Si riapre la porta del nucleare «anche per proteggere il clima»
Nel 2022 la parola svizzera dell’anno, per la lingua italiana, era stata «penuria». Il timore di una crisi energetica - per la Scuola universitaria di scienze applicate di Zurigo che ha scelto tale termine - era infatti al centro delle preoccupazioni degli svizzeri. Proprio quell’anno, un comitato d’iniziativa composto principalmente di politici borghesi e del mondo economico ha lanciato l’iniziativa popolare «Energia elettrica in ogni tempo per tutti (Stop al blackout)». Ieri, a distanza di 18 mesi, sono state consegnate alla Cancelleria federale oltre 129 mila firme.
Il testo dell’iniziativa è chiaro: «L’energia elettrica è prodotta nel rispetto dell’ambiente e del clima. Sono ammissibili tutti i tipi di produzione di energia elettrica rispettosi del clima». C’è però un «sottotesto»: il ritorno al nucleare, che non viene mai esplicitamente menzionato, costituisce il nucleo dell’iniziativa. In sostanza, si rimette in discussione il divieto di rilascio di autorizzazioni di massima per nuove centrali nucleari - approvato dal popolo quasi 7 anni fa e in vigore dal primo gennaio 2018.
Strategia energetica 2050
Facciamo un passo indietro. L’atomo divide la popolazione - e anche le autorità - da anni: nel 2008 erano state inoltrate tre domande di autorizzazione di massima per la costruzione di nuovi impianti (ritirate ufficialmente solo alla fine del 2016). Poi, però, nel marzo del 2011 l’incidente avvenuto a Fukushima, in Giappone, ha cambiato totalmente le carte in tavola anche nella Confederazione: già nel corso dello stesso anno le autorità elvetiche hanno sospeso le procedure di rilascio e pochi mesi più tardi il Consiglio federale ha posto le basi per l’uscita dal nucleare.
Nel novembre del 2016, è poi stata respinta (con il 54,2% di voti) un’iniziativa dei Verdi che chiedeva la chiusura delle centrali nucleari entro il 2029. La svolta è arrivata sei mesi più tardi, nel maggio del 2017: alle urne, gli elvetici hanno approvato con il 58,2% dei voti la Strategia energetica 2050, che vieta la costruzione di nuove centrali nucleari e decreta la graduale chiusura di quelle esistenti (attualmente sono ancora in esercizio quattro impianti) al termine del loro ciclo di vita.
Problema acuto
«Nel 2017 il popolo non ha detto no alle centrali nucleari, ma ha detto sì alla Strategia energetica 2050. A nostro avviso però è fallita e dunque bisogna elaborarne una nuova», ci spiega Vanessa Meury, presidente del comitato d’iniziativa e del Club Energia Svizzera, che si batte per un approvvigionamento elettrico sicuro.
Seppur il rischio di un vero e proprio blackout al momento non sia concreto, i promotori mettono le mani avanti. «Il problema è acuto e piuttosto urgente. Con il graduale spegnimento delle centrali esistenti e l’aumento dei consumi, non bisogna perdere tempo», aggiunge la 27.enne solettese, che milita nei Giovani UDC, ricordando che già nel 2022 il Governo aveva avvertito di una possibile carenza di energia. «L’iniziativa è necessaria per garantire l’approvvigionamento. Chi vuole davvero la protezione del clima e intende raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, allora deve tenere in considerazione l’energia nucleare».
Formulazione non chiara
L’iniziativa - ovviamente - non viene condivisa da associazioni e partiti che promuovono le energie rinnovabili, ma neanche dal Forum nucleare svizzero, che in realtà sostiene gli investimenti nell’atomo. «Il testo dell’iniziativa nella sua forma attuale contiene errori che non consentono il nostro sostegno», ad esempio la formulazione troppo generica.
A frenare è anche il consigliere nazionale socialista Bruno Storni: «Si tenta di aggirare la decisione sulla Strategia climatica con una formulazione non chiara e insistendo sul fatto che sia ormai fallita. Ma se si guarda il monitoraggio dello sviluppo delle rinnovabili, si capisce che è possibile scongiurare il rischio di un blackout grazie agli investimenti nelle rinnovabili», spiega l’ingegnere elettronico ticinese, ricordando che la Svizzera attualmente acquista energia dall’estero quando il prezzo è basso e la esporta quando è alto, senza rischi di penuria.
A suo avviso, gli allarmi lanciati nel 2022 erano un’esagerazione. «I consumi sono stabili da anni, ciò significa che anche grazie all’efficienza energetica nel 2023 abbiamo consumato meno, malgrado ci siano più abitanti, più auto elettriche e più pompe di calore. Oltre a ciò, il prezzo attualmente è ancora elevato e dunque le persone tendono a risparmiare sulla corrente».
Questo trend mostra che un eventuale pericolo di blackout non è certo per domani o dopodomani. «C’è chi dice che senza nucleare si dovrà tornare a far luce con le candele. Ma non è così», aggiunge Storni, secondo cui la porta del nucleare in realtà non è mai stata chiusa. «Di certo non c’è un vero divieto tecnologico e la Svizzera partecipa a vari progetti (tra cui Thorium, Iter e anche con il Swiss Plasma Center del Politecnico federale di Losanna) con il quale si cerca anche di produrre energia tramite fusione e non fissione».
Centrali sicure
In ogni caso, ci vorrà tempo per vedere all’opera le centrali di nuova generazione: «Ci vorranno decenni, anche per i piccoli reattori bisognerà attendere almeno 10-20 anni affinché siano commerciabili. È complicato, ma la ricerca va avanti», afferma Bruno Storni.
Vanessa Meury è invece molto più ottimista: «Non direi decine di anni, con le nuove tecnologie sarebbe possibile costruirne una in otto anni. Di sicuro non è troppo tardi per agire, al contrario. Credo che in futuro consumeremo più energia elettrica, non meno. È quindi opportuno iniziare a parlarne già ora: le centrali nucleari attualmente in funzione in Svizzera sono sicure, anche grazie alle continue e regolari ispezioni. E quelle di nuova generazione lo saranno ancora di più, anche perché sono sempre più indipendenti da un possibile errore umano». Il dibattito è lanciato.