Dodis

«Vino limpido, non annacquato»

La politica estera del Consiglio federale sotto la lente degli storici: nel 1994 il Governo aveva perso la fiducia da parte della popolazione, ma sull’integrazione all’Unione europea voleva essere trasparente – Sacha Zala: «Bisognava e bisogna trovare un “modus vivendi” con Bruxelles»
Das offizielle Bundesratsfoto 1994 v.l.n.r.: Francois Couchepin, Adolf Ogi, Arnold Koller, Kaspar Villiger, Otto Stich, Jean-Pascal Delamuraz, Flavio Cotti, Ruth Dreifuss. (KEYSTONE/HANDOUT BUNDESKANZLEI/KARL-HEINZ HUG) === HANDOUT, NO SALES, DARF NUR MIT VOLLSTAENDIGER QUELLENANGABE VERWENDET WERDEN ===
Luca Faranda
01.01.2025 23:00

«Il Consiglio federale si è riunito domenica alle 15 all’Hotel du Raisin di Cully per una sorta di conclave di due giorni». Inizia così il protocollo confidenziale sulla riunione a porte chiuse del Governo del 18 e 19 dicembre 1994. Sono passati trent’anni da quel delicato incontro e ora, dal primo gennaio, è scaduto il termine di protezione legale. A rendere noto il documento è il gruppo di ricerca Documenti diplomatici svizzeri (Dodis), che ogni anno analizza centinaia di migliaia di documenti per fornire un quadro della politica estera svizzera del tempo.

Cosa rimane di quel 1994? «Nel dicembre del 1992, il Consiglio federale aveva perso la votazione sull’adesione allo Spazio economico europeo (SEE, con il 50,3% di no, ndr). All’inizio del 1994 è stata approvata, contro il parere del Governo, l’Iniziativa delle Alpi. Ai tempi era molto raro un sì alle urne per un’iniziativa. Poi, a giugno furono rifiutati altri due oggetti raccomandati dal Consiglio federale», ci spiega lo storico Sacha Zala, direttore di Dodis. Il centro di ricerca parte proprio da qui. «C’era una crisi di fiducia, aggravata anche dalle dinamiche interne al gremio e dal ruolo del responsabile delle finanze Otto Stich, che quell’anno era presidente della Confederazione. Era un vero “ministro” del risparmio: il suo dipartimento non è mai stato così aggressivo come nel 1994. Quasi ogni proposta degli altri dipartimenti veniva combattuta». Anche alcune nomine di ambasciatori da parte del «ministro» degli Esteri Flavio Cotti «avevano creato un certo malessere all’interno dell’Esecutivo», nota lo storico.

Lo stratagemma

Per Zala, la serie di no popolari «ha fatto ridurre la velocità al Consiglio federale. Ha agito in modo molto prudente, restringendo così il margine di manovra per trovare soluzioni con l’UE». I sette consiglieri federali hanno preferito creare prima un consenso interno per far passare quelli che poi diventeranno gli Accordi bilaterali I del 1999 (approvati dal popolo nel maggio dell’anno seguente).

Già nel 1994, però, il Governo ha definito il mandato per i negoziati con l’UE: «Ha messo dei paletti stretti, soprattutto in materia di libera circolazione delle persone. Era la questione più difficile da far passare nel Paese. Sapeva che era una questione esplosiva». Allora, l’obiettivo del Consiglio federale, seppur a lungo termine, era infatti ancora quello di aderire all’UE, sottolinea il direttore di Dodis. Ciò è stato usato anche quale stratagemma: nelle discussioni con Bruxelles, la domanda d’adesione all’UE (presentata nel maggio 1992, rivelandosi decisiva nel no allo SEE, ndr) veniva utilizzata come asso nella manica. Per ammorbidire la questione di principio della libera circolazione, i diplomatici argomentavano: “Ora stiamo parlando dei bilaterali, non dell’adesione”», spiega Zala. «Ma era ovvio che dopo il no allo SEE, la domanda d’adesione non era più all’ordine del giorno. È stata utilizzata in modo strategico e si è rivelata una fortuna per le trattative bilaterali».

Blocher e la pressione esterna

Sulla politica estera della Svizzera negli anni 1990, il Consiglio federale aveva però deciso di presentare al Parlamento un rapporto molto diretto. «Era intenzionato a offrire “vino limpido” e non a presentare “roba annacquata e confusionale”. L’adesione all’UE rimaneva un traguardo strategico. Il Governo l’ha voluto ribadire in modo chiaro».

La questione europea, ormai, era sul tavolo. Alle Camere federali, dall’altro lato della barricata, c’era l’UDC di Christoph Blocher. Pure il consigliere nazionale zurighese, seppur contrario, sottolineava quanto il rapporto fosse «chiaro e onesto». «In ogni caso, bisognava trovare un modus vivendi con l’UE. Come è il caso ancora oggi», ricorda Zala. «Anche i più fervidi contrari sanno che in un modo o nell’altro bisogna pur regolare i rapporti con i vicini».

L’approvazione dell’Iniziativa delle Alpi, il 20 febbraio 1994, non ha facilitato il compito. «Dopo l’accettazione dell’iniziativa, l’UE ha deciso di prendersi una “pausa di riflessione”. Ciò ha messo ulteriore pressione sulla Svizzera. Così già nel mese di settembre di quell’anno, il Consiglio federale ha presentato delle soluzioni per implementare l’Iniziativa delle Alpi senza rompere le promesse fatte all’UE in materia di accordi di transito». Ma come si è arrivati ai Bilaterali I?

«Complessità inaudita»

«Queste erano solo le basi. Il resto lo scopriremo analizzando i documenti nei prossimi cinque anni», spiega il direttore di Dodis, ricordando che «il dossier europeo è di una complessità inaudita. Ogni consigliere federale aveva una sua posizione in base agli interessi del proprio dipartimento. Spesso, inoltre, pensiamo all’UE come se fosse una singola unità, ma non lo è in alcun modo. C’erano interessi assai divergenti: da una parte i Paesi industrializzati del Nord, che avevano interesse all’integrazione economica della Svizzera. Dall’altra gli Stati del Sud, per la quale la posizione intransigente di Berna sulla libera circolazione era inaccettabile, così come lo statuto del lavoratore stagionale». Era il 1994. Per l’entrata in vigore dei primi accordi bilaterali, serviranno ancora otto anni.

I segreti del Governo, trent'anni più tardi

Ogni anno, l’Archivio federale svizzero rende accessibili milioni di documenti che si «desecretano» in modo automatico dopo 30 anni (per quelli contenenti dati personali sensibili il periodo di protezione è di 50 anni). Il centro di ricerca indipendente Dodis (Documenti diplomatici svizzeri) durante il 29. anno, analizza migliaia di incarti e pubblica puntualmente il 1. gennaio una selezione di circa 1.700 documenti chiave. A livello mondiale è l’unico gruppo di ricerca in grado di fare ciò in concomitanza con l’apertura degli archivi. Tutti i documenti sono disponibili sul sito ww.dodis.ch.