UBS deve essere più sorvegliata, «Ma alcuni strumenti ci sono già»

«Game Over - Il crollo di Credit Suisse». A due anni di distanza dal salvataggio orchestrato da Consiglio federale e UBS, la vicenda diventa un «docufilm»: arriverà nelle sale cinematografiche a partire dalla prossima settimana. Oggi a Zurigo c’è stata una prima proiezione, ma l’anteprima svizzera è fissata per mercoledì 26 marzo al cinema Lux di Massagno.
La grande crisi bancaria, la seconda negli ultimi 15 anni, non dovrà diventare una trilogia: il Parlamento ha infatti deciso di mettere dei paletti a UBS e di stringere le viti alla legislazione «too big to fail». Il Consiglio nazionale, che martedì ha trattato il dossier elaborato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI), è giunto alle stesse conclusioni dei «senatori». Entrambe le Camere auspicano un aumento dei fondi propri per le banche di rilevanza sistemica (UBS, Raiffeisen, Postfinance e la Banca cantonale di Zurigo), ma chiedono anche di rafforzare il ruolo della FINMA, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari.
Il vero dibattito sarà più avanti
Il tracollo dell’ormai ex numero due bancario elvetico, per Nazionale e Stati, non deve rimanere privo di conseguenze.
«Ma gli strumenti in buona parte esistono già», ci spiega Henry Peter, professore ordinario di Diritto e specialista in questioni bancarie all’Università di Ginevra, secondo cui i dibattiti a Palazzo federale «sono stati un po’ fuorvianti. Le norme elvetiche sono già tra le più severe al mondo, basterebbe applicarle. Aumentando queste condizioni quadro si rende la piazza meno competitiva».
«Era ineluttabile che le autorità avrebbero preso delle decisioni. È chiaro, non si poteva evitare. Il vero dibattito, però, sarà quando queste decisioni verranno tradotte in leggi», afferma dal canto suo Carlo Lombardini, avvocato e docente di diritto bancario all’Università di Losanna. Il Consiglio federale, entro la fine del 2026, dovrà infatti trasmettere il messaggio al Parlamento sugli adeguamenti alla legislazione «too big to fail».
«I guai non si possono evitare»
Per entrambi gli esperti, tuttavia, pur rafforzando le misure non è possibile escludere una terza grande crisi bancaria. «I guai - sottolinea Lombardini - non si possono sempre evitare: le crisi bancarie ci sono da quando esistono le banche e questo non cambierà nemmeno in futuro». A suo avviso, c’è un solo aspetto di fondamentale importanza: «L’unico modo per scongiurare le crisi è di avere delle banche ben gestite e ben sorvegliate da parte del consiglio di amministrazione, degli azionisti e, infine, della FINMA. Se direzione e cda non sono competenti oppure sono troppo aggressivi, si avranno problemi, indipendentemente dalle regole che verranno imposte».
Per Lombardini, tuttavia, non è il caso di UBS: «È una banca gestita molto bene e lo voglio sottolineare. In realtà il vero problema è la complessità del modello di affari. In particolare, l’attività dell’investment banking è difficile da gestire e da sorvegliare. Ma UBS ha ridotto la sua presenza in questo ambito».
Tra il cosmetico e il populista
Per Lombardini, in ogni caso, le regole sui fondi propri sono condivisibili. «Avere un capitale sociale più elevato non fa certo male, ma non risolve una crisi di fiducia o di liquidità. In realtà il dibattito sarebbe dovuto essere a un livello molto più tecnico, Sono temi complessi ed è un po’ pericoloso discuterne come se si fosse al bar», aggiunge Lombardini, citando in particolare la questione del rafforzamento della copertura in mezzi propri delle filiali straniere.
Per Henry Peter, alcune proposte del Parlamento vanno nella buona direzione, «ma alcune sono tra il cosmetico e il populista. Le misure non sono davvero incisive e non rafforzano la Svizzera e il settore bancario. I segnali per Credit Suisse erano già chiari da tempo: sono le eccezioni concesse dalla FINMA (come il filtro normativo del 2017, ndr) che lo hanno ulteriormente indebolito. Intervenendo prima, si sarebbe potuto salvare l’istituto».
Per l’esperto, invece di inasprire le esigenze in materia di fondi propri, è invece necessario introdurre il cosiddetto “public liquidity backstop” (un meccanismo pubblico di garanzia delle liquidità). «Ma non sono sicuro che il Parlamento l’abbia davvero capito».
La partenza dalla Svizzera
Le decisioni del Parlamento mirano anche a limitare la concessione di sgravi dai requisiti di capitale e liquidità per le banche di importanza sistemica. La scorsa settimana, tuttavia, c’è chi ha voluto lanciare una provocazione. Roman Studer, presidente della direzione dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), in un’intervista al Tages Anzeiger ha avvisato che se si stringono troppo le viti sul capitale proprio di UBS, l’istituto potrebbe lasciare la Svizzera o essere rilevata da un concorrente. È plausibile? «Non è impossibile, ma è tutto molto teorico», risponde Carlo Lombardini.
Per Henry Peter, invece, il rischio è più concreto. «Certo, non sarà immediato, ma è una possibilità. Gli azionisti, che per la maggior parte sono stranieri, potrebbero voler trasferire la sede altrove, a Londra oppure negli Stati Uniti».
«Non è una scienza, è un’arte»
Entrambi gli esperti sono tuttavia favorevoli a dare maggiori strumenti alla FINMA. «La sorveglianza bancaria non è una scienza, è un’arte. Bisogna capire dove sono i possibili guai e ciò necessita una vera conoscenza delle attività bancarie e dei suoi rischi. Non sono contrario alla possibilità di concedere alla FINMA la possibilità di dare delle multe: bisognerà però adeguare i regolamenti, perché diventerebbe l’equivalente di un’autorità penale. Si dovranno rafforzare le garanzie di difesa», sostiene Lombardini.
Limitare i compensi
Il Nazionale non ha ancora trattato la mozione del «senatore» UDC Jakob Stark - approvata di stretta misura la scorsa settimana al Consiglio degli Stati - che chiede di limitare le retribuzioni totali annuali nel settore bancario a 3-5 milioni di franchi. A titolo di paragone, il CEO di UBS, Sergio Ermotti, nel 2024 ha guadagnato 14,9 milioni di franchi. «Questa misura non ha alcun senso. È pura demagogia», taglia corto Lombardini. Dello stesso avviso Peter: «Non avrà nessun impatto dal punto di vista della riduzione dei rischi. Anzi, può essere controproducente: limita la possibilità di avere accesso a dirigenti di alto livello. Ed è proprio l’aspetto necessario per gestire bene l’azienda ed evitare problemi».