«Enorme rispetto per la minoranza che il Ticino rappresenta»

Per la prima volta in qualità di «ministro» della Cultura, la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider è giunta al Festival del Film di Locarno. L'abbiamo incontrata per farci raccontare le sue prime impressioni e la sua visione sul cinema svizzero.
Gentile consigliera
federale, quali sono le sue prime sensazioni al Festival del Film di Locarno?
«Attendevo da tempo di
poter incontrare nuovamente lo spirito di Locarno. E sì, l’ho trovato. Nel
senso che effettivamente la piazza Grande è proprio la piazza Grande che
conosciamo e immaginiamo tutti. Ma devo anche dire che sono stata piacevolmente
sorpresa dalla qualità dei discorsi ufficiali durante la cerimonia d’apertura,
del sindaco Nicola Pini, della consigliera di Stato Marina Carobbio, del direttore Giona A.
Nazzaro. Al Festival c’è un état d’esprit e un senso di comunità che, come ha
giustamente osservato il direttore, deve essere aperta e critica al contempo.
In questo mondo fatto di voluttà, abbiamo bisogno di prenderci cura delle
comunità. E qui a Locarno ho trovato tutto ciò. E ho anche scoperto il gusto
dei ticinesi per il Campari... (ride, il riferimento va all’aperitivo
organizzato dal noto brand a cui la consigliera federale ha partecipato, ndr)».
Che rapporto ha con il
Locarno Film Festival e con il Ticino in generale? È già stata qui a visitare
il Festival?
«A Locarno sono stata
diverse volte, sia come presidente della Commissione federale del cinema, ma
anche come “ministra” giurassiana della Cultura. E devo dire che l’appuntamento
di Locarno rappresenta anche un po’ la rentrée politique. Per quanto concerne
il mio rapporto con il Ticino, ho un enorme rispetto per il vostro cantone, per
la minoranza che rappresentate. D’altronde, anch’io provengo da una minoranza
francofona. Oltre a ciò, in passato avevo legami molto stretti con il Ticino
poiché ho presieduto la Conferenza intercantonale dell’insegnamento pubblico
per la Romandia e il Ticino. Per esempio, ieri sera sono stata molto contenta
di reincontrare Diego Erba (già direttore della Divisione della scuola del
DECS, ndr). C’è quindi grande rispetto per una regione che non rappresenta
unicamente un luogo di vacanza, ma che è veramente un polmone economico e anche
un ponte verso l’Italia. Ed è anche vero che il Ticino sovente rappresenta un
sismografo per la Svizzera. Lo abbiamo purtroppo visto con la pandemia: le
prime inquietudini sono arrivate dal Ticino. Marina Carobbio, allora, era mia
collega al Consiglio degli Stati e c’era grande preoccupazione e necessità di
agire. Insomma, da parte mia, essendo anche di cultura latina, c’è un
sentimento di rispetto e di affetto».


Lei è succeduta ad Alain
Berset, che al Festival era praticamente di casa e che ama Locarno: anche lei
spera di allacciare un rapporto forte e duraturo con questa kermesse?
«Certamente. Ma le
relazioni non si possono decretare, vanno costruite nel tempo. Adoro le
relazioni umane e sono interessata al vissuto delle persone. Quindi sicuramente
ho questa voglia di prossimità e di rispetto reciproco. Ma occorre prendersi il
tempo. Berset ha avuto degli anni per costruire ciò. Quindi sicuramente ho
questa ambizione, ma poi occorre che anche gli altri l’abbiano. Non si può
imporre. La politica culturale deve essere incarnata dalle idee, ma anche
dall’umiltà di andare verso gli altri. Ho dunque molta voglia di creare legami
sempre più forti con Locarno e con il Ticino».
Oggi sarà al Monte
Verità con la signora Hoffmann. Qual è il suo rapporto con la presidente? E che
cosa pensa del suo ruolo? Per il Ticino e per la Svizzera è stata una notizia
importante: un grande nome della cultura internazionale che arriva a Locarno.
«Ho avuto la fortuna di
incontrarla già due volte. Effettivamente, come dice lei, è una personalità
forte, riconosciuta, che ha un savoir faire in termini di progetti culturali,
ma non solo. È una persona interessata, appassionata e probabilmente anche molto
esigente. È una donna che viene dalla Svizzera, sì, ma che ha molti progetti in
tutto il mondo, da New York alla Francia. Sono quindi molto fiduciosa su ciò
che farà con il Festival, perché ha voglia di lavorare e perché al contempo si
pone degli interrogativi. Penso sia ambiziosa, ma anche all’ascolto. Sì, sono
fiduciosa».
La presidente Hoffmann
ha aperto all’idea di spostare il Festival a luglio. Che cosa ne pensa di
questa proposta?
«Come dicevo, la signora
Hoffmann si pone degli interrogativi. Penso che di fronte a un ecosistema
solido come quello del Festival di Locarno sia giusto avere l’audacia di porsi
delle domande, che potrebbero anche inizialmente apparire sconcertanti. Ma non
mi pronuncerò sulla decisione, che spetta a chi di competenza».
Il Festival è migliorato
molto nel recente passato, aprendosi anche al resto del mondo. Lei recentemente
è stata al Festival di Cannes, dove la Svizzera era ospite d’onore. Come ha
vissuto questa esperienza? Si è parlato anche di Locarno?
«Sì, certamente. Quando
sono stata a Cannes tutti conoscevano Locarno e molti si davano appuntamento
proprio a Locarno. Ho vissuto questa esperienza in maniera molto positiva. Al
di là dei rapporti creati e delle informazioni ricevute, ho avuto la conferma
che il cinema svizzero è veramente un network importante. La dinamica delle
coproduzioni non è solo un’intenzione, bensì una realtà. Abbiamo avuto
l’occasione di discutere con i partner di Paesi vicini, ma anche con il Messico
e il Canada. Ho constatato inoltre che il cinema svizzero è molto ricco nella
sua diversità: c’è il cinema d’animazione, ci sono i lungometraggi, le serie. E
soprattutto abbiamo un’ottima expertise e tradizione nei documentari. Questa
diversità è qualcosa a cui sono molto sensibile. Anche perché in Svizzera
abbiamo migliorato molto la formazione e c’è una nuova generazione di giovani
che arriva, che è esigente, che ha voglia di partecipare. E penso che non
dobbiamo arrossire davanti a nessuno. Abbiamo una realtà che non è semplice, alla
luce delle nostre diversità, ma anche perché piccola nel confronto
internazionale. Ma siamo anche estremamente interessanti proprio alla luce di
queste fragilità che possono diventare dei punti di forza».
A Cannes ci sono sempre
molte star del cinema internazionale. A Locarno invece meno. Pensa che con la
nuova presidenza di Maja Hoffmann Locarno si aprirà alle star, rendendo il
Festival più internazionale?
«Credo che abbia questa
ambizione di raggiungere una dimensione internazionale. Ma non credo sia
unicamente per le star del cinema, bensì più in generale per posizionarsi
rispetto agli altri Festival. Perché lo sappiamo: i Festival sono in
concorrenza e si è sempre obbligati a migliorare, perché anche gli altri si
migliorano. E se si resta fermi, in un attimo si è poi costretti a rincorrere.
Quindi penso che sì, ci sia questa intenzione, perché l’arrivo delle star fa
parte del piacere del cinema ed è anche un segno di riconoscimento per il luogo
e per il Festival».


Come giudica il momento
per il cinema svizzero?
«Penso che la politica
delle co-produzioni sia molto positiva. Quando ero presidente della Commissione
federale del cinema ho conosciuto vari programmi molto importanti di sostegno
per accompagnare le produzioni in Svizzera. Perché, quando parliamo di cinema,
a volte dimentichiamo che è un’arte, sì, ma anche un’economia, un ecosistema a
tratti molto più completo e complesso che altre arti. Ciò, a volte, pone
problemi, perché abbiamo il sentimento che ci sia meno bisogno di sostegno da
parte delle autorità pubbliche perché è una grande macchina che funziona da
sola. Ma non è così, è qualcosa di complesso che necessita di una politica
culturale forte. Per tornare alla domanda: trovo anche che abbiamo, sia a
livello di realizzatori sia degli attori, molti segnali positivi della nostra
presenza in questo microcosmo del cinema. A proposito del cinema svizzero, mi
piace ricordare anche che la popolazione ha recentemente approvato la Legge
Netflix: un segnale da parte dei cittadini che rappresenta la volontà di considerare
il cinema come qualcosa di importante da sostenere. Poi ci sono i cantoni
romandi, che si sono organizzati tramite il Cinéforom e hanno deciso che
occorreva mettersi in comune per finanziare delle produzioni che permettano si
essere più presenti sul mercato. Credo ci sia stata veramente una presa di
coscienza che gli investimenti nel cinema sono investimenti in un progetto di
società. Perché il cinema è anche una maniera di guardare a che punto siamo
noi, come società, di guardare come si evolve il mondo. Tutto ciò è molto
importante».
A proposito dei
finanziamenti della Confederazione. Qual è l’importanza di questo contributo
per garantire la qualità del Festival negli anni?
«Credo sia molto
importante. Ne abbiamo discusso anche con la signora Hoffmann e la sua squadra.
La politica non deve immischiarsi nella libertà delle scelte fatte dal
Festival. Per contro, la politica deve essere molto attenta sulla buona
utilizzazione dei fondi pubblici. Dobbiamo quindi essere molto chiari sugli
scopi del finanziamento e su come vengono allocate le risorse, ma senza
condizionare le scelte dei Festival».
A Locarno ci sono state
anche alcune polemiche in passato…
«Penso sia un diritto
della cultura. Il diritto alla polemica. Al dibattito. Non deve per forza
finire in polemica, ma il dibattito deve essere sempre possibile e la politica
deve accettare che il dibattito sia aperto».
Recentemente ha fatto
molto discutere la questione di Palazzo Trevisan. Molti hanno giudicato un
errore la ventilata decisione di porre fine all’attività culturale di Pro
Helvetia nello stabile. Che cosa ne pensa?
«Lo capisco e sono molto sensibile e attenta alla dimensione emozionale
della questione: capisco chi è preoccupato per la sua lingua, la sua cultura e
ha il sentimento che non abbiamo abbastanza attenzioni per le relazioni
culturali con l’Italia. Ma occorre contestualizzare. La fondazione Pro Helvetia
ha alcuni obblighi finanziari ed è autonoma. Abbiamo avuto alcune discussioni e
sono stata interpellata in prima persona. Ora, confermo che c’è la volontà di
dialogo per trovare una soluzione che consenta di mantenere un legame e una
presenza a Venezia, importante non solo per la Svizzera italiana ma per tutta
la Svizzera. Comprendo il simbolo e il legame affettivo con Venezia. Ma non
bisogna sottovalutare tutta la politica culturale promossa in Italia, che è
molto importante. A Venezia siamo e saremo presenti con la Biennale. Farò il
possibile, con tutti i partner, per discutere un’opzione ragionevole. Ora
occorre dialogare con tutti. Non solo con la fondazione Pro Helvetia, ma anche
con gli altri Dipartimenti, così come con le istituzioni del Canton Ticino.
Siamo consapevoli che occorre dialogare e che siamo co-responsabili per trovare
una soluzione, che potrebbe anche essere diversa da quella attuale, ma che sarà
una risposta per tenere in considerazione l’italianità. Non faremo le cose di
nascosto. Sarò attenta affinché il processo sia trasparente e che si discutano
tutte le opzioni».