Ticino

Centro di stoccaggio alla Fela: «Puntiamo a tenere il latte qui»

Si delineano i contorni del progetto con cui la Federazione dei produttori ticinesi intende far fronte alla chiusura della LATI - Il punto di raccolta dovrebbe sorgere a Cadenazzo ed essere operativo dal 2025 - A lungo termine l’intera trasformazione potrebbe restare in loco
©Ti-Press / Benedetto Galli

Qualche giorno dopo l’ufficializzazione della chiusura della LATI di Sant’Antonino, per il settore lattiero-caseario è partita una corsa contro il tempo. «Ci sono almeno due priorità», racconta Andrea Bizzozero, vicepresidente della Federazione ticinese produttori di latte. «In primo luogo, dobbiamo risolvere il problema del trasporto di latte oltre San Gottardo. In seconda battuta, serve trovare un nuovo centro di stoccaggio». Finora, infatti, i produttori di latte ticinesi sapevano che ogni due giorni sarebbe partito un camion pieno per la Svizzera interna, mentre il quantitativo rimanente restava in LATI. E ora? «Ora dovremo cercare di sfruttare i mesi che ci restano per riorganizzarci», spiega Bizzozero. Oggi, su un totale di circa 6 milioni di litri di latte ticinese, una metà viene trasferita nella Svizzera centrale, mentre l’altra metà viene lavorata dalla LATI. Con la chiusura dell’azienda di Sant’Antonino, rimane un grosso interrogativo: che ne sarà di questi 3 milioni di litri di latte? Una parte - circa 1,6 milioni di litri - verrà riassorbita dal Caseificio del Gottardo, che rileverà la produzione dei formaggi semiduri. «L’incognita riguarda gli altri 1,4 milioni di litri. Una produzione che speriamo possa rimanere in Ticino», dice Bizzozero. «Spostare in Svizzera interna 3 milioni di litri per poi farli rientrare in Ticino non ha senso. Per questa ragione abbiamo preso contatto con il Cantone». L’idea, infatti, sarebbe quella di avviare un progetto per dotarsi di un nuovo centro di stoccaggio che possa in futuro anche occuparsi del latte pastorizzato. Un progetto ambizioso, e anche oneroso, ma secondo la Federazione fattibile. «Certo, è necessario uno studio preciso, ma in due o tre anni potremmo riuscirci», evidenzia Bizzozero.

L’idea per la logistica

Discorso diverso, e più urgente, quello del centro di stoccaggio. Come detto, finora se ne occupava la LATI, ma una soluzione alternativa ci sarebbe già. «Una delle opzioni sarebbe quella di utilizzare un centro della nostra federazione, la Fela di Cadenazzo. Potremmo trasferire qui una parte dell’attrezzatura della LATI, sfruttando il fatto che il centro si trova già in una zona industriale». L’idea sarebbe di rendere operativa la nuova struttura all’inizio del 2025. «Dovremmo riuscire a organizzarci in tempo, anche perché per i primi sei mesi del 2024 ci sarà ancora la LATI e, nei mesi successivi, nella peggiore delle ipotesi manderemo i camion in Svizzera interna. La Cooperativa dei produttori di latte della Svizzera centrale (ZMP) ci ha infatti assicurato che non un solo litro del nostro latte rimarrà invenduto». Il punto, semmai, è evitare di perderci troppi soldi. «Un camion di circa 24 mila litri ci costa mille franchi a viaggio. Una cifra considerevole, soprattutto considerando che un’azienda della Svizzera interna ne spende meno della metà». Nel periodo estivo, poi, il problema diventa ancora più marcato: «Visto che la gran parte delle mucche è in alpeggio, il latte scarseggia. Per contro, nonostante la domanda aumenti, i prezzi non crescono di pari passo. In un contesto simile è chiaro che spedire in Svizzera interna camion semi-vuoti sarebbe un suicidio». In quest’ottica, spiega quindi Bizzozero, è urgente trovare un aiuto per i trasporti. «Speriamo che il Cantone possa rispondere positivamente al nostro appello e venirci incontro». Già cinque anni fa, ricorda, di fronte alle difficoltà della LATI, il Cantone aveva già dato una mano al settore caseario. «Oggi chiediamo un altro aiuto, provvisorio, in attesa di trovare una soluzione sul lungo termine». Un punto su cui insiste anche Omar Pedrini, presidente dell’Unione dei contadini: «Non siamo mai felici di chiedere sostegni economici al Cantone, ma, vista la situazione, credo sia giustificato per tamponare l’emergenza». L’UCT, evidenzia Pedrini, «è pronta a supportare la Federazione dei produttori di latte, ma in questo momento è importante evitare che vi siano troppe iniziative solitarie che vadano a compromettere l’interesse generale». Non solo. «Dobbiamo scongiurare un travaso dalla produzione di latte verso altri rami già poco stabili: se tutti virassero dal latte alla produzione di carne, ci troveremmo con un problema ancora maggiore».

Si pensa ai prossimi anni

Per il futuro, il sogno della Federazione è di riuscire a trattenere l’intera produzione di latte entro i confini cantonali. «Nei prossimi tre anni il nostro obiettivo è far sì che tutto il latte ticinese resti qui. Ma non è semplice». Il problema maggiore sono i costi legati ai tempi di conservazione del prodotto: «Un piccolo caseificio può sì produrre i formaggi freschi, ma sono a uso istantaneo. Ciò significa che devono essere venduti e consumati in breve tempo. Al contrario, i prodotti destinati alla grande distribuzione devono avere una conservabilità molto più lunga». E qui sta il nocciolo della questione: «Per i piccoli caseifici è più semplice e meno oneroso produrre i formaggi a pasta semidura. Per i prodotti freschi, invece, servirebbero altri macchinari e i costi non sarebbero sostenibili». Discorso ancora diverso per il latte pastorizzato. «L’ipotesi sarebbe di costruire un centro che ci consenta di produrre il latte pastorizzato in cartone. Il guadagno non sarebbe esorbitante, ma perlomeno ci consentirebbe di evitare i continui spostamenti del latte dalla Svizzera interna al Ticino». Insomma, di fronte alla chiusura della LATI la Federazione non intende stare a guardare, e pensa già al domani. Anche perché, rileva Pedrini, «nell’intero settore la situazione era già complicata, anche senza considerare la chiusura della LATI». In questo senso, secondo il presidente dell’UCT, «bisognerebbe anche iniziare a riconoscere un certo valore alla produzione lattiero-casearia, chiamando in causa non solo la politica cantonale, ma anche quella federale».

«Non vorrei che a farsi la forca siano gli allevatori ticinesi»

«Purtroppo sulle mucche non c’è l’interruttore, non possiamo metterle in pausa. La produzione è giornaliera e il latte deperisce piuttosto rapidamente». La famiglia Antonioli, proprietaria della Masseria al Ronco di Novaggio, non nasconde la sua preoccupazione. «Oggi abbiamo 30 mucche da latte, ma abbiamo appena costruito una stalla per 70 capi». Un investimento ingente che, alla luce della chiusura della LATI, non può che sollevare qualche timore. «Al momento ci è stato garantito che il latte verrà ritirato comunque». L’azienda malcantonese - una delle poche realtà che in Ticino riforniva, dodici mesi all’anno, la LATI - produce circa 850 litri di latte al giorno. Lo sfogo di Jean-claude Antonioli, però, va oltre: «Negli ultimi quattro anni ai produttori ticinesi è stato chiesto uno sforzo sul prezzo del latte; abbiamo stretto i denti, ma gli sforzi sono stati vani». In Ticino oggi il prezzo del latte si aggira attorno a 55 centesimi al litro, contro i 65-75 centesimi pagati in Svizzera interna. «Se ora aggiungiamo anche il costo di trasporto oltre San Gottardo, per i produttori ticinesi diventa economicamente insostenibile». Quali soluzioni dunque si offrono al settore? «Effettivamente, la più semplice, al momento, è che il latte vada in Svizzera tedesca, anche perché trovare un’alternativa alla LATI in poco tempo è praticamente impossibile. In futuro, si vedrà. Ma è chiaro che senza il sostegno della grande distribuzione non sarà possibile distribuire il prodotto trasformato in Ticino», avverte ancora Antonioli.

Differenze regionali

«Certo che sono preoccupato», gli fa eco Angelo Lucchini, un piccolo produttore con azienda a Muzzano. «Abbiamo già il prezzo del latte più basso della Svizzera. Ora si vuole costruire un centro di raccolta. Alla fine, però, qualcuno i costi li dovrà pur pagare e solitamente li paga chi sta ai piedi della scala». Il problema comunque c’è per tutti, prosegue Lucchini: «Un tempo la LATI forniva alla grande distribuzione il latte da bere; ora invece lo fanno arrivare dalla Svizzera interna dove hanno le loro latterie».

Guardano al futuro, Lucchini non nasconde i timori legati a una pericolosa corsa al ribasso del prezzo del latte ticinese. «Dobbiamo rimanere calmi, ma i timori che alla fine siano i produttori stessi a farsi la forca sono reali. Oltre una certa soglia però non possiamo andare». Particolarmente svantaggiati, prosegue Lucchini, sono i produttori del Sottoceneri che devono sostenere i costi di trasporto maggiori. «Al momento la ZMP, la Cooperativa dei produttori di latte della Svizzera centrale, ha garantito che avrebbe ritirato tutto il latte. Ma a quale prezzo e a quali condizioni?».

«Il trasporto del latte oltregottardo potrebbe costare fino a 15 centesimi al litro», commenta dal canto suo il deputato del Centro Giovanni Berardi, autore negli scorsi giorni di un’interpellanza sul tema: «Già oggi l’equilibrio economico di molte aziende lattiere è delicato, la scomparsa di LATI fragilizza ancora di più la filiera». L’ipotesi che alcuni produttori debbano abbandonare l’attività, secondo Berardi, va presa in seria considerazione. «Nel peggiore dei casi possiamo immaginare anche dei fallimenti». Di qui la richiesta del deputato: «Il Cantone è intenzionato a mettere in atto misure di sostegno per non far crollare il settore dell’allevamento da latte in Ticino?». Berardi ipotizza un sostegno economico temporaneo per il trasporto oltregottardo del latte.

Correlati