Assise correzionali

Da presunta vittima di stupro a imputata

Assolta dall’accusa di denuncia mendace la donna che aveva affermato di essere stata violentata da un conoscente – L’accusa ha chiesto un anno sospeso – Dopo la condanna di primo grado, l’uomo era stato prosciolto in Appello
© CdT/Gabriele Putzu
Nico Nonella
28.02.2025 13:29

Quando ha denunciato il (presunto) stupro, lo ha fatto in buona fede. Soggettivamente, ha vissuto quanto accaduto quella sera di fine maggio di sette anni fa come coercitivo. È con questa motivazione che il giudice Amos Pagnamenta ha assolto l’imputata – comparsa, fatto insolito, davanti a una Corte delle assise correzionali – dall’accusa di denuncia mendace. «Da sempre le autorità invitano le donne vittime di stupro a denunciare. Far passare il fatto che se le accuse non possono essere provate in sede giudiziaria si rischia una denuncia, «significa fare notevoli passi indietro».

Nel caso in questione, gli abusi erano stati accertati dalla Corte di primo grado (le Assise criminali), ma non dalla Corte di appello e revisione penale. La vicenda risale a maggio del 2018: siamo in un cantiere di Canobbio e la (presunta) vittima, sostiene di essere stata violentata dall’uomo con cui aveva una tormenta relazione, sia affettiva che professionale. In primo grado, l’11 maggio 2021, la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani condanna l’imputato, un cittadino italiano allora 56.enne, a tre anni di carcere, di cui uno da scontare, ed espulso. Convinta della sua colpevolezza è la procuratrice Valentina Tuoni, che chiede cinque anni di detenzione. Il 13 luglio di due anni fa, la CARP ribalta tutto, ritenendo la vittima, pure lei cittadina italiana sulla sessantina, non credibile. In sostanza, avrebbe agito spinta unicamente dalla vendetta nei confronti dell’uomo con cui aveva un rapporto travagliato.

Di qui l’apertura di un procedimento penale, coordinato dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, per denuncia mendace nei confronti della donna, difesa dall’avvocato Sandra Xavier. Il procedimento penale, fatto più unico che raro, sfocia in un atto di accusa e approda davanti una Corte correzionale: di solito casi del genere sono giudicati da una Pretura penale in caso di opposizione decreti di accusa. In aula, è Emerso questa mattina, si è giunti poiché il procuratore generale Andrea Pagani ha ritenuto appropriato che fossero le Correzionali a giudicare l’agire dell’imputata (non presente al dibattimento per motivi di salute): «Ha messo in pericolo il buon funzionamento della Giustizia, avviando un’inchiesta durata due anni, cui si sommano i processi di primo e secondo grado e 89 giorni di ingiusta carcerazione ai danni dell'allora imputato. In totale, cinque anni buttati». Nella sua requisitoria, la magistrata ha chiesto una pena di dodici mesi sospesi: «L’imputata ha dimostrato animosità verso l’uomo, voleva vendicarsi di lui», ha argomentato, citando la sentenza di Appello. Di «gravità inaudita ha parlato la patrocinatrice dell’uomo, l’avvocato Claudia Solcà. «L’imputata ha sfruttato la comprensione che le autorità hanno verso le vittime di reati sessuali, soprattutto in un periodo sensibile come quello del movimento MeToo».

«La mia cliente ha agito in buona fede: ha denunciato perché davvero riteneva che quanto successo quella sera non fosse giusto», ha di contro argomentato Xavier nel chiedere il proscioglimento dell'imputata. «La verità giuridica non sempre corrisponde alla verità fattuale e anche se la sentenza della CARP è cresciuta in giudicato, la mia assistita continua a sentire il peso e il dolore per aver subito un abuso. Già per una donna è difficile denunciare una violenza; sapere che in caso di mancata condanna c’è il rischio di essere denunciate a loro volta è spaventoso».

Tesi sposata anche dalla Corte. Nel leggere la sentenza, Pagnamenta ha fatto notare che sebbene l’elemento oggettivo del reato fosse dato (l'uomo è stato denunciato per un fatto risultato non essere stato commesso), altrettanto non si può dire di quello soggettivo: «L’imputata era stata creduta dalla procuratrice (Tuoni, ndr), dalla giudice dei provvedimenti coercitivi e dalla corte di primo grado. Ha agito in buona fede».

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