei terroristi di Hamas ora non lo consentono più». Anche il Consiglio federale - che cinque anni fa si era detto contrario - potrebbe presto cambiare idea.
Nessun margine di manovra
Anche in questo caso, Cassis ha però preferito tirare il freno: la Svizzera non dispone di una sua lista dei terroristi, ma attua le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che finora non ha classificato Hamas come organizzazione terroristica (a differenza di Al-Qaïda e Stato Islamico, per le quali anche in Svizzera sono state fatte leggi apposite, ndr).
«Il Consiglio federale non ha margine di manovra nel definire i gruppi terroristici. Ciò però non significa che non ci siano mezzi per contrastare il terrorismo. La questione si pone e il Governo ne parlerà già durante la seduta di domani», ha assicurato Cassis.
Non ci sono ostaggi svizzeri
Il capo della diplomazia elvetica ha nuovamente condannato senza mezzi termini gli «atti di terrore brutali e ingiustificabili» perpetrati da Hamas (e nel quale potrebbe esserci il coinvolgimento dell’Iran), ribadendo la posizione già espressa dal presidente della Confederazione Alain Berset. Cassis ha poi spiegato che al momento non risultano svizzeri tra le vittime, gli ostaggi e i feriti dell’aggressione (in Israele e nei Territori palestinesi occupati ci sono circa 28 mila cittadini elvetici, ndr).
Oggi da Tel Aviv partirà un volo in direzione di Zurigo: i posti sull’aereo, però, sono finiti nel giro di poche ore. «In questo momento gli slot liberi per il decollo degli aerei e la disponibilità dei velivoli è limitata. Non riusciremo a rimpatriare tutti immediatamente», ha sottolineato Cassis.
Soluzione a due Stati
Il consigliere federale ha infine chiesto alle parti di cessare il fuoco e di evitare una escalation ancora più grave che potrebbe sfociare in un conflitto regionale. Eppure, ha aggiunto, «è difficile pensare che Israele non reagirà a questi attacchi terroristici di Hamas». Per monitorare la situazione, coordinare meglio le risorse a disposizione e per aiutare gli svizzeri sul posto, il titolare del DFAE ha deciso di istituire una task force (con specialisti di questioni giuridiche, consolari e di gestione delle crisi), diretta dall’ambasciatrice Maya Tissafi, capo della Divisione Medio Oriente e Nord Africa (MENA).
Berna si è detta pronta a sostenere diplomaticamente i partiti e gli Stati della regione. L’obiettivo? Una soluzione a due Stati, negoziata da entrambe le parti e in conformità con il diritto internazionale, che agli occhi della Svizzera appare l’unica via per una pace duratura tra israeliani e palestinesi.