Accoltellamento alla Manor, il processo finisce con la recita del Corano
È terminato con l’imputata che recitava a spanne in italiano la prima sura del Corano – quella che il suo avvocato Daniele Iuliucci aveva sostenuto neanche sapesse - il dibattimento relativo all’accoltellamento alla Manor di Lugano del 24 novembre 2020: «Scusate, volevo dire questa ultima cosa. Vi ringrazio per questi giorni che sono passati, anche gli avvocati. Mi spiace che è dovuto durare così a lungo ma ora tutto sta nella vostra decisione». Ora bisognerà attendere la sentenza, il 19 settembre, per sapere quel che è successo quel giorno. O meglio, per sapere come la Corte del Tribunale penale federale presieduta dalla giudice Fiorenza Bergomi deciderà di valutare quello che è accaduto. Perché quanto successo è ormai stranoto: una ventinovenne ticinese con un lieve ritardo mentale e turbe psichiche ha accoltellato due persone – una in modo grave al collo – nel grande magazzino usando un coltello da pane preso sul posto. Ma è stato un atto terroristico?
Lo crede l’accusa, che chiede una condanna a 14 anni di carcere per duplice tentato assassinio. Non lo crede la difesa, che chiede 8 anni per duplice tentato omicidio e il proscioglimento dall’accusa di essere una terrorista (tecnicamente: dall’imputazione di infrazione alla Legge federale che vieta i gruppi Al Qaida e Stato Islamico). Entrambi sono concordi - e così due perizie – nel sospendere la pena in favore di un trattamento stazionario in una struttura chiusa. A favore, cioè, del tentativo di curare le turbe psichiche di cui soffre la donna. Il percorso terapeutico si annuncia in ogni caso difficile.
In mattinata è stato tempo di repliche e dupliche, in cui accusa e difesa hanno ribadito le proprie posizioni. La procuratrice pubblica Elisabetta Tizzoni ha affermato che l’imputata «ha agito in modo coerente e senza ombra di dubbio spinta dalla propria convinzione estremista. E ha agito con premeditazione, eseguita nei limiti della capacità dell’imputata». Per contro l’avvocato Iuliucci ha detto che «bisogna saper tirare una linea. Va bene la teoria dei lupi solitari, ma se dopo due anni e mezzo d’inchiesta si trovano solo dei messaggi con un ragazzo siriano che non fa parte dell’Isis forse bisogna rendersi conto che la teoria è sbagliata. È da due anni che l’accusa conferma la malattia all’imputata. Ma bisognava mostrarle umanità e dirle che non è jihadista. Ora ci manca solo che venga condannata per terrorismo e che le venga dato il passaporto ufficiale da jihadista. Poi non la recuperiamo più».
Iuliucci stamattina ha fatto capo anche al suo vissuto per descrivere le problematiche mentali della sua assistita, dicendo di conoscere bene la situazione in quanto una persona a lui vicina soffre da tempo degli stessi disturbi: «Queste persone si convincono di qualsiasi cosa, ma non vuol dire che le loro reazioni siano reali. La mia assistita ha avuto l’enorme sfortuna che la malattia le ha suggerito che doveva uccidere per l’Isis».
Per l’accusa, invece il fatto che la donna fosse «ossessionata a non passare per pazza dimostra che così pazza non è, perché capisce che ha delle psicosi. Anche se parzialmente era in grado di capire l’atrocità dell’atto perpetrato».