Pretura penale

Condannata per aver diffamato Claudio Zali

Pena pecuniaria sospesa per una donna accusata di aver leso l’immagine del direttore del DT – Caduta l'imputazione di ingiuria
© CdT/Gabriele Putzu
Nico Nonella
08.04.2025 15:24

«Il fil rouge che lega tutte le imputazioni è il senso di rivalsa verso un uomo che non la considera più». È con queste parole che la giudice della Pretura penale, Elettra Orsetta Bernasconi Matti, ha condannato per diffamazione una ticinese sulla cinquantina, comparsa alla sbarra lo scorso lo scorso 27 marzo con l’accusa di aver leso nell’onore il consigliere di Stato Claudio Zali (con cui avrebbe avuto una relazione dal 2014 al 2023) e la sua ex compagna.

Stando all’atto di accusa stilato dal procuratore generale Andrea Pagani, nel settembre del 2023 l’imputata – accusata di ripetuta diffamazione e ingiuria – aveva pubblicato sui social il contenuto di una vecchia denuncia, da lei sporta nel 2017 nei confronti del direttore del DT e poi ritirata, affermando che anche un’altra donna avrebbe fatto lo stesso. Inoltre, aveva inviato per mail ad alcuni funzionari cantonali dei post sopra le righe pubblicati da un’altra donna, accusata a sua volta di stalking nei confronti del consigliere di Stato. Messaggi che prendevano di mira anche l’ex compagna del ministro, anche lei costituitasi accusatrice privata.

Ebbene, la cinquantenne – dispensata dal presenziare per la lettura della sentenza e rappresentata dalla Mlaw Danijela Tipura – è stata prosciolta dall’accusa di ingiuria (in relazione a uno di questi invii) in quanto la Corte ha concluso che non vi fosse l’intenzione di offendere l’altra donna. Diverso il discorso per l’altro capo d’imputazione (quattro gli episodi contestati: due invii per mail e due post su Facebook e Twitter. «È stato uno sfogo», si era difesa in aula la donna. Per la giudice non vi era alcun interesse pubblico nel parlare sui social delle denunce: «Non ci sono sentenze di condanna nei confronti di Zali».

Per concludere, la colpa dell’imputata – ha affermato la giudice nel motivare la sentenza – «non può essere ritenuta lieve». In questa vicenda emerge sì «la sua paura di perdere l’uomo che amava», ma «ha agito con spregiudicatezza per fini egoistici e vendicativi». Di qui la conferma della condanna proposta dall’accusa, ossia una pena pecuniaria sospesa di 900 franchi come pure una multa, ridotta da 200 a 180 franchi. Non è escluso che l’imputata ricorrerà in Appello.

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