Cure a domicilio sotto pressione: «Non c'è controllo sul sistema»
Che il tema delle cure a domicilio fosse delicato era noto. È un ambiente affollato e difficile, in cui ci si punta il dito a vicenda tentando di addossare responsabilità per provare a spiegare la complicata situazione in cui versa il settore: il pubblico che dà colpe al privato e agli infermieri indipendenti; il privato che accusa il pubblico e gli indipendenti; gli indipendenti che attribuiscono colpe al privato e al pubblico. Insomma, è un mare ostico in cui navigare. Dopo il nostro articolo dedicato alle preoccupazioni e ai malcontenti generali degli spitex (vedi CdT del 20 ottobre, ndr), ora è il turno degli infermieri indipendenti. Ma dopo aver contattato la sezione ticinese dell’Associazione svizzera infermieri (ASI), ci siamo resi conto che tutti i reclami sollevati dagli attori che esercitano sul territorio convergono in un’unica direzione: manca un controllo strutturale del sistema. Quindi sì, in Ticino è cresciuto in modo esponenziale il numero d’infermieri indipendenti e di spitex privati negli ultimi anni, ma non sono cresciute in modo altrettanto esponenziale le strategie e gli organi preposti al controllo.
Un travaso che preoccupa
Alcune preoccupazioni sollevate dagli operatori pubblici e privati riguardano il triplicarsi del numero di infermieri indipendenti e il «fuggi fuggi» degli stessi dall’Ente ospedaliero, dalle cliniche private e dalle case anziani, ma anche dagli spitex pubblici e privati, per mettersi in proprio. Timori, questi, condivisi anche dall’ASI che ha già sollecitato più volte i funzionari cantonali. «Sono grosse preoccupazioni che ci stanno impegnando negli ultimi tempi, e riscontriamo anche noi queste problematiche – rileva Lilia Nodari Cereda, membro del comitato ASI e responsabile dello sportello infermieri indipendenti –. Bisogna sì interrogarsi sul perché ci siano così tanti infermieri indipendenti e perché si stia verificando questo travaso dalle istituzioni sanitarie verso l’assistenza domiciliare, ma è necessario tenere a mente anche il tasso d’occupazione. Una buona parte lavora ad un’alta percentuale, mentre molti a una percentuale ridotta, magari anche solo 10-20% accanto a un 60-80% in una istituzione». Ma al netto di tutto, quali sono le motivazioni alla base della fuga di giovani e meno giovani infermieri verso l’indipendenza? Una possibile chiave di lettura ce la fornisce il vicepresidente dell’ASI, nonché docente della SUPSI, Mariano Cavolo. «Questo fuggi fuggi dalle strutture sanitarie crea mancanza di personale, ed è un grosso problema, perché questi effettivi devono essere sostituiti e il know-how e le competenze non sono facilmente rimpiazzabili in breve tempo. Ma la partenza a cosa è dovuta? Può essere in qualche modo collegata alle condizioni di lavoro? Alla coda lunga della pandemia? Oppure alla gestione del personale, nel senso che mancano competenze a chi dirige queste strutture e un dipendente mal gestito è un dipendente che se ne va? Sono parecchie le evidenze che attestano come al centro della gestione delle risorse umane debba esserci il collaboratore. Se questi non si sente riconosciuto, valorizzato e correttamente retribuito, se ne va. Inoltre, c’è un grosso problema poco dibattuto, ed è quello generazionale. Oggi è il giovane, con valori culturali molto indipendentisti, che sceglie dove andare a lavorare e se non trova delle condizioni ottimali non rimane».
Il paziente può controllare
Un’altra tematica che ha scaldato (e non poco) gli animi è quella delle fatture arrotondate per eccesso. Già, perché l’agire poco lodevole di alcuni sta screditando, agli occhi dei più, l’intera categoria degli infermieri indipendenti. Sul discorso delle ore di lavoro fatturate alla LAMal, è bene ricordare che non è il paziente che paga la prestazione, bensì la cassa malati dietro fattura dell’infermiere, che prevede una retribuzione per la tipologia di ore che vengono esercitate. E su questo, delle segnalazioni sono giunte anche all’orecchio dell’ASI. Tuttavia, l’associazione tiene a precisare che tale comportamento non è la regola. «Dal primo gennaio di quest’anno ogni infermiere e servizio domiciliare è obbligato a fornire al paziente la copia della fattura. Quindi lo stesso paziente (oppure il tutore) ha la possibilità di visionare la fattura e controllare se l’infermiere marca più ore di quante effettivamente ne fa. Uno dei problemi principali è anche questo: c’è poco controllo da parte di chi riceve le cure. Ma abbiamo a che fare con una fascia della popolazione debole e c’è il rischio che dopo una denuncia l’infermiere non torni più», racconta Nodari Cereda.
A tal proposito le fa eco Luzia Mariani-Abächerli, presidente dell’ASI sezione Ticino, spiegando che «il problema non è tanto la fattura, piuttosto il mancato controllo di essa. Abbiamo scritto una lettera all’Ufficio anziani e cure a domicilio ad aprile in cui facevamo riferimento a tutta una serie di elementi che a nostro avviso erano perfettibili. Ci hanno risposto ad agosto. Questi sono i tempi con cui reagisce chi è deputato al controllo, intanto gli infermieri indipendenti sono saliti a 518». I punti sollevati dall’ASI nello scritto riguardano la modalità di controllo delle cure, il consolidamento delle competenze acquisite durante la formazione, passando da due a cinque anni del periodo di pratica professionale, e la possibilità di trovare una modalità uniforme per eseguire maggiori controlli a cui dovrebbero sottostare tutti gli operatori attivi in Ticino.
«Che la politica decida»
Come visto, il problema che accomuna tutti gli operatori del settore è il controllo e la gestione del sistema. Carenti, a detta dei più. «C’è immobilismo politico in Ticino, la gestione del bisogno pubblico è ferma a minimo vent’anni fa. Sono controllati solo gli infermieri indipendenti che hanno un contratto con il Cantone (secondo i dati forniteci dall’Ufficio anziani e cure a domicilio, attualmente nel nostro cantone sono 277 gli infermieri indipendenti con un contratto di prestazione, ndr) – affermano –. Una parte di questo controllo è compito delle casse malati, ma è limitato, perché avrebbero più spese a controllarci che a pagarci. Le soluzioni per normalizzare la situazione ci sono, ma è necessario che la politica e lo Stato si assumano la responsabilità di decidere, una volta per tutte».
I Comuni polo si mobilitano
l motivo che ha spinto Chiasso, Mendrisio, Lugano, Bellinzona e Locarno a scrivere al direttore del DSS, Raffaele De Rosa, è una circolare che la Conferenza degli spitex pubblici ha inviato a settembre ai Municipi ed Enti regionali di sviluppo, al Consiglio di Stato e all’Associazione dei Comuni ticinesi. Il documento metteva l’accento sulle implicazioni della Riforma Ticino 2020 con «preoccupanti ricadute sulle finanze comunali». I cinque Esecutivi auspicavano dunque misure per «migliorare la gestione dell’attività, il controllo dell’offerta e dei costi generati».