Donald Trump e un mondo sempre più disunito: «Reagire al caos di informazioni per orientarsi nell’incertezza»

Dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, il mondo si è ritrovato ancora più disunito e confuso. Un mondo già reso fragile dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Con Paolo Magri, docente di Relazioni internazionali all’Università Bocconi e guida dell’ISPI, ospite questa sera a Lugano di Banca Generali, proviamo a mettere ordine tra tutti i temi del momento, chiamando in causa anche i media, costretti a gestire un muro di comunicazioni istituzionali, spesso strumentali.
Professor Magri, la serata che la vedrà protagonista ha un titolo eloquente: «La nuova incertezza globale». Ma dove nasce davvero questa «nuova incertezza»? C’è un punto di “rottura” a cui risalire?
«Di sicuro l’incertezza in cui siamo immersi non è il prodotto del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Già prima del suo insediamento, infatti, sapevamo che il 2025 sarebbe stato l’anno delle verità con cui saremmo stati chiamati a fare i conti. Le divisioni interne all’Europa e l’ascesa dei movimenti euroscettici, la competizione con la Cina e due guerre, quella in Medio Oriente e in Ucraina, ci avevano proiettato in un’era di disordine internazionale. Ma l’elemento Trump ha impresso un’accelerazione su tutto e la sua imprevedibilità moltiplica l’incertezza, mettendo tutti con le spalle al muro».
In questo senso, dalla guerra in Ucraina in avanti, mi sembra che continuiamo a guardarci indietro, alle cause di ogni cosa, di ogni conflitto. Ci sono vari conflitti aperti, a volte correlati. Come si esce da una policrisi come questa?
«I conflitti in corso hanno origini e sviluppi differenti. In Medio Oriente l’attacco di Hamas ha riacceso lo scontro tra israeliani e palestinesi che ora rischia di infiammare l’intera regione. Ma quella guerra affonda le sue radici in uno status quo che non era più sostenibile per nessuno. Per l’Ucraina è diverso: comunque vadano a finire le cose, la decisione di Vladimir Putin di invadere, pensando di far capitolare Kiev nel giro di tre giorni, resterà negli annali come uno dei più gravi errori di strategia militare della storia recente. Tanto è stata improvvida la sua scommessa quanto sarà difficile uscirne, per tutti.
Nel 2017 scrisse “Il mondo secondo Trump”. Ora siamo a un secondo mandato, e il libro torna d’attualità. Che cos’è, oggi, il mondo secondo Trump? E come è cambiato rispetto al 2017?
«In otto anni il mondo è cambiato. Ed è cambiato Donald Trump. Nel 2016 l’Europa era ancora sotto shock per Brexit e nessuno aveva mai accusato Pechino di violare le regole del Wto. E la Russia di Vladimir Putin era stata esclusa dal G8 in seguito all’annessione della Crimea ma era ancora considerata un Paese con cui potersi confrontare. Oggi, mentre l’ordine internazionale sembra sbriciolarsi sotto i nostri occhi, stiamo entrando in un nuovo panorama politico, in cui le autocrazie sembrano avere sistemi di governance più efficaci di quelli delle democrazie, in costante affanno. E Tump è tornato con un mandato più forte, al Congresso e nel partito Repubblicano, e più esperienza della prima volta».
L’impressione è che gli faccia comodo questa insicurezza, l’incertezza di cui sopra. Sembra quasi modellarla. È così?
«Sì, è vero che Trump sembra essere tanto più a suo agio quanto più i suoi interlocutori sono spiazzati. Così nel tentativo di dare forma al caos c’è chi ha scomodato Machiavelli e persino Sun Tzu… Per spiegare il suo comportamento sull’Ucraina, ad esempio, alcuni hanno teorizzato una strategia “Nixon al contrario” in cui gli Stati Uniti mirerebbero a svincolare la Russia dall’abbraccio con la Cina. Per molti, sospetto che sia un meccanismo di difesa emotivo. In tempi sempre più spaventosi, è confortante credere che ci sia un piano segreto all’opera, anche se è un piano sgradevole».
Uno dei ritornelli di questo periodo è quello secondo cui la peggiore malattia per l’economia è proprio l’incertezza. Domanda diretta: chi può guadagnarci e chi ci perde?
«Beh, di certo qualcuno dalle montagne russe a cui abbiamo assistito sui listini in questi giorni ha guadagnato. E in un mondo normale ci dovrebbero essere delle inchieste, che infatti in molti stanno chiedendo, mi pare, in queste ore. Ma al netto delle speculazioni quel che è certo è che una grandissima quantità di persone ha perso e che le ipotesi di recessione, la perdurante incertezza e la sfiducia che grava sulle relazioni commerciali degli Stati Uniti non renderanno facile la vita agli investitori».


In tutti i casi, non ricordo una presenza (ma anche un’influenza) più ingombrante di quella di Trump sul mondo tutto. Quali sono gli antidoti? Dobbiamo aspettarci quattro (o più) anni così?
«Intanto chiariamo che un terzo mandato non è previsto, a meno che Trump non escogiti qualcosa che gli consenta di aggirare la Costituzione secondo cui nessuno può essere eletto per la carica di presidente per più di due volte. Il prossimo appuntamento a cui puntare sono le elezioni di metà mandato, che si terranno tra un anno e mezzo, a novembre 2026. I repubblicani potrebbero perdere la fragile maggioranza che hanno alla Camera, e la loro presa sul Congresso sarebbe più debole. Anche il quel caso però non è detto che basti ad arginare Trump se quel sistema di “pesi e contrappesi” che attualmente sembra in profonda difficoltà, non si attiverà».
Detto di Trump, il mondo - come detto - già non era in grande salute prima del suo arrivo. L’Europa non sembra averlo colto del tutto, non per tempo. Come giudica la sua reazione ai fatti degli ultimi anni, dell’ultimo lustro diciamo, fino a quella sui dazi?
«Per l’Unione che, ricordiamo è un progetto unico nel suo genere, è strutturalmente e istituzionalmente più difficile rispondere ai cambiamenti. Questo spiega perché dopo il primo mandato Trump, i numerosi segnali di rottura e le crepe che aveva evidenziato non si siano tradotti in un cambiamento. Abbiamo pensato che quella di Trump fosse stata una parentesi di caos e turbolenze. Abbiamo scoperto che forse la parentesi, rassicurante, era stata quella di Joe Biden. Oggi abbiamo di certo maggiore consapevolezza dell’urgenza di un cambiamento e - grazie ai rapporti Draghi, Letta e Giovannini - la strada da percorrere è chiara: bisogna passare dalle parole ai fatti e non solo sulla difesa, ma cominciando a ragionare con un’unica testa e anche a finanziare i nostri investimenti senza rischiare una crisi del debito tra qualche anno».
Un’ultima domanda. Lei è un esperto di comunicazione, di comunicazione politica. In questi mesi ci sentiamo bombardati dalle comunicazioni politiche. L’amministrazione Trump è un fiume in piena, via social, via consulenti, comunicatori, vertici spettacolarizzati. Un caos che non contribuisce a mettere ordine. Ma che cosa ci dice della comunicazione oggi, di come si sta trasformando e di come viene utilizzata? Di come vengono utilizzati i media, anche, e del loro ruolo?
«Trump concepisce i giornali e i media in generale come dei nemici. Non è un caso se ha vietato l’accesso alla Casa Bianca ad alcune testate e che la sua amministrazione cerchi di esercitare un controllo stringente sui giornalisti che possono intervistarlo. È ormai celebre la frase che Steve Bannon, ex guru di Trump e ora direttore dei media MAGA, ha detto in proposito: “La vera opposizione sono i media. E il modo per affrontarli è inondare la zona”, ovvero sopraffare il meccanismo dell’informazione “vecchio stile”, che procede un passo alla volta, non riesce a stare dietro agli annunci alla bulimia di annunci e continui cambi di direzione. Provare a reagire, per la stampa come per noi che osserviamo le trasformazioni in atto non solo è necessario, ma è l’unico modo per orientarsi dentro l’incertezza».