Un limite ai giudici della CEDU: «La Corte ha perso credibilità»
Il prossimo 28 novembre ricorrerà il 50. anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in Svizzera. In attesa di soffiare sulle candeline, dallo scorso 9 aprile soffia invece il vento della polemica. La controversa e ormai storica sentenza sulla protezione del clima è tornata di prepotenza in parlamento mercoledì (al Nazionale) e ieri (agli Stati) sotto forma di sessione straordinarie. Dai segnali, lanciati dalle Camere federali alla Corte di Strasburgo, si è rapidamente passati ad azioni (forse) più concrete: «Bisogna ricordare ai giudici che sono parte della CEDU, non al di sopra della Convenzione», chiarisce il consigliere agli Stati Andrea Caroni (PLR/AR). Poco prima, i «senatori» hanno approvato a larga maggioranza (32 voti a 16) una sua mozione dal titolo eloquente: «Rammentare alla Corte EDU la sua missione primaria».
La dichiarazione
Facciamo un passo indietro. Lo scorso 9 aprile i 17 giudici della Grande Camera della CEDU hanno condannato la Svizzera per violazione dei diritti umani in ambito ambientale, dando così ragione all’associazione «Anziane per il clima»: la Confederazione ha violato l’articolo 8 della Convenzione, ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto non ha preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
La decisione di Strasburgo - che è vincolante, non appellabile e può influenzare la legge nei 46 Paesi membri del Consiglio d’Europa - ha sollevato un polverone e già nel mese di giugno le due Camere federali hanno adottato una dichiarazione identica in cui si invita il Consiglio federale a non dare alcun seguito alla sentenza.
A fine agosto è stato poi il turno del Consiglio federale, che a sua volta si è mostrato critico sull’interpretazione estensiva della CEDU. A suo avviso, la Svizzera soddisfa già i requisiti di politica climatica, come dimostra ad esempio la legge sul CO₂: la revisione, approvata a marzo, un mese prima della sentenza (la Corte non ne ha tenuto conto), entrerà in vigore il prossimo mese di gennaio. Oltre a ciò, l’Esecutivo «respinge l’estensione del diritto di ricorso delle associazioni alle questioni climatiche».
E ora? Il consigliere federale Beat Jans, entro sei mesi dalla sentenza, è tenuto a presentare al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (che vigila sull’esecuzione delle stentenze) un rapporto contenente le misure che la Confederazione ha adottato o intende adottare. Il termine scade tra meno di due settimane, il 9 ottobre. Finora, il rapporto del Consiglio federale non è ancora disponibile.
Camere contrarie alla denuncia
In attesa del rapporto, in Parlamento negli scorsi giorni è andato in scena una nuova ampia discussione sui giudici del tribunale di Strasburgo. Entrambe le Camere hanno tuttavia respinto chiaramente la proposta dell’UDC di denunciare la CEDU, così come avvenuto a più riprese già in passato. La Svizzera continuerà a far parte dell’organismo perché è anche nel suo interesse, ma il malcontento continua a regnare.
Al Consiglio degli Stati ha così avuto la strada libera la mozione del «senatore» Caroni, che incarica il Consiglio federale (il testo prima deve però essere approvato anche al Nazionale, ma ha anche la benedizione dell’Esecutivo stesso) di associarsi agli altri Stati per ricordare alla Corte di Strasburgo che «non deve ammettere i ricorsi di associazioni che perseguono scopi ideali, né limitare il legittimo margine di apprezzamento degli Stati interpretando in maniera spropositata i diritti fondamentali».
Protocollo 17
«Io difendo e sostengo la CEDU. Purtroppo, però, ci sono alcuni giudici che pensano di essere al di sopra della Convenzione. Lo chiamano uno “strumento vivo” ed è giusto che sia così, ma sono i Paesi a dover fare evolvere il diritto. Non spetta ai giudici, che ogni volta lo interpretano in modo sempre più creativo. È l’unica maniera per ricordare loro la funzione che occupano, è di riformare il trattato per renderlo ancora più chiaro», afferma Caroni. Per farlo, propone di negoziare un nuovo protocollo (il diciassettesimo, vedi box) che imponga limiti chiari all’istituzione. «È già successo 16 volte e c’è una grande possibilità che venga accolto anche dagli altri Paesi. La difficoltà è che tutti gli Stati contraenti devono essere favorevoli», aggiunge il «senatore» appenzellese, secondo cui già una ventina di Paesi ha preso posizione in forma scritta a sostegno della Svizzera nella causa per il clima.
Perdita di credibilità
La maggioranza (composta dai «senatori» borghesi) è dell’idea che la Corte non debba allontanarsi dal suo compito, ovvero la protezione individuale dei diritti fondamentali. Senza avventurarsi nel cosiddetto «attivismo giudiziario».
Il rischio, dopo le critiche piovute a partire dal 9 aprile e gli accesi dibattiti in Parlamento, è che la Corte EDU perda credibilità. Il campo rosso-verde è dell’idea che l’indipendenza del tribunale - soprattutto in questo periodo, con quanto sta accadendo in Europa e nel mondo - sia messo in pericolo. Caroni respinge le accuse: «È la Corte stessa ad aver perso credibilità a causa del lavoro dei suoi giudici. L’obiettivo, con questa proposta, è di rafforzare il tribunale e garantire il sistema attuale. Ma bisogna assicurarsi che i giudici non lo distruggano».