Governo

Sconto di 35 franchi sul canone per provare a evitare il voto

Il Consiglio federale si esprimerà mercoledì sull'iniziativa «200 franchi bastano!»: sul tavolo c'è un'altra proposta – Piero Marchesi: «Non basta un contentino» – Alex Farinelli: «Scelta pericolosa: il Ticino rischia di pagare il prezzo più alto»
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Luca Faranda
05.11.2023 21:15

Domenica 4 marzo 2018. Al termine di un’aspra campagna, il popolo svizzero respinge con il 71,6% di voti contrari l’iniziativa popolare «Sì all’abolizione del canone radiotelevisivo (No Billag)». Quel giorno, la consigliera federale Doris Leuthard (a capo del DATEC) in conferenza stampa sottolinea che l’esito alle urne «mostra che la popolazione vuole conservare a radio e tv il mandato di servizio pubblico» ed è pronta a pagare per questo. Da allora, molte cose sono cambiate. Il canone è stato ridotto a più riprese, Billag ha ceduto il posto a Serafe come organo di riscossione, Doris Leuthard ha lasciato il Consiglio federale e ora il dipartimento è diretto da Albert Rösti, che nonostante il ruolo di «ministro» figura tuttora (per legge non può essere stralciato) nella lista dei promotori dell’iniziativa «200 franchi bastano! (Iniziativa SSR)». Passano gli anni, ma il dibattito rimane d’attualità. La SSR deve ridimensionarsi? Molto probabilmente sì. Mercoledì prossimo l’iniziativa popolare che chiede un abbassamento del canone a 200 franchi arriverà infatti sul tavolo del Consiglio federale. La «NZZ am Sonntag» oggi ha rivelato che l’Esecutivo ha già pensato a delle contromisure.

Privati e aziende pagano meno

Il piano del Governo (che presumibilmente raccomanderà di respingere l’iniziativa) è di ridurre il canone radiotelevisivo da 335 a 300 franchi e di esentare la maggior parte delle imprese dal pagamento. Attualmente circa il 25% delle aziende è assoggettato, mentre in futuro il balzello riguarderà solo quelle di grandi dimensioni (tra il 15 e il 20% delle imprese presenti in Svizzera). Questa strategia, se confermata, comporterebbe un calo delle entrate di 150-200 milioni di franchi all’anno (su un budget complessivo di 1,57 miliardi), ovvero all’incirca il 10%. Si tratta di una mossa ben calibrata, poiché tra i favorevoli all’iniziativa «200 franchi bastano!» c’è anche l’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM). Il presidente Fabio Regazzi, tramite il domenicale, ha reagito positivamente alla proposta, anche se è ancora presto per pronunciarsi: bisognerà attendere almeno fino a mercoledì per scoprire i dettagli della decisione del Governo. Per il consigliere nazionale ticinese, l’obiettivo è di esentare le PMI dal pagamento del canone. Pertanto, «se il Consiglio federale presenta una proposta che affronta questa preoccupazione principale e alleggerisce anche l’onere per le famiglie, allora possiamo accettare questa soluzione dal punto di vista commerciale». Qualche anticipazione, tuttavia, la «NZZ am Sonntag» l’ha già fornita. Il Consiglio federale non vuole proporre un controprogetto, bensì procedere con una «controproposta» tramite ordinanza. Le Camere federali avranno in ogni caso l’opportunità di dire la loro sulla questione. «Se il Governo il Parlamento intendono presentare soluzioni alternative, sarà comunque il popolo a decidere. Noi rimaniamo convinti della nostra proposta», ci spiega il consigliere nazionale Piero Marchesi, che fa parte del comitato promotore dell’iniziativa.

300 franchi non è la risposta

Per il deputato UDC «la richiesta è chiara: riteniamo che 200 franchi siano adeguati. Si tratta di una cifra corretta per finanziare il servizio pubblico in Svizzera, garantendo anche la regionalità, la presenza a livello territoriale e la rappresentanza di lingue e culture, senza andare a toccare le emittenti private. Inoltre, tiene anche conto dell’aumento della popolazione, che ha portato a un incremento del budget per la SSR», precisa Marchesi. Difficile, se non impossibile, che il Consiglio federale possa evitare l’appuntamento alle urne con una simile controproposta. «Se il Governo propone una riduzione del canone da 335 a 300 franchi, di certo non possiamo essere soddisfatti: 35 franchi in meno non è la risposta e non soddisfa le aspettative di chi ha lanciato questa iniziativa. Tuttavia, è ancora presto per prendere una decisione. Bisognerà aspettare le proposte concrete, ma di sicuro non abbiamo lanciato un’iniziativa per ritirarla a fronte di un contentino», sottolinea Marchesi. 

Identità culturale a rischio

I piani del Governo, in realtà, non soddisfano quasi nessuno. Né il sindacato dei mass media (vedi sotto), né «Alleanza diversità mediatica», nata allo scopo di contrastare l’iniziativa popolare e che comprende una quarantina di personalità del mondo politico, culturale, mediatico e della società civile. «La scelta del Consiglio federale, se confermata, sarebbe sbagliata e pericolosa. Il rischio è che siano proprio le minoranze linguistiche - in particolare l’italiano - a pagare il prezzo maggiore. Come ticinesi dobbiamo anche capire cosa possa significare per il nostro cantone», afferma dal canto suo il consigliere nazionale Alex Farinelli, che fa parte dell’Alleanza. «Non bisogna dimenticare che il Ticino, per ogni franco che paga tramite il canone, ne riceve cinque. E non si parla solo di radio e tv: c’è tutto un mondo che vi gira attorno e a beneficiarne sono anche istituzioni culturali (tra cui l’Orchestra della Svizzera italiana e il LAC) e manifestazioni come il Locarno Film Festival. Tutto ciò genera anche posti di lavoro e indotto», spiega il consigliere nazionale PLR e sindaco di Comano. «Voglio inoltre sottolineare che la RSI a Comano non paga un franco di imposte, ma vediamo ogni giorno l’importanza di questa realtà. Bisogna opporsi con assoluta fermezza a questa iniziativa e anche alle controproposte che possano impattare sulla nostra identità culturale».