L’analisi

Emanuele Stauffer: «Banche, fate i conti con il passato»

Il caso PKB segna una svolta nell’approccio italiano nei confronti degli istituti elvetici - «L’agenzia delle entrate ha iniziato a batter cassa, gli inquirenti hanno tutti i dati in mano e occorre dialogare»
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Paolo Gianinazzi
15.02.2019 06:00

Le banche svizzere e ticinesi, per volgere lo sguardo con ottimismo al futuro, devono guardare al loro passato in modo critico. Accettare il presente, accettare il fatto che il mondo bancario si porta appresso un passato a volte ingombrante da gestire. È questo, in estrema sintesi, il pensiero di Emanuele Stauffer. Un pensiero che non tutti condividono nel settore bancario, soprattutto chi – per usare parole proprio di Stauffer – «continua a mostrare un atteggiamento che nega a priori la legittimità delle richieste fiscali estere ». Un atteggiamento che per l’ex procuratore pubblico rischia di essere controproducente. Ma Stauffer, avvocato, sa bene di cosa parla avendo lavorato al settore giuridico di Credit Suisse prima e come General Counsel del gruppo EFG poi.

All’inizio furono gli Stati Uniti

«Quando oggi parliamo dei rapporti tra Svizzera ed Italia – sottolinea l’ex magistrato – parliamo soprattutto dell’accesso al mercato, e cioè di come le banche svizzere possono svolgere legalmente attività in Italia. Quello che però si sta manifestando con sempre più insistenza in questi ultimi mesi, e che si è acuito nelle ultime settimane, è il passato. Il sistema bancario svizzero deve infatti gestire la sua cosiddetta legacy, la sua eredità, che ancora oggi risulta essere problematica. Il nostro era un modello di business, portato avanti per decenni e abbandonato gradualmente, che fino al 2008 era accettato e accettabile in Svizzera, ma illegale, o perlomeno irregolare, se considerato secondo le norme in vigore all’estero». Il riferimento è chiaramente al segreto bancario e al fatto di aver raccolto per decenni capitali sottratti al fisco. Ma poi tutto come noto – e in modo anche piuttosto rapido – è cambiato. «Gli stati esteri, a partire dagli USA, a poco a poco hanno iniziato a gestire in modo più aggressivo queste irregolarità commesse dalle banche svizzere sul loro territorio, aprendo procedimenti contro banche e funzionari. E cosa hanno fatto le banche svizzere per regolarizzare i loro rapporti per esempio con gli Stati Uniti? Hanno gestito il loro passato accettando di entrare in programmi costosi e complessi. Concretamente a pagare delle multe. Tant’è che, ed è molto interessante, alcune settimane fa UBS ha annunciato di voler tornare sul mercato americano». E non era affatto scontato visto che le banche a un certo punto sembravano averci messo una pietra sopra, arrivando perfino – quasi terrorizzate – a rifiutare l’apertura di conti a cittadini americani. «Le banche ora negli USA si sono messe a posto, hanno pagato quel che dovevano e fatto i conti con il passato. Sono pronte a rientrare in un mercato interessante, e a farlo sapendo che ci sono delle regole che devono venir rispettate». Un modello che, per Stauffer, sarebbe auspicabile venisse ora rapportato anche all’Italia.

I rapporti tra Svizzera e Italia

«In seguito – ci spiega l’esperto – altre nazioni hanno avuto un approccio più aggressivo ». Soprattutto Germania e Francia, arrivate perfino a promuovere azioni di spionaggio (i vari casi di dati rubati) contro gli istituti elvetici. «L’Italia è stata più passiva da questo punto di vista. Ma ci sono comunque state delle inchieste. Penso per esempio a quella che ha riguardato Credit Suisse (l’istituto è finito sotto la lente per aver aiutato clienti a celare i loro averi tramite un meccanismo di polizze assicurative considerate fittizie dalle autorità italiane, ndr.), anche se secondo me quel caso esula un po’ da quanto stiamo vivendo oggi». E quando parla di oggi Stauffer si riferisce soprattutto ad un caso recente (quello che ha colpito la PKB) . «Segna un cambiamento d’atteggiamento dell’Italia nei confronti delle banche svizzere. È un tentativo, una specie di esplorazione da parte dell’autorità italiana, di far emergere quella che prima abbiamo chiamato legacy: il passato delle banche. Questo, verosimilmente, per ottenere dagli istituti il pagamento di debiti di imposta di cui lo Stato italiano ritiene essere creditore». La procura di Milano ha fatto sapere di avere una lista di 250 banche estere (quante siano svizzere è difficile dirlo, ma si teme siano diverse) in cui cittadini italiani hanno depositato –anche se questo non rappresenta di per sé un reato – i loro soldi. «Le indagini – hanno detto – non si fermeranno qui». Ma si parlava di debiti di imposta. Di cosa si tratta? L’Italia ritiene che le banche svizzere, nel corso degli anni, hanno portato avanti attività finanziarie che, in base alla sua legislazione, sono soggette a tassazione. E dunque le banche, su una parte degli utili incassati, dovrebbero versare imposte all’Italia. «Questo – spiega Stauffer – almeno per quanto non ancora prescritto. Quel che mi preoccupa però è che le banche svizzere, e in particolare quelle ticinesi, hanno sempre avuto un atteggiamento perlopiù intransigente, che non riconosce de facto la potenziale legittimità delle pretese italiane (o di alcune di esse), pretendendo spesso di “negoziare”. Sennonché, qui, le premesse di un negoziato (fra Stati) non ci sono: l’Italia (ed è questo che occorre riconoscere) pretende qualche cosa in base alle proprie leggi e non nell’ambito di una trattativa. Dal canto suo, la Svizzera (le sue banche) cos’ha da offrire se non l’impegno di agire, oggi e in futuro, in modo regolare ? Spesso, anche ad alti livelli, in Ticino, ci sono discussioni quasi da bar, in cui si si rifiuta di constatare semplicemente che uno Stato, in questo caso quello italiano, vuole semplicemente applicare le sue leggi. Per incassare soldi? Sì, perché parliamo di violazioni di legge che, potenzialmente, hanno generato un debito fiscale di cui ora si pretende il pagamento ».

Quanti dubbi: che fare ora?

L’Italia sembra dunque aver cambiato approccio. «Sì, e ora le banche ticinesi hanno molti dubbi su come procedere. Aspettare lo tsunami? Attendere l’avvio dei procedimenti penali? Aspettare di subire le sorti di chi già è oggetto di un procedimento penale? O fare i primi passi e autodenunciarsi? Ma, in tal caso, autodenunciarsi per quali irregolarità ? Non c’è chiarezza e nessuno sembra sapere con certezza cosa fare, complice la totale assenza, per il momento, di una prassi o di paletti chiari ed accettabili fissati dalle autorità italiane».

E c’è di più. A metà dicembre gli istituti ticinesi hanno ricevuto una lettera da parte dell’Agenzia delle entrate italiana in cui, parafrasando, viene loro chiesto: «Cari contribuenti (perché le banche svizzere sono considerate contribuenti italiani, ndr.), noi avremmo bisogno di tutta una serie di dati per potervi tassare». «E le banche svizzere – ci spiega Stauffer – ancora non hanno scelto come affrontare queste richieste. Nessuna associazione di categoria ha preso posizione e non è ancora stato stabilito se la domanda sia legittima dal punto di vista legale, se vi si può tecnicamente dar seguito e se una risposta sarebbe compatibile con i dettami normativi svizzeri. Ma sono questi, direi, tecnicismi dietro i quali si nasconde un’indecisione di fondo: quella di sapere se, anche con l’Italia, non sia giunto il momento di accettare l’esistenza di una legacy, da affrontare e da gestire. Perché se si vuole operare sul mercato italiano, e questa è un’ambizione di tutti, occorre farlo. Mettere a posto il passato, liberarsi da questa zavorra, gettando in tal modo fondamenta solide per il futuro».

Hanno già tutto per attaccarci

D’altro canto, ed è un altro punto centrale, l’Italia i dati per procedere nei confronti delle banche svizzere li ha già tutti. «Dalle voluntary disclosure sono emersi tutti gli elementi che servono agli inquirenti per tentare di sostenere l’esistenza, in passato, di un modello di business irregolare (concretamente la commissione del famoso abusivismo finanziario, l’esistenza di una cosiddetta stabile organizzazione sul territorio italiano o la commissione di atti di riciclaggio fiscale) da cui scaturisce un onere fiscale. Dati suscettibili di essere integrati, probabilmente, attraverso rogatorie o interrogatori di consulenti. Andare in quella direzione, è possibile, è solo una questione di come le autorità intenderanno muoversi».

L’accesso al mercato

Le banche svizzere però continuano a dire che restano tagliate fuori dall’accesso al mercato italiano. «Come banca svizzera oggi operare in Italia è molto complesso: è sì possibile chiedere un’autorizzazione per svolgere attività bancarie su suolo italiano, ma si tratta di qualcosa di limitato e macchinoso. La limitazione è difficile da gestire e de facto operare in Italia è quasi impossibile». Impossibile, ma importante. Perché? «Perché la situazione è cambiata. Una volta, quando si operava con averi non dichiarati, erano i clienti a venire in Svizzera. E, quando ci si recava all’estero, quantomeno fino al 2008, seguire o rispettare le leggi degli altri paesi importava meno. Oggi invece le banche trattano solo denari dichiarati e il cliente europeo non ha più motivo di venire in Svizzera. È il consulente semmai che deve andare all’estero, in Italia per esempio. Ma non può. O se può non può offrire tutti i servizi che il cliente si attende. Ecco perché non aver più accesso al territorio italiano è un problema gigantesco. Ed ecco perché se vogliamo veramente ottenere qualche cosa dall’Italia in termini di accesso al mercato occorre prima di tutto sanare il passato. E se ciò significa pagare debiti d’imposta e multe, occorrerà farlo».