La missione

Quando Svizzera e Italia conquistarono insieme lo Spazio

30 anni fa l'astronauta svizzero Claude Nicollier e il suo collega Franco Malerba partirono con la missione STS-46, facendo la storia dell'astronautica europea - Li abbiamo intervistati per raccogliere le emozioni di quei giorni
Mattia Sacchi
31.07.2022 13:48

Sarà forse per tutte le cime, dove le stelle si vedono così bene che sembra di poterle raggiungere con una scala, ma il legame della Svizzera con lo Spazio è sempre stato particolarmente forte. Tanto che, curiosità, la prima bandiera ad essere arrivata sulla Luna è di fatto svizzera: è quella (bianca, perché gli americani avevano fiutato il possibile incidente diplomatico) del Solar Wind Composition Experiment, strumento che poté dimostrare l'esistenza del vento solare durante la storica missione dell'Apollo 11, quella del primo allunaggio in cui la Svizzera ebbe un ruolo tutt'altro che marginale. Ma questa è un'altra storia.

Fatto sta che, fino a trent'anni fa, la Svizzera nello Spazio ci era stata «solo» con strumenti di precisione o materiali innovativi, come il velcro. Ma il 31 luglio 1992 tutto cambiò: a bordo dello Space Shuttle Atlantis, tra i sette membri dell'equipaggio della missione STS-46, ci fu infatti anche Claude Nicollier, nella prima missione spaziale per un astronauta svizzero. «In quei momenti c'era tanta emozione e, non posso nasconderlo, anche un po' di preoccupazione - racconta Nicollier al Corriere del Ticino -. Perché si intraprende un'esperienza del tutto sconosciuta e dove le responsabilità e le ambizioni sono particolarmente elevate. Una volta arrivato nello Spazio ovviamente è stato incredibile, ma non posso dire che sia stato del tutto piacevole: sono condizioni particolarmente estreme e bisogna farci l'abitudine. Io personalmente ho accusato un po' di malessere e ho dovuto gestire l'assenza di gravità, cosa tutt'altro che scontata. Certo, guardare la Terra da prospettive e con modalità assolutamente uniche, nelle quali giorno e notte si alternavano con una rapidità impressionante, aiuta a recuperare, almeno moralmente...».

© European Space Agency
© European Space Agency

E recuperare al più presto le forze è essenziale perché, per quanto affascinante, la permanenza nello Spazio è legata a motivi scientifici, dove ogni membro ha mansioni ben precise da svolgere. «Sentivo l'importanza e la responsabilità di essere il primo «Mission specialist» non americano e quindi ero molto concentrato nel fare bene il mio lavoro. Anche perché una delle prime cose che si scoprono una volta che si è lassù è che niente andrà perfettamente come nei piani. Dobbiamo essere quindi pronti ad affrontare tutti gli imprevisti e trovare costantemente le soluzioni migliori per portare comunque a termine i compiti richiesti. C'è una tabella ben precisa da rispettare, che ci porta a lavorare 12-13 ore. Solo al termine del proprio turno abbiamo qualche ora per cenare e ammirare l'incredibile panorama. Sapendo che ogni missione è relativamente breve, circa 10 giorni, cercavamo sempre di stare più tempo possibile a guardare fuori dal finestrino: spesso era il Comandante a dirci di andare a dormire, ché il giorno dopo ci avrebbe aspettato una nuova e intensa giornata lavorativa!».

Svizzera e Italia, insieme nello spazio

Vista dal Ticino, la linea di confine tra Svizzera e Italia a volte è particolarmente marcata, tra polemiche e dispute tra entrambi i lati. Divisioni che vengono decisamente relativizzate se viste dallo Spazio, che in quegli storici 8 giorni dell'estate del 1992 Nicollier ha condiviso con Franco Malerba, il primo italiano in una missione spaziale. «Anche da centinaia di chilometri possiamo vedere alcuni confini, come quelli tra Messico e Stati Uniti dovuti alla differenza di urbanizzazione e di coltivazioni - racconta il 78enne di Vevey -, per non parlare di quelli segnati dall'uomo con violenza e orrori, come sta accedendo in Ucraina. Ma quando sei così lontano e vedi la Terra così piccola è davvero impossibile non percepire che siamo un unico corpo celeste, dove tutto è collegato. Forse questo viene enfatizzato dal fatto che su una navicella spaziale è fondamentale l'unità di intenti e il saper lavorare insieme, poco importa della nazionalità e della lingua parlata. Non solo in orbita, ma anche durante i vari addestramenti, si vivono momenti intensi nei quali si condividono paure e gioie: inevitabilmente questo crea legami indissolubili. E Franco, così come altri astronauti italiani come Maurizio Cheli e Umberto Guidoni, è diventato un mio carissimo amico. Possono passare anni ma, ogni volta che ci vediamo, è come se niente fosse cambiato».

«Ho talmente tanta stima di Claude che gli ho pure comprato la sua casa a Houston! - ribatte scherzosamente Franco Malerba, che abbiamo trovato nella sua abitazione di Busalla, comune nei pressi di Genova dove l'astronauta italiano ogni anno organizza il Festival dello Spazio -. A parte gli scherzi, le sue competenze sono fuori discussione, non a caso gli sono state affidate missioni di grande importanza e ha lavorato sul telescopio Hubble. Ed è una splendida persona, in grado di far sentire tutti a proprio agio. Un rapporto che poi è andato al di là di quello professionale: le sue figlie hanno fatto da babysitter al mio e le nostre mogli si sostenevano a vicenda nelle ansie prima della partenza».

© Wikimedia
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Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per l'Europa

Volendo parafrasare la più nota citazione sullo spazio, quelli di Claude Nicollier e Franco Malerba, rispettivamente il primo svizzero e il primo italiano nello Spazio, sono stati «piccoli passi per l'uomo, ma grandi passi per l'umanità». O quantomeno per l'Europa, dato che anche grazie al percorso da loro intrapreso che gli astronauti europei sono stati coinvolti sempre più nelle missioni spaziali. Che adesso potrebbero portare un europeo a mettere piede sulla Luna, come conferma Nicollier: «Da tempo si sta pensando di tornare sul nostro satellite e il contributo dell'ESA nello sviluppo delle tecnologie è importante. Un ruolo centrale che dovrebbe permettere in circa 10 anni a uno dei sette astronauti europei, tutti davvero talentuosi, di mettere piede sulla Luna. Certo, sarebbe piaciuto farlo a me: sarei stato curioso di provare la gravità lunare e poi, da amante dei deserti, sono sicuro che avrei goduto di una vista impareggiabile...».

A proposito di deserti, la desertificazione a causa dei cambiamenti climatici della Terra ha spinto molte persone, Elon Musk su tutti, a guardare non solo la Luna, ma anche Marte come pianeta da colonizzare. Ma per Malerba, che è pure uno dei massimi esperti mondiali di sistemi di coltivazione extraterrestri, è un'ipotesi da non prendere in considerazione: «Abbiamo un pianeta bellissimo, dovremmo pensare a salvaguardare questo piuttosto che valutare come vivere in altri. Anche perché, non avendo atmosfera né campo magnetico, Marte presenta condizioni a dir poco inospitali che non permetterebbero di sopravvivere: la missione Exomars avrebbe dovuto fare dei lavori di trivellazione per scoprire se nel sottosuolo marziano, al riparo dalle radiazioni, ci possano essere forme di vita. La sospensione del programma però è indicativa di come siamo ben lontani da fare questo genere di scoperte». «Le agenzie spaziali governative non stanno prendendo in seria considerazione eventualità del genere - gli fa eco Nicollier -. Potremmo pensare a esplorazioni, anche di diverse settimane o mesi sulla Luna, ancora prima che il «pianeta rosso», per vedere le reazioni del nostro corpo e testare le nostre capacità di sopravvivenza. Ma ad oggi l'idea di colonizzare Marte è più un'ossessione di Musk che una reale eventualità».

L'idea di colonizzare Marte è più un'ossessione di Musk che una reale eventualità
Claude Nicollier

Quella del 1992 è stata la prima di diverse missioni che entrambi gli astronauti hanno affrontato. Se la prima volta è stata emozionante, non c'è il rischio che quelle successive diventino un po' «routine»? «Mai, neanche per un istante - sottolinea Nicollier -. E non solo per la fantastica vista che si ammira da lassù, che ovviamente è unica, ma anche per l'opportunità di essere coinvolto in progetti davvero stimolanti. Aver potuto lavorare sul telescopio Hubble, un capolavoro di tecnologia, è stato fantastico. Davvero, non c'è stato un singolo momento che non mi abbia regalato emozioni irripetibili». Sensazioni confermate dal collega italiano: «Ci addestriamo così tanto per partire che, quando siamo in orbita in quei pochi giorni, viviamo un'esplosione di adrenalina, come un attore che prova per anni il ruolo della vita e finalmente arriva sul palco più importante. E quindi cerchi di vivere al massimo ogni momento. Forse tra qualche decennio volare nello Spazio sarà così semplice che per gli astronauti sarà quasi noioso, ma oggi di certo non è così».

Dopo anni di addestramento, in quei pochi giorni nello Spazio viviamo al massimo ogni momento
Franco Malerba

Non si sogna solo da bambini

Se non è noiosa di certo però non possiamo dire che, né per Malerba e neanche per Nicollier, sia stata la realizzazione del sogno di bambino, dato che il primo volo spaziale di Juri Gagarin è avvenuto nel 1961, quando loro avevano rispettivamente 15 e 17 anni. «Non era sinceramente un'ipotesi che avevo mai preso in considerazione - ammette Malerba -. Dopo gli studi in ingegneria elettronica e biofisica ho lavorato come ricercatore e poi in Marina Militare. L'aspirazione di diventare astronauta si è sviluppata pertanto solo molti anni dopo ed è stata realizzata grazie a un mix di fortuna e di competenza, che mi ha permesso di capitalizzare al massimo ogni occasione che mi è capitata. Non so se il mio percorso professionale sia replicabile al giorno d'oggi, ma spero possa ispirare i giovani che coltivano ambizioni simili a studiare, anche in diversi ambiti, dando il meglio di loro. Con competenza e passione i risultati arriveranno». «Fermo restando - sottolinea Nicollier - che quello dell'astronautica è un mondo estremamente vasto e affascinante, che non si limita solo a quei pochi uomini e donne che hanno il privilegio di andare nello Spazio. Ci sono intatti tantissimi ricercatori che lavorano su progetti meravigliosi che meritano di essere approfonditi e che sono altrettanto fondamentali nella Storia, con la S maiuscola, delle missioni spaziali. Il contributo svizzero è passato non solo da me, ma anche da tutti quegli ingegneri e quei tecnici che hanno permesso alla nostra piccola Confederazione di avere un ruolo centrale in alcune delle più importanti imprese compiute dall'uomo nello Spazio». 

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