L'intervista

«Enorme rispetto per la minoranza che il Ticino rappresenta»

Per la prima volta in qualità di «ministro» della Cultura, la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider è giunta al Festival del Film di Locarno – L'abbiamo incontrata per farci raccontare le sue prime impressioni e la sua visione sul cinema svizzero
© CdT/Gabriele Putzu
Paride Pelli
09.08.2024 06:00

Per la prima volta in qualità di «ministro» della Cultura, la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider è giunta al Festival del Film di Locarno. L'abbiamo incontrata per farci raccontare le sue prime impressioni e la sua visione sul cinema svizzero.

Gentile consigliera federale, quali sono le sue prime sensazioni al Festival del Film di Locarno?
«Attendevo da tempo di poter incontrare nuovamente lo spirito di Locarno. E sì, l’ho trovato. Nel senso che effettivamente la piazza Grande è proprio la piazza Grande che conosciamo e immaginiamo tutti. Ma devo anche dire che sono stata piacevolmente sorpresa dalla qualità dei discorsi ufficiali durante la cerimonia d’apertura, del sindaco Nicola Pini, della consigliera di Stato Marina Carobbio, del direttore Giona A. Nazzaro. Al Festival c’è un état d’esprit e un senso di comunità che, come ha giustamente osservato il direttore, deve essere aperta e critica al contempo. In questo mondo fatto di voluttà, abbiamo bisogno di prenderci cura delle comunità. E qui a Locarno ho trovato tutto ciò. E ho anche scoperto il gusto dei ticinesi per il Campari... (ride, il riferimento va all’aperitivo organizzato dal noto brand a cui la consigliera federale ha partecipato, ndr)».

Che rapporto ha con il Locarno Film Festival e con il Ticino in generale? È già stata qui a visitare il Festival?
«A Locarno sono stata diverse volte, sia come presidente della Commissione federale del cinema, ma anche come “ministra” giurassiana della Cultura. E devo dire che l’appuntamento di Locarno rappresenta anche un po’ la rentrée politique. Per quanto concerne il mio rapporto con il Ticino, ho un enorme rispetto per il vostro cantone, per la minoranza che rappresentate. D’altronde, anch’io provengo da una minoranza francofona. Oltre a ciò, in passato avevo legami molto stretti con il Ticino poiché ho presieduto la Conferenza intercantonale dell’insegnamento pubblico per la Romandia e il Ticino. Per esempio, ieri sera sono stata molto contenta di reincontrare Diego Erba (già direttore della Divisione della scuola del DECS, ndr). C’è quindi grande rispetto per una regione che non rappresenta unicamente un luogo di vacanza, ma che è veramente un polmone economico e anche un ponte verso l’Italia. Ed è anche vero che il Ticino sovente rappresenta un sismografo per la Svizzera. Lo abbiamo purtroppo visto con la pandemia: le prime inquietudini sono arrivate dal Ticino. Marina Carobbio, allora, era mia collega al Consiglio degli Stati e c’era grande preoccupazione e necessità di agire. Insomma, da parte mia, essendo anche di cultura latina, c’è un sentimento di rispetto e di affetto».

Il cinema svizzero è veramente un network importante

Lei è succeduta ad Alain Berset, che al Festival era praticamente di casa e che ama Locarno: anche lei spera di allacciare un rapporto forte e duraturo con questa kermesse?
«Certamente. Ma le relazioni non si possono decretare, vanno costruite nel tempo. Adoro le relazioni umane e sono interessata al vissuto delle persone. Quindi sicuramente ho questa voglia di prossimità e di rispetto reciproco. Ma occorre prendersi il tempo. Berset ha avuto degli anni per costruire ciò. Quindi sicuramente ho questa ambizione, ma poi occorre che anche gli altri l’abbiano. Non si può imporre. La politica culturale deve essere incarnata dalle idee, ma anche dall’umiltà di andare verso gli altri. Ho dunque molta voglia di creare legami sempre più forti con Locarno e con il Ticino».

Oggi sarà al Monte Verità con la signora Hoffmann. Qual è il suo rapporto con la presidente? E che cosa pensa del suo ruolo? Per il Ticino e per la Svizzera è stata una notizia importante: un grande nome della cultura internazionale che arriva a Locarno.
«Ho avuto la fortuna di incontrarla già due volte. Effettivamente, come dice lei, è una personalità forte, riconosciuta, che ha un savoir faire in termini di progetti culturali, ma non solo. È una persona interessata, appassionata e probabilmente anche molto esigente. È una donna che viene dalla Svizzera, sì, ma che ha molti progetti in tutto il mondo, da New York alla Francia. Sono quindi molto fiduciosa su ciò che farà con il Festival, perché ha voglia di lavorare e perché al contempo si pone degli interrogativi. Penso sia ambiziosa, ma anche all’ascolto. Sì, sono fiduciosa».

La presidente Hoffmann ha aperto all’idea di spostare il Festival a luglio. Che cosa ne pensa di questa proposta?
«Come dicevo, la signora Hoffmann si pone degli interrogativi. Penso che di fronte a un ecosistema solido come quello del Festival di Locarno sia giusto avere l’audacia di porsi delle domande, che potrebbero anche inizialmente apparire sconcertanti. Ma non mi pronuncerò sulla decisione, che spetta a chi di competenza».

Il Festival è migliorato molto nel recente passato, aprendosi anche al resto del mondo. Lei recentemente è stata al Festival di Cannes, dove la Svizzera era ospite d’onore. Come ha vissuto questa esperienza? Si è parlato anche di Locarno?
«Sì, certamente. Quando sono stata a Cannes tutti conoscevano Locarno e molti si davano appuntamento proprio a Locarno. Ho vissuto questa esperienza in maniera molto positiva. Al di là dei rapporti creati e delle informazioni ricevute, ho avuto la conferma che il cinema svizzero è veramente un network importante. La dinamica delle coproduzioni non è solo un’intenzione, bensì una realtà. Abbiamo avuto l’occasione di discutere con i partner di Paesi vicini, ma anche con il Messico e il Canada. Ho constatato inoltre che il cinema svizzero è molto ricco nella sua diversità: c’è il cinema d’animazione, ci sono i lungometraggi, le serie. E soprattutto abbiamo un’ottima expertise e tradizione nei documentari. Questa diversità è qualcosa a cui sono molto sensibile. Anche perché in Svizzera abbiamo migliorato molto la formazione e c’è una nuova generazione di giovani che arriva, che è esigente, che ha voglia di partecipare. E penso che non dobbiamo arrossire davanti a nessuno. Abbiamo una realtà che non è semplice, alla luce delle nostre diversità, ma anche perché piccola nel confronto internazionale. Ma siamo anche estremamente interessanti proprio alla luce di queste fragilità che possono diventare dei punti di forza».

A Cannes ci sono sempre molte star del cinema internazionale. A Locarno invece meno. Pensa che con la nuova presidenza di Maja Hoffmann Locarno si aprirà alle star, rendendo il Festival più internazionale?
«Credo che abbia questa ambizione di raggiungere una dimensione internazionale. Ma non credo sia unicamente per le star del cinema, bensì più in generale per posizionarsi rispetto agli altri Festival. Perché lo sappiamo: i Festival sono in concorrenza e si è sempre obbligati a migliorare, perché anche gli altri si migliorano. E se si resta fermi, in un attimo si è poi costretti a rincorrere. Quindi penso che sì, ci sia questa intenzione, perché l’arrivo delle star fa parte del piacere del cinema ed è anche un segno di riconoscimento per il luogo e per il Festival».

Polemiche? Penso sia un diritto della cultura

Come giudica il momento per il cinema svizzero?
«Penso che la politica delle co-produzioni sia molto positiva. Quando ero presidente della Commissione federale del cinema ho conosciuto vari programmi molto importanti di sostegno per accompagnare le produzioni in Svizzera. Perché, quando parliamo di cinema, a volte dimentichiamo che è un’arte, sì, ma anche un’economia, un ecosistema a tratti molto più completo e complesso che altre arti. Ciò, a volte, pone problemi, perché abbiamo il sentimento che ci sia meno bisogno di sostegno da parte delle autorità pubbliche perché è una grande macchina che funziona da sola. Ma non è così, è qualcosa di complesso che necessita di una politica culturale forte. Per tornare alla domanda: trovo anche che abbiamo, sia a livello di realizzatori sia degli attori, molti segnali positivi della nostra presenza in questo microcosmo del cinema. A proposito del cinema svizzero, mi piace ricordare anche che la popolazione ha recentemente approvato la Legge Netflix: un segnale da parte dei cittadini che rappresenta la volontà di considerare il cinema come qualcosa di importante da sostenere. Poi ci sono i cantoni romandi, che si sono organizzati tramite il Cinéforom e hanno deciso che occorreva mettersi in comune per finanziare delle produzioni che permettano si essere più presenti sul mercato. Credo ci sia stata veramente una presa di coscienza che gli investimenti nel cinema sono investimenti in un progetto di società. Perché il cinema è anche una maniera di guardare a che punto siamo noi, come società, di guardare come si evolve il mondo. Tutto ciò è molto importante».

A proposito dei finanziamenti della Confederazione. Qual è l’importanza di questo contributo per garantire la qualità del Festival negli anni?
«Credo sia molto importante. Ne abbiamo discusso anche con la signora Hoffmann e la sua squadra. La politica non deve immischiarsi nella libertà delle scelte fatte dal Festival. Per contro, la politica deve essere molto attenta sulla buona utilizzazione dei fondi pubblici. Dobbiamo quindi essere molto chiari sugli scopi del finanziamento e su come vengono allocate le risorse, ma senza condizionare le scelte dei Festival».

A Locarno ci sono state anche alcune polemiche in passato…
«Penso sia un diritto della cultura. Il diritto alla polemica. Al dibattito. Non deve per forza finire in polemica, ma il dibattito deve essere sempre possibile e la politica deve accettare che il dibattito sia aperto».

Recentemente ha fatto molto discutere la questione di Palazzo Trevisan. Molti hanno giudicato un errore la ventilata decisione di porre fine all’attività culturale di Pro Helvetia nello stabile. Che cosa ne pensa?
«Lo capisco e sono molto sensibile e attenta alla dimensione emozionale della questione: capisco chi è preoccupato per la sua lingua, la sua cultura e ha il sentimento che non abbiamo abbastanza attenzioni per le relazioni culturali con l’Italia. Ma occorre contestualizzare. La fondazione Pro Helvetia ha alcuni obblighi finanziari ed è autonoma. Abbiamo avuto alcune discussioni e sono stata interpellata in prima persona. Ora, confermo che c’è la volontà di dialogo per trovare una soluzione che consenta di mantenere un legame e una presenza a Venezia, importante non solo per la Svizzera italiana ma per tutta la Svizzera. Comprendo il simbolo e il legame affettivo con Venezia. Ma non bisogna sottovalutare tutta la politica culturale promossa in Italia, che è molto importante. A Venezia siamo e saremo presenti con la Biennale. Farò il possibile, con tutti i partner, per discutere un’opzione ragionevole. Ora occorre dialogare con tutti. Non solo con la fondazione Pro Helvetia, ma anche con gli altri Dipartimenti, così come con le istituzioni del Canton Ticino. Siamo consapevoli che occorre dialogare e che siamo co-responsabili per trovare una soluzione, che potrebbe anche essere diversa da quella attuale, ma che sarà una risposta per tenere in considerazione l’italianità. Non faremo le cose di nascosto. Sarò attenta affinché il processo sia trasparente e che si discutano tutte le opzioni».

In questo articolo: