Truffa del vino

Barbera spacciato per Sassicaia: a processo in Italia e a Lugano

Nella Penisola è indagata una ventina di persone, mentre nel nostro cantone la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha rinviato a giudizio a fine 2021 cinque persone di fronte a una Corte delle assise criminali e una sesta alle Correzionali – Sequestrate migliaia di bottiglie in Svizzera
© CdT/Gabriele Putzu
Federico Storni
21.01.2023 06:00

I primi arresti, nel 2018, erano avvenuti in Ticino. Ma il fulcro dell’operazione era nell’Astigiano, dove ora risulta coinvolta una ventina di persone. Parliamo della falsificazione di decine - forse centinaia - di migliaia di bottiglie di Barbera «camuffato» da vino pregiato proveniente da grandi cantine italiane (Gaja, Marchesi Antinori, Tenute San Guido, Ornellaia e Massetto) e venduto in Svizzera e in Germania sull’arco di almeno due anni (2016-2018) anche tramite la grande distribuzione. In altre parole, vino dozzinale spacciato per Sassicaia o per altre bottiglie di un certo peso, anche sul portafogli (dai cento franchi in su). La vicenda è nota ma torniamo a parlarne in quanto in Italia ha preso avvio negli scorsi giorni il processo (subito aggiornato a metà febbraio) ed è probabile che nei prossimi mesi anche il filone ticinese - che vede coinvolte a vario titolo sei persone - finirà di fronte a un giudice. I rinvii a giudizio della procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti risalgono infatti a fine 2021.

Numeri impressionanti

Al centro della vicenda vi è un produttore vinicolo 43.enne, proprietario di una storica azienda dell’astigiano, che avrebbe funto da base per le contraffazioni. I grandi vini italiani erano «ricreati» con uve comperate da coltivatori del sud Italia (ma anche piemontesi) a cui erano poi aggiunti aromi, coloranti e sciroppi. Le bottiglie venivano ovviamente pure contraffatte: in Italia nel 2020 erano state sequestrate durante le perquisizioni una ventina di cliché per la stampa di etichette, 15.000 bottiglie di vino contraffatto, 10.600 etichette singole, 8.393 contrassegni di stato per vini DOC e DOCG, e 165.000 capsule di chiusura con i loghi delle aziende contraffatti. A processo con il produttore vi sono altre diciotto persone, fra cui alcuni collaboratori dell’azienda, nonché coltivatori e commercianti di vino. Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, quelle di associazione per delinquere, frode in commercio, false fatturazioni e autoriciclaggio.

Il filone ticinese

Oltre a ciò, come accennato in entrata, vi è il filone ticinese. L’ultima volta che ne avevamo riferito (vedi suggeriti) l’inchiesta era agli sgoccioli, e infatti stando a nostre verifiche la procuratrice Rigamonti ha ormai da tempo firmato il rinvio a giudizio per le sei persone coinvolte. I relativi processi non si sono però ancora svolti: spetta al Tribunale penale cantonale agendarli (a nostra conoscenza, la data non è ancora stata comunicata). Stando a quanto abbiamo potuto appurare, cinque persone - coinvolte nella vicenda con ruoli differenti - sono state rinviate a giudizio di fronte a una Corte delle assise criminali (per almeno uno di loro, dunque, la pp prospetta una pena superiore ai due anni). Una sesta persona comparirà invece di fronte a una Corte delle assise correzionali nella forma del rito abbreviato.

In passato alcuni degli imputati hanno negato gli addebiti, affermando di essere stati truffati a loro volta, essendo all’oscuro di stare muovendo del vino contraffatto. Le rispettive posizioni emergeranno in ogni caso quando si approderà in aula.

C’è chi li avrà ancora in cantina

Se i sequestri di bottiglie contraffatte e dell’armamentario necessario a falsificare le etichette in Italia è stato ingente, lo stesso si può dire dell’inchiesta ticinese. Anche il Ministero pubblico ha infatti sequestrato alcune migliaia di bottiglie contraffatte sul nostro territorio. Stando alla stampa italiana, sarebbero almeno 54.000 le bottiglie che il presunto sodalizio criminale ha provato a vendere in Svizzera. In particolare le due prime persone arrestate in Ticino nel giugno del 2018 (un allora 63.enne e un allora 59.enne), stando a quanto comunicato allora dalla Magistratura, avrebbero «messo in commercio attraverso varie società del vino comune etichettato come vino di alta qualità e venduto a piccoli punti vendita, grandi catene commerciali e prestigiose enoteche».

Data l’ampiezza dell’operazione è dunque probabile che in più di una cantina ticinese riposi ancora qualche bottiglia contraffatta, all’insaputa dei proprietari (a tal proposito: una perizia in Italia ha escluso rischi per la salute). D’altronde, a dare il là all’inchiesta ticinese sarebbe stato proprio un cliente che, insospettitosi dal sapore, avrebbe riportato una bottiglia pregiata al rivenditore da cui l’aveva comprata. Quest’ultimo avrebbe poi denunciato l’accaduto in Magistratura.

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